E Renzi arrivò alle minacce con Berlusconi: strappo il Patto se non decidi sull'Italicum. Invano...
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Alla fine di due ore e mezza di colloquio con l’alleato di opposizione Silvio Berlusconi, Matteo Renzi sarebbe arrivato anche alle minacce. Della serie: se non decidi sulla legge elettorale nel giro di 4-5 giorni, faccio carta straccia del Patto del Nazareno e la approvo a maggioranza o con il M5s. Ma la minaccia non è servita a smuovere l’ex Cavaliere, come al solito accompagnato a Palazzo Chigi da Gianni Letta e Denis Verdini. L’ex premier se ne va dopo pranzo, fermo sull’intenzione di prendere ancora tempo sul nuovo Italicum, sebbene si dica d’accordo sull’impianto complessivo, con l’innalzamento della soglia del premio di maggioranza al 40 per cento, la soglia di sbarramento per i piccoli al 5 per cento, finanche il premio alla lista e non alla coalizione. Tutto in teoria, perché nella pratica Berlusconi non dà via libera: la legge elettorale resta ferma dove giace ora, in prima Commissione al Senato. Berlusconi sa che Renzi non può rompere il patto del Nazareno, sa che in fondo il premier non ha un piano B. O quanto meno il piano B è di complicatissima realizzazione.
Il voto anticipato fa paura. Berlusconi non si fida: continua a pensare che un via libera al nuovo Italicum porterebbe dritto dritto alle urne in primavera. Non è servita nemmeno la rassicurazione di Renzi sul fatto non è sua intenzione tornare al voto. Il premier lo ha ripetuto a Berlusconi. Lo ridice anche nel libro di Bruno Vespa, secondo le anticipazioni diffuse oggi: “A me converrebbe portare a casa il consenso fortissimo delle elezioni europee per individuare un gruppo dirigente più vicino e più fedele. Ma se vogliamo rispettare gli interessi degli italiani, non ha senso cambiare verso a 300 deputati, ma cambiare il Paese. Quindi no, niente elezioni anticipate”. Soprattutto, l’idea di Renzi sarebbe quella di portare in aula il nuovo Italicum completo di quell’emendamento D’Attorre che a febbraio fu approvato alla Camera per rendere la nuova legge elettorale valida solo per Montecitorio e non per Palazzo Madama, istituzione per la quale non si voterà più con elezione diretta una volta approvata in via definitiva la riforma costituzionale Boschi. Insomma, l’emendamento D’Attorre diventerebbe una garanzia del fatto che una volta fatta la legge elettorale non si torna al voto: bisogna prima aspettare la riforma costituzionale, ferma alla Camera. Per cominciare a incardinarla, proprio oggi il ministro Boschi ha incontrato i componenti della Commissione Affari Costituzionali di Montecitorio. Niente: Berlusconi non si fida. E per questo ha preso tempo.
La minaccia (credibile?) di approvare l’Italicum a maggioranza. Ed è per questo che nel faccia a faccia di oggi, ben due ore e mezza, non sono mancati momenti di tensione. Secondo alcune ricostruzioni, il premier sarebbe arrivato al punto di minacciare Berlusconi. Della serie: se non voti il nuovo Italicum, abbasso le soglie di accesso al 2 per cento e la faccio a maggioranza con Alfano. Ma si tratta di una minaccia poco credibile, che infatti non ha smosso l’ex Cavaliere. Anche Alfano infatti non ha interesse ad accelerare sulla legge elettorale, anche lui teme un’accelerazione verso le urne anticipate, spettro che del resto agita tutti in Parlamento, anche lo stesso Pd.
L’arma spuntata di approvare l’Italicum con il M5s. L’unico interlocutore politico che potrebbe non avere timori in questo senso è il Movimento Cinque Stelle. I renziani sanno che il premio di maggioranza alla lista e non alla coalizione in fondo è una delle proposte dei grillini. Dunque, sulla carta, un’intesa con loro sul sistema di voto potrebbe essere possibile. Ma questa è un’arma che Renzi vuole agitare senza usarla fino in fondo. Perché? Per non rompere il Patto del Nazareno. Un’esigenza che emerge anche su altre tematiche, come l’elezione parlamentare dei due componenti della Consulta e un membro del Csm ancora vacanti. Nonostante l’intesa raggiunta con il M5s sull’elezione Silvana Sciarra (indicata dal Pd) per la Consulta e Alessio Zaccaria (indicato dai cinquestelle) per il Csm, Renzi aspetta che Forza Italia indichi il suo candidato per la Corte Costituzionale, dopo il ritiro dalla corsa della Maria Alessandra Sandulli. Tanto che anche la seduta di voto di domani potrebbe saltare. Trovare un’intesa con i cinquestelle sulla legge elettorale significherebbe dunque girare le spalle a Berlusconi, fare carta straccia del Patto del Nazareno e davvero aprire la porta al voto anticipato. Perché, oltre al nuovo sistema di voto, i renziani non immaginano di poter portare avanti un programma di legislatura con i grillini. E anche se finora il soccorso azzurro di Berlusconi non è mai stato necessario, nemmeno sul Jobs Act al Senato, comunque il conforto di Forza Italia sulle riforme si è dimostrato utile, anche solo come arma di minaccia da usare anche solo all’interno dello stesso Pd.
La fronda Dem contro i capilista bloccati. E c’è da dire che anche tra gli stessi Dem c’è maretta sulla legge elettorale. Alla minoranza del partito non va giù il sistema proposto da Renzi che prevede i capilista bloccati – dunque scelti dal leader – e tutti gli altri eletti con le preferenze. Il capogruppo del Pd alla Camera Roberto Speranza lo ha anche sottolineato ieri sera nella riunione dei parlamentari del Pd con il segretario. E’ un sistema a rischio incostituzionalità, sostengono nella minoranza facendo riferimento alla bocciatura del sistema di liste bloccate del Porcellum da parte della Corte Costituzionale. Un’osservazione che costringe il ministro Boschi a frenare: “E’ un’ipotesi che dobbiamo valutare insieme agli alleati”. Per lunedì è convocato un vertice di maggioranza sulla legge elettorale: chiesto da Alfano.
Tutto ancora in altomare, dunque. Nonostante il tentativo di Renzi di accelerare per consegnare anche a Giorgio Napolitano una nuova legge elettorale che gli consenta di concludere il secondo mandato al Colle all’inizio dell’anno nuovo, dopo il semestre di presidenza italiana dell’Ue. E va detto che il Patto del Nazareno darà indicazioni anche sul prossimo presidente della Repubblica. A questo proposito, nel libro di Vespa, il segretario del Pd precisa che non è detto che il prossimo capo dello Stato sia una donna (“Non è un problema di genere”) e torna a chiedere ai parlamentari Dem di “resistere alle campagne di comunicazione”, “spegnere i telefonini” quando si tratterà di eleggere il prossimo presidente, cioè di non seguire tweet e indicazioni della rete come è successo l’anno scorso quando il nome di Stefano Rodotà diventò un fenomeno di massa sui social e nelle manifestazioni dei grillini davanti al Parlamento. Significa che il prossimo candidato al Quirinale non sarà un nome ‘popolare’? Possibile.
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