La data ultima è il 31 marzo 2015. Dal 1 aprile gli Ospedali psichiatrici giudiziari, Opg, non dovrebbero più esistere. O almeno questo è quello che prevede la legge 81 del 2014, dopo che per ben due volte la chiusura delle strutture è stata spostata in avanti. È successo il 31 marzo 2013, e la stessa cosa è avvenuta l’anno dopo. Le immagini di abbandono e disperazione filmate nei vecchi manicomi criminali dalla commissione parlamentare d’inchiesta presieduta da Ignazio Marino avevano portato l’argomento alla ribalta. Ma nonostante il decreto “svuota carceri” avesse già stanziato oltre 270 milioni spalmati tra il 2012 e il 2013, per ben due volte le regioni si sono fatte trovare impreparate ad accogliere nelle strutture sanitarie del territorio i pazienti autori di reato internati negli Opg.
Il 5 febbraio, il sottosegretario alla Salute Vito De Filippo in un incontro con i comitati per la chiusura degli Opg ha confermato che non ci saranno altre proroghe e che saranno possibili commissariamenti per le regioni inadempienti. La realtà, al momento, è che quasi nessuna regione ha ultimato la realizzazione delle strutture sostitutive, ma la maggior parte ha presentato percorsi di cura individuali nelle strutture sanitarie del territorio per i pazienti ritenuti “dimissibili”, che sono più di 400 su 780. Per gli altri, l’ipotesi più plausibile è che saranno messe a disposizione strutture provvisorie in attesa di realizzare le cosiddette Rems, Residenze per l’esecuzione della misura di sicurezza. E qui il rischio è la riproduzione, seppur in piccolo, del funzionamento degli Opg. Tanto che dal Senato stanno pensando a una nuova commissione di inchiesta che monitori le nuoe strutture. «Sembra ripetersi quello che è accaduto con la legge Basaglia», dice Cesare Bondioli, psichiatra membro dell’associazione
Psichiatria democratica, fondata da Franco Basaglia. «La legge era del 1978, ma la parola fine per i manicomi è stata messa nel 1999, con la chiusura di Siena, dopo che la finanziaria ha detto che le regioni inadempienti sarebbero state commissariate e penalizzate nei trasferimenti statali».
In ogni caso, per evitare la sorpresa di un’altra proroga, il comitato Stop Opg propone alle altre associazioni attente al tema un digiuno a staffetta per tutto il mese di marzo. Oltre che un monitoraggio dei nuovi istituti a partire da aprile 2015. «Il rischio è che dopo il 31 marzo si spengano di nuovo i fari su queste realtà», dice Stefano Cecconi, portavoce del
Comitato Stop Opg, «e che si ripropongano le logiche da manicomio criminale».
Regioni in ritardo e soluzioni “provvisorie” Il problema è che nell’ultimo anno il trend degli ingressi non è stato invertito: su 67 dimissioni ci sono stati 84 nuovi detenuti che hanno varcato i cancelli dei sei Opg sparsi in tutta Italia, nonostante la legge chiedesse di dare priorità alle misure alternative. Nell’Opg Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina, dove la Commissione Marino trovò 329 malati e un solo medico, neppure psichiatra, è stata addirittura aperta una nuova ala femminile da 12 posti, facendo pure trasferire alcune pazienti dall’Opg di Mantova (l’unico fino ad allora ad avere una sezione dedicata alle donne).
“Sembra ripetersi quello che è accaduto con la legge Basaglia. La norma è del 1978 ma la parola fine per i manicomi è stata messa nel 1999, dopo che la finanziaria ha minacciato di commissariare le regioni inadempienti”
A meno di due mesi dalla chiusura prevista dalla legge, quasi nessuna regione ha ultimato la realizzazione degli edifici sostitutivi previsti dalla legge. E alcune, come la Toscana, non hanno neanche stabilito dove sorgeranno queste strutture. La Conferenza Stato Regioni a gennaio 2014 aveva a
pprovato un emendamento che prevedeva un’ulteriore proroga della chiusura fino ad aprile 2017. Poi a novembre, nonostante fosse scritto nero su bianco nella
relazione di ministri della Salute e della Giustizia al Parlamento che nessuna regione sarebbe riuscita a realizzare le Rems nei termini previsti dalla legge, le Regioni hanno fatto sapere che invece i termini verranno rispettati, seppure con soluzioni transitorie. Così, mentre si avvicina lo scadere del tempo massimo, si sta cercando di mettere una pezza ai ritardi per sistemare i pazienti “non dimissibili”.
Secondo i comitati, l’errore è subordinare la chiusura degli Opg alla realizzazione delle Rems, che non sarebbero poi così indispensabili. O almeno non nella misura prevista dalla legge inizialmente, secondo cui i posti letto disponibili dovrebbero essere in tutto 900. Un numero stabilito sulla base degli internati presenti negli Opg al momento della stesura della legge Marino del 2013. Il cui fine però non «deve essere un travaso delle persone da una struttura a un’altra», dice Stefanno Cecconi, «ma l’individuazione di percorsi di cura e riabilitazione individuali, potenziando i servizi socio-sanitari territoriali». Tanto più che secondo la relazione presentata al Parlamento dai ministri Beatrice Lorenzin e Andrea Orlando, più del 50% dei pazienti presenti negli Opg è stato giudicato “dimissibile” e quindi non più socialmente pericoloso. «Questo riduce il fabbisogno previsto per le Rems», dice Cecconi. «Tra i pazienti non dimissibili, poi, la maggior parte lo è per ragioni cliniche e solo una piccola percentuale conserva la condizione di pericolosità sociale che prevede la presenza di strutture adeguate». Insomma, «la condizione è affrontabile anche se, come viene fuori dalla relazione, le strutture non saranno costruite nei tempi previsti dalla legge. Un’altra proroga sarebbe delittuosa».
Intanto le regioni si stanno attivando. C’è chi chiede aiuto alla struttura di Castiglione delle Stiviere, in provincia di Mantova, l’unica dove le cure sanitarie prevalgono già da tempo sulla reclusione così come chiede la legge (e che per questo verrà in parte “salvata” e riqualificata per una capienza di 120 posti). E c’è anche chi sta unendo le forze per individuare strutture comuni tra più regioni, di fatto contravvenendo allo spirito della legge che prevede che i pazienti debbano essere curati nei territori di appartenenza, superando quindi la formula di una struttura per più regioni come accade oggi.
La
legge 81 del 2014, frutto delle proroghe e delle modifiche delle leggi precedenti, prevede che per l’infermo o seminfermo di mente il giudice disponga la misura di sicurezza in una struttura di custodia «quando sono acquisiti elementi dai quali risulta che ogni misura diversa non è idonea ad assicurare cure adeguate e a fare fronte alla sua pericolosità sociale». Tradotto: un malato deve essere inviato in una Residenza per l’esecuzione della misura di sicurezza solo in casi estremi. Le Rems sono istituti da 20 posti al massimo a gestione prevalentemente sanitaria e con una vigilanza perimetrale «ove necessario», cioè per i casi ritenuti più pericolosi. In alternativa ci sono comunità, centri di salute mentale o in alcuni casi anche il ritorno in appartamento, con le famiglie o no, come è già accaduto per alcuni pazienti toscani. Il problema è che nonostante le regioni abbiano rivisto al ribasso la cifra iniziale dei 900 posti letto, i progetti non sono comunque realizzabili nei tempi previsti dalla legge. Nonostante avessero già i finanziamenti pronti e nonostante per la gestione delle Rems sia previsto addirittura uno sblocco del turnover. Che significa: la possibilità di assumere persone.
Dalla relazione presentata al Parlamento, viene fuori che a novembre 2014, cioè a quattro mesi dalla data ultima di superamento degli Opg, Friuli, Valle D’aosta, Campania, Calabria, Sardegna e le province autonome di Trento e Bolzano non avevano ancora trasmesso un programma di utilizzo dei finanziamenti. Mentre Piemonte, Lombardia, Umbria, Marche, Molise, Puglia e Sicilia avevano trasmesso un programma non conforme alle indicazioni ministeriali.
I progetti delle regioni non sono realizzabili nei tempi previsti dalla legge. E intanto si cerca di mettere una pezza, anche chiedendo aiuto a Castiglione delle Stiviere
La Toscana, ad esempio, che pure è all’avanguardia su altri temi sanitari (vedi la fecondazione eterologa), ha presentato un progetto che sfora di almeno due anni i termini previsti dalla legge 81, e ancora non ha individuato le strutture sostitutive dell’Opg di Montelupo Fiorentino, dove a fine anno erano internate ancora 80 persone. All’inizio si era pensato a un edificio di San Miniato, ma il sindaco ha detto di no. Gli altri progetti prevedevano di riutilizzare le carceri di Empoli o di Massa Marittima, ma ancora non è stata presa una decisione definitiva. In base ai dati indicati dalla relazione di Lorenzin e Orlando, i pazienti toscani, di cui quindi la regione dovrà prendersi cura, sono in tutto 33, di cui 15 dimissibili. I numeri, quindi, non sono alti. Nella relazione al parlamento, si parla di un accordo interregionale stipulato tra Toscana e Umbria, ma i tempi di realizzazione sono stimati da 9 e 30 mesi. Nel frattempo da Firenze avrebbero chiesto di trasferire i pazienti toscani di Montelupo nell’Opg di Castiglione delle Stiviere, pagando una retta. Quello che si sa, finora, è che la villa medicea di Montelupo che ospita i pazienti potrebbe essere trasformata in un albergo di lusso e che,
come ha dichiarato il direttore del Dap Toscana, arrivare alla chiusura dell’Opg entro il 31 marzo sarà «molto difficile».
In Sicilia, dove dovranno farsi carico di un centinaio di pazienti, all’inizio si era pensato addirittura di riutilizzare la vecchia struttura del 1925 di Barcellona Pozzo Di Gotto, salvo poi ripensarci e individuare quattro nuove sedi tra Messina, Caltanissetta e Caltagirone, in provincia di Catania, dove già esiste un polo psichiatrico. In Calabria, per sistemare i 31 pazienti (di cui 5 non dimissibili) presenti per lo più nella vicina Sicilia hanno pensato di riutilizzare le strutture già esistenti. Compreso l’ex manicomio di Girifalco, in provincia di Catanzaro, quello a cui Simone Cristicchi si ispirò anche
per una sua canzone. Ma anche qui per l’apertura bisognerà aspettare ben oltre la data del 31 marzo. Nebbia fitta anche per Lazio e Campania, tra le regioni a dover rispondere del maggior numero di pazienti internati (104 per il Lazio, 115 per la Campania), e pure per l’accordo interregionale Abruzzo-Molise, che prevede la realizzazione di 20 posti letto in non meno di «2 anni e 9 mesi».
Con il ridimensionamento delle Rems, «le regioni hanno accelerato il lavoro dando priorità all’individuazione dei percorsi di cura degli oltre 400 pazienti dimissibili», racconta Stefano Cecconi di Stop Opg. Ma per il superamento degli Opg e le dimissioni dei pazienti serve un coordinamento tra Regioni, Comuni, Asl, ministero della Sanità e della Giustizia. Niente di difficile, in teoria. Non in Italia. I magistrati dovrebbero ridurre al minimo gli invii in Opg, preferendo le misure alternative e i percorsi di cura. Ma i servizi a disposizione del magistrato non sono sufficienti. È un cane che si morde la coda, e così anche molti dei pazienti dimissibili oggi sono ancora in Opg e il rischio è che molti verranno solo “travasati” dalle vecchie alle nuove strutture.
«Non è con le scorciatoie e la ripetizione delle logiche manicomiali che si chiudono gli Opg giusto per dire di rispettare i termini di chiusura», dice Cesare Bondioli. «Ogni ipotesi di proroga va rifiutata, e un ridimensionamento dei progetti delle Rems di certo contribuisce a rispettare le scadenze. Servono programmi individualizzati di presa in carico territoriale degli attuali internati dichiarati dimissibili. I programmi di dimissione e i relativi progetti terapeutici individuali, anziché essere trasmessi al ministero e poi messi in un cassetto in attesa degli eventi, dovrebbero trovare concreta attuazione nel territorio dei dipartimenti di salute mentale di competenza usufruendo delle risorse già disponibili visto che, almeno gli oltre 400 pazienti dichiarati dimissibili a giugno 2014, una volta revocata la misura di sicurezza non differiscono in nulla dai “normali” utenti dei servizi di salute mentale. Così si riduce anche il numero di posti letto nelle Rems, facilitandone anche la realizzazione».
Gli Opg e l’ergastolo bianco In Italia a oggi esistono sei Opg, ciascuno a copertura di più regioni. Dalla denuncia della Commissione parlamentare d’inchiesta a oggi, il numero degli internati è in costante diminuzione. Da giugno a ottobre 2014 i detenuti sono calati da 826 a 780, meno della metà rispetto ai 1.600 del 2010. Queste strutture, ex manicomi criminali a cui è stato affidato poi l’acronimo Opg, sono una sorta di somma tra il carcere e il manicomio. Chi commette un crimine ed è incapace di intendere e di volere perché affetto da gravi disturbi mentali non può essere condannato a una pena da scontare in carcere. Se la persona è dichiarata anche socialmente pericolosa viene sottoposta a una misura di sicurezza. E nei casi più gravi, si aprono le porte di un Opg. La differenza principale tra pena e misura di sicurezza, però, è nella durata: la pena ha una durata certa, che di solito di accorcia; la misura di sicurezza si può prorogare anche all’infinito ed è per questo che si parla di “ergastolo bianco”. Come le storie riportate negli atti della commissione d’inchiesta Marino. Nel 1992 un uomo, fingendo di avere una pistola in tasca, fa una rapina e viene arrestato. Dichiarato incapace di intendere e di volere, ha trascorso più di vent’anni nell’Opg di Barcellona Pozzo di Gotto, mentre i suoi complici, senza alcuna infermità mentale, non hanno fatto neanche un giorno dietro le sbarre.
La legge 81 pone il problema della gestione della pericolosità sociale dei soggetti che rischiano di finire fuori dalle Rems senza alcuna vigilanza. Serve una via di mezzo tra l’ergastolo bianco e la totale libertà
Non solo. «L’80% delle persone uscite dagli Opg», spiega Cesare Bondioli, «è tornato in altri istituti psichiatrici o comunità, di fatto rientrando in una logica manicomiale. I dipartimenti di salute mentale hanno difficoltà a prendere in carico i pazienti in maniera singola, così preferiscono affidarli a modalità collettive di gestione. Succede anche con i pazienti psichiatrici che non hanno avuto problemi con la giustizia. Dopo la legge 180 sono cresciuti i posti nelle residenze di tipo psichiatrico e oggi sono oltre 20mila». La stessa logica si ripeterà se il modello seguito nella riforma degli Opg sarà solo quello delle Rems. «I detenuti degli Opg dichiarati dimissibili non hanno necessità di andare nelle Rems», continua Bondioli. «Perché un detenuto che non è più ritenuto socialmente pericoloso esce dal carcere e queste persone invece devono restare in strutture controllate?».
I problemi della legge La proroga, comunque, nonostante le difficoltà questa volta non ci sarà, assicurano tutti. «Ma le regioni che allo scadere del tempo non saranno pronte dovranno essere commissariate», dice Stefano Cecconi. Resta aperto un solo punto, sollevato anche dalla Associazione nazionale magistrati (Anm): la legge 81 dispone che sia le misure di sicurezza detentive (provvisorie o definitive) che i ricoveri nelle Rems non possono protrarsi per una durata superiore al tempo stabilito per la pena prevista per il reato commesso, fatta eccezione per i reati per i quali è previsto l’ergastolo. I giudici saranno così tenuti a revocare le misure di sicurezza per internati pericolosi che abbiano superato il limite massimo, senza però che vi sia nessuno che se ne faccia carico. Il risultato è che soggetti ad alta pericolosità sociale potrebbero finire fuori dalle strutture vigilate senza che siano state predisposte le necessarie misure sanitarie, sociali e giudiziarie. Con gravi conseguenze sia per la salute del paziente, sia per la sicurezza. «La libertà vigilata “mantiene” in qualche modo una attenzione alla persona: può funzionare come momento di presa in carico ma la espone al rischio di violare prescrizioni e quindi di tornare in Opg, mentre la liberazione incondizionata evita questo rischio ma può accompagnarsi all’abbandono della persona», dicono da Stop Opg. «Su questo problema è necessario aprire un confronto. Bisogna individuare una via di mezzo tra l’ergastolo bianco e la libertà incondizionata». E anche dall’Anm dicono: sì alla chiusura degli Opg, ma «avvio di una seria riflessione per una revisione complessiva della materia».