Suicidi e morti in carcere. Non c’è solo il caso Cucchi
I tagli rischiano di ridurre l’organico della polizia penitenziaria. I sindacati temono il peggio
Quattro suicidi in quattro giorni. Dal 16 al 20 ottobre si è consumata l’ennesima tragedia nelle carceri italiane, nel silenzio dei media e della politica. Quattro detenuti si sono tolti la vita. Non è la prima volta, non sarà l’ultima. Sono già 38 le persone che si sono suicidate in galera nel 2014, un dato in leggera flessione rispetto al passato, ma che evidenzia ancora una volta l’emergenza del sovraffollamento come le condizioni in cui vivono persone che devono scontare una pena per aver commesso un crimine. Radiocarcere diretta da Riccardo Arena la definisce “una mattanza”, che va ben oltre i casi di cronaca più eclatanti, come quello di Stefano Cucchi. Sono numeri che vanno ad aggiungersi a un totale spaventoso di morte: sono in totale 116 le morti da carcere nel 2014. Lo stesso Arena ne ha fatto una battaglia politica dopo la sentenza di appello sul caso Cucchi, scrivendo un articolo sul Post «E già perché - si legge - anche se pochi cittadini lo sanno, dal 22 ottobre del 2009, data in cui morì Stefano Cucchi, sono morte fino a oggi 893 persone detenute».
La questione in sostanza è molto ampia, «riguarda un intero sistema penitenziario capace solo di infliggere maltrattamenti e uno Stato che non vuole o non è capace di accertare delitti commessi all’interno di proprie strutture». E il punto, benché non compaia sui giornali, riguarda diverse categorie di persone, dalle guardie penitenziarie fino ai medici che ogni giorno si recano in queste strutture per prestare servizio. Secondo il sito Ristretti Orizzonti, che aggiorna quotidianamente la mattanza, «nelle carceri italiane i detenuti si tolgono la vita con una frequenza 19 volte maggiore rispetto alle persone libere e, spesso, lo fanno negli istituti dove le condizioni di vita sono peggiori, quindi in strutture particolarmente fatiscenti, con poche attività trattamentali, con una scarsa presenza del volontariato».
I problemi sono di tutti i tipi. Non solo i suicidi, o le morti come quella di Stefano Cucchi. La polizia penitenziaria deve lottare contro carenze di organico. Persino il cibo come ha denunciato l’Espresso in un’inchiesta di qualche settimana fa, sta diventando un problema: la spesa fissata dallo Stato per far mangiare un "galeotto" è di soli 3,90 euro al giorno. Neppure due euro per il pranzo e nemmeno due euro per la cena. E in tempi di spending review c’è il rischio che le cose vadano peggiorando. «Il Si.Di.Pe. il sindacato più rappresentativo del personale della Carriera dirigenziale penitenziaria – ha confermato la propria contrarietà, da sempre espressa, a qualunque ipotesi di riduzione degli organici dell’Amministrazione penitenziaria e, in particolare, ad ipotesi di accorpamenti e riduzioni di posti di funzione della dirigenza penitenziaria perché l’Amministrazione penitenziaria nel suo complesso è inserita nell’ambito del sistema della sicurezza dello Stato, a tutti i livelli ed in tutte le sue articolazioni».
Non solo «una spendig review della dirigenza penitenziaria e del restante personale determinerebbe gravi conseguenze che ricadrebbero sull’utenza e sui cittadini, perché si altererebbero i delicati equilibri del complesso sistema penitenziario e si indebolirebbe significativamente il complessivo sistema della sicurezza dello Stato in danno dei cittadini». Secondo il sindacato, in sostanza, «non c’è dubbio, pertanto, che una spendig review della dirigenza penitenziaria e del restante personale determinerebbe gravi conseguenze che ricadrebbero sull’utenza e sui cittadini, perché si altererebbero i delicati equilibri del complesso sistema penitenziario e si indebolirebbe significativamente il complessivo sistema della sicurezza dello Stato in danno dei cittadini».
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Del resto, come afferma Eugeno Sarno, Segretario Generale Uilpa Penitenziari, il lavoro della forze dell'ordine nei penitenziari è necessaria. «Quotidianamente, tra indicibili difficoltà operative e indegne condizioni lavorative, le donne e gli uomini della polizia penitenziaria non solo assicurano la sicurezza all’interno delle nostre prigioni ma sono costantemente impegnati a salvare vite umane – – Sono mediamente 1500 ogni anno i tentati suicidi in cella, e negli ultimi dieci anni la polizia penitenziaria ha salvato circa 6000 detenuti in extremis dai loro tentativi di evadere dalla vita». Il segretario nazionale del Si.di.pe Rosario Tortorella ha scritto anche al ministro di Grazia e Giustizia rispetto al “nuovo Regolamento di organizzazione del Ministero della Giustizia e riduzione degli Uffici dirigenziali e delle dotazioni organiche del Ministero della Giustizia».
E in una lettera di dieci pagine ha evidenziato i problemi che comporterebbero ulteriori tagli. Nell'insieme, tali riduzioni porterebbero la dotazione organica dei dirigenti penitenziari non generali da una situazione iniziale, prevista dal D.Lgs. n. 63/2006, di n. 539 dirigenti (476 del ruolo di istituto penitenziario e 63 del ruolo di esecuzione penale esterna), a solamente n. 334 dirigenti (300 del ruolo di istituto penitenziario e 34 del ruolo di esecuzione penale esterna), con la cancellazione di complessivi 205 posti ed i dirigenti del ruolo di istituto penitenziario passano a soli 300, poiché dall'indicazione finale del numero dei dirigenti non generali di carriera penitenziaria DAP sono stati scomputati i 34 dirigenti UEPE di carriera penitenziaria traslati al DGMC perché rientrerebbero nella direzione generale dell'esecuzione penale esterna». Per Tortorella «c’è timore che dal nuovo schema di d.P.C.M., certamente apprezzabile nella dichiarata e condivisa necessità di ristrutturare il sistema dell’esecuzione penale, possa discendere il più totale caos organizzativo, sussistendo inconciliabilità di fondo rispetto all’assetto normativo globale dell’esecuzione penale disegnato dall’ordinamento giuridico vigente22, sul quale è stata correttamente disegnata la precedente organizzazione ed elaborate le buone prassi pure esistenti».
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