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ROMA - Adesso è tutto più chiaro. Matteo Renzi Renzi gioca a carte scoperte e l'irritazione manifesta dei primi giorni si trasforma in un duro sfogo contro la magistratura o meglio contro la Procura di Potenza. L'occasione è il consiglio dei ministri convocato per approvare il Def. Nel mirino ci sono le intercettazioni sul caso Tempa Rossa, "una vicenda condotta in modo incredibile con pezzi dell'inchiesta fatti filtrare un po' alla volta". E l'audizione dei pm con il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi. "Un attacco a tutto il Parlamento. Due testimoni interrogati prima degli arrestati, una cosa assurda. Non è accettabile che i magistrati convochino un ministro esercitando una sorta di sindacato sull'azione legislativa".
 
Il nervo è scoperto. Lo si era ben capito nei passaggi precedenti, con attacchi e retromarcia. Ora tutto è più illuminato nella sala di Palazzo Chigi dove Renzi prende la parola per primo. "Non si può più andare avanti così. Ci sono elementi di inopportunità politica e istituzionale. E ci sono intercettazioni che hanno a che fare con la vita privata senza alcun nesso con l'inchiesta". Attacca a testa bassa, consapevole che l'inchiesta di Potenza è stata un colpo pesante per il governo erappresenta una delle fasi più delicate del suo mandato. L'indagine lucana viene demolita, quasi pezzo per pezzo. "Intercettare il capo della Marina rappresenta un pericolo per la sicurezza nazionale. Non solo. Diffondere quelle conversazioni nel bel mezzo di una crisi internazionale peggiora la situazione".

I ministri ascoltano. Renzi li invita a tenere il profilo basso, a non alzare i toni con la magistratura. Ma lui non segue il consiglio. Chiede una reazione: "Ora le cose devono cambiare ", dice concludendo lo sfogo.

 
Sono parole che chiamano in causa il Guardasigilli Andrea Orlando. Il ministro della Giustizia condivide, occorre accelerare. Spiega anche che questo sarebbe il momento migliore per farlo. "Tante procure hanno adottato un codice di autodisciplina sulle intercettazioni. Lo ha fatto Spataro, lo ha fatto Pignatone...". Due magistrati tra i più conosciuti a capo di procure importanti come Torino e Roma. Insomma, spiega Orlando, questa è l'occasione per una riforma condivisa, senza strappi con la magistratura. Però non basta. Non basta lamentarsi che "scappano conversazioni private da tutte le parti mentre la riforma è ferma al Senato da otto mesi. Non basta dire che i processi devono essere più veloci quando il processo breve è bloccato a Palazzo Madama sempre da otto mesi". È un richiamo, quello del Guardasigilli, anche agli equilibri del governo, al veto dell'Ncd sulla prescrizione.
 
Ma la revisione di un sistema non argina quello che emerge da Potenza e gli effetti sul governo. "Trovo gravissimo anche il dossieraggio contro Delrio", dice Renzi che ha ben chiari i rischi che sta correndo l'esecutivo con gli atti dei pm lucani: ministri contro, fazioni, liti. Anche per questo bisogna andare cauti con alcune nomine sollecitate dai dicasteri. La ministra della Difesa Pinotti vorrebbe sostituire subito l'ammiraglio De Giorgi e avviare così il risiko delle nomine nelle poltrone della sicurezza. Ma Renzi difende pubblicamente il capo della Marina e sembra deciso ad attendere.
 
La polemica, intorno alle indagini su affari e petrolio, comunque non si arresta e in Parlamento raggiunge toni mai così aspri. I 5stelle chiedono le dimissioni dell'intero governo additando "una nuova Tangentopoli" e scrivono a Mattarella chiedendo di essere ricevuti con urgenza. La speranza è dare un colpo prima del referendum sulle trivelle. Il Pd passa alle vie giudiziarie e denuncia per diffamazione Carlo Sibilia, membro del direttorio pentastellato, "per le gravissime dichiarazioni rilasciate nei confronti di chi riveste ruoli istituzionali ". Il riferimento è alla frase di Sibilia: "Nessuna differenza fra ministri e camorristi".
 
Chiede di essere sentito dai pubblici ministeri il Capo di stato maggiore della Marina Giuseppe De Giorgi. Lo stesso fa Gemelli, l'ex compagno di Federica Guidi. Ma le parole di Gemelli "sull'Antimafia che fa schifo" e sulla Borsellino "da eliminare" hanno suscitato
sdegno. La figlia di Paolo Borsellino, il giudice ucciso dalla mafia nel 1992, dice di non volere commentare "parole meschine" ma a chi le sta vicino racconta tutta la sua insofferenza: "Non capisco perché mi continuino a mettere
 in mezzo".