sabato 1 aprile 2017

Anche questa balla detta dalla Raggi si è chiusa. Come la trasparenza. Come lo streaming. Come il non statuto. Come uno vale uno. Ma andate a.........lavorare qualche annetto prima di far politica.

Era una delle promesse elettorali della Raggi. Ma oggi tanti ostacoli sembrano frapporsi tra il progetto e la realtà
NEXT QUOTIDIANO
La funivia di collegamento tra Casalotti e Battistini era una delle promesse elettoraliche Virginia Raggi ha puntualmente rilanciato a fine ottobre. Ma i costi elevati – seppure di molto inferiori alle linee di metro e di tram – e i problemi con la burocrazia rischiano di far saltare il progetto. Per la cui realizzazione servono «cento milioni, anche centoventi», come dice dopo il blitz romano il manager della Leitner, colosso mondiale nella realizzazione degli impianti a fune. Andrea Arzilli sul Corriere della Sera oggi racconta:
«Cento milioni di euro, forse anche centoventi», conferma dopo il blitz romano Giorgio Pilotti, manager del settore vendite per Leitner ropeways, italianissimo leader mondiale nella realizzazione di impianti a fune. Cioè non molto, almeno relativamente ad una linea di metro, che costa dieci volte tanto, o una di tram, i cui costi sono da moltiplicare per tre rispetto alla fune.
Ma comunque troppo per un Comune che ha entusiasmo e problemi inversamente proporzionali alle risorse in cassa. E forse non abbastanza per risolvere le possibili grane sul collegamento di 4 km e rotti tra Casalotti e la Metro A Battistini, tra burocrazia romana, ostacoli infrastrutturali e imprevisti da mettere in preventivo.
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Ci sono anche altri problemi burocratici alla base della difficoltà di realizzazione del progetto:
«Beh, qualche problema c’è senz’altro, abbiamo già fatto qualche valutazione di massima sul tracciato — ammette l’uomo di Leitner mentre fa ritorno a Vipiteno —. A Roma il primo potrebbe essere già nello scavo dei piloni o nell’interramento dei cavi dell’alta tensione (che per 4 km costa più o meno 1,5 milioni): se per esempio spunta una tomba di Traiano? I tempi di dilatano e magari è necessario variare il progetto.
Poi c’è una burocrazia molto faticosa e troppo suscettibile alla politica: a Cassino avevamo progettato il collega mento con l’Abbazia, era pure già pronto il project financing, ma la funivia non è uscita viva dalla battaglia politica. E infine il tracciato Casalotti-Battistini dovrebbe sorvolare il Gra ed è necessario sapere cosa ne pensa Anas». Nulla, per ora. La Conferenza dei servizi per la funivia è ancora molto lontana, in effetti. Perché al momento Anas «non è stata interpellata per nessun progetto», dice la comunicazione dell’ente. Siamo quindi alla pura teoria, con qualche sopralluogo di esperti del settore come unico aggancio pratico alla realtà.

Ma sul link Putin-Grillo Travaglio tace, meglio parlare della Madia

Il Fattone
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La notizia dell’appoggio russo al M5S per il Fatto non esiste
 
La Russia di Putin ormai da anni interferisce nella vita democratica dei paesi occidentali, nel tentativo di alterarne l’equilibrio politico a favore delle forze populiste, xenofobe, autoritarie: ciò che sembrava soltanto un sospetto o un’intuizione è ormai diventata una certezza.
Negli Stati Uniti, dove già il Dipartimento di Stato aveva avvertito i governi europei durante l’amministrazione Obama, è in corso un’indagine dell’Fbi che rischia di travolgere lo stesso Trump; in Francia si parla esplicitamente dell’appoggio di Putin a Marine Le Pen e si ipotizza da mesi l’esistenza di un dossier, confezionato dai russi, per screditare Macron; in altri paesi d’Europa sono in corso indagini e inchieste.
La questione è molto seria, perché riguarda il cuore dell’Occidente, cioè il corretto funzionamento di quelle istituzioni democratiche di cui Putin ha fatto scempio in patria: per questo la preoccupazione e l’attenzione sono altissime.
E in Italia? Un informato articolo di Paolo Mastrolilli, corrispondente della Stampa dagli Stati Uniti, ha rivelato ieri che la Casa Bianca ha suggerito all’Italia di “fare attenzione ai legami tra governo russo e M5s”.
“Fonti governative americane – proseguiva l’articolo – hanno spiegato di essere preoccupate in particolare per l’influenza che Mosca starebbe cercando di esercitare sulle prossime elezioni politiche in Italia ‘nell’ambito di una strategia di interferenza che tocca tutta l’Europa, dopo quella adottata durante le presidenziali degli Stati Uniti’”.
Che i grillini amino l’autocrate del Cremlino è cosa nota.
Proprio nei giorni scorsi, commentando gli arresti di massa alla manifestazione antigovernativa di Mosca, Manlio Di Stefano – noto fra l’altro per aver equiparato “gli eserciti occidentali che massacrano milioni di civili inermi in Iraq o Afghanistan” all’Isis – invitava a “parlare di Guantanamo” anziché della repressione putiniana, mentre Luigi Di Maio insisteva nel chiedere il ritiro delle sanzioni alla Russia. Del resto, è stato Beppe Grillo in persona a lodare gli “uomini forti” Trump e Putin.
Ma tutto questo per il Fatto non esiste, e se esiste è soltanto per scherzarci sopra: oggi un corsivo denuncia indignato il “nuovo maccartismo alle vongole” che colpirebbe i poveri grillini, i quali, com’è noto, sono sempre vittima di orribili complotti, mentre al contrario i loro avversari sono sempre e comunque colpevoli di qualche crimine inconfessabile.
Per il quarto giorno consecutivo il Fatto dedica la sua apertura alla tesi di dottorato di Marianna Madia, accusata senza fondamento di plagio e subito condannata senza appello da Travaglio e dai parrucconi di “Libertà e giustizia”: ma se il governo degli Stati Uniti – non un pizzino raccolto da Woodcock nella spazzatura – informa il governo italiano dei legami occulti fra M5s e Putin, la notizia semplicemente scompare.

Sconfitta alle urne, fa carriera in Atac: il M5S tiene famiglia

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Bianca Maria Zama, 42 anni, sconfitta alle Europee, diventa capo dell’antifrode in Atac
 
Tutti tengono famiglia. Di sangue, politica, di corrente e di partito. Lo sappiamo e nessuno si può fare avanti petto in fuori sostenendo il contrario. La novità è che tengono famiglia, politica e di corrente, anche i 5 Stelle. Niente di male, nulla di penalmente rilevante. Al tempo stesso però è il caso di smettere di rivendicare una supposta diversità morale. Rilevano, in questo senso, due casi delle ultime settimane. Il primo riguarda Bianca Maria Zama quarantenne di Albano Laziale che nel 2014 è risultata la prima dei non eletti alle Europee. Smaltita la delusione, la dottoressa Zama – è laureata in Economia e commercio a La Sapienza – ha scalato, in un mese, le vette di Atac: prima come capo dell’ufficio Audit e poi, da febbraio, come capo dell’ufficio Antifrode, un ufficio delicatissimo specie in Atac che è nel mirino della magistratura con almeno tre filoni di indagine. Quello dei bus dati alle fiamme è solo l’ultimo

lunedì 27 marzo 2017

lunedì 27 marzo 2017 08:15 

Marika Cassimatis: Bruno Tinti sul Fatto torna a spiegare la legalità a Beppe Grillo

Il magistrato Bruno Tinti torna oggi a dedicarsi sul Fatto Quotidiano all’impresa di spiegare la legalità a Beppe Grillo. Il caso in discussione oggi è quello di Marika Cassimatis (che, chissà perché, in tutto il pezzo e nelle didascalie viene chiamata Kassinatis), che ha già presentato querela al padrone del MoVimento 5 Stelle e ad Alessandro Di Battista per le frasi con cui la avevano descritta nei giorni scorsi e si appresta a portare al tribunale civile Beppe per far valere le sue ragioni. Qualche tempo fa Tinti aveva spiegato a Grillo che il suo regolamento non era democratico. Oggi spiega le ragioni della Cassimatis:
Su ilfattoquotidiano.it del 21 marzo l’avvocato Lorenzo Borré, commenta l’esclusione della vincitrice delle comunarie di Genova, Marika Kassinatis (rectius: Cassimatis, ndr): “La figura del garante non è prevista né dal ‘Non Statuto‘né nel ‘Regolamento’. Così come quella del ‘Capo politico’, che non e stata prevista originariamente dallo ‘S tatuto’, ma solo dal ‘Regolamento’. E il regolamento non è stato approvato in un’assemblea, che il diritto civile prevede composta da almeno i 3/4 dei componenti; per cuitutte le decisioni adottate potrebbero crollare di fronte a un’impugnazione”.
Considerazioni ineccepibili giuridicamente che potrebbero fondare un ricorso davanti al giudice civile perché dichiari l’annullamento della decisione di non concedere l’utilizzo del simbolo alla lista di Genova con candidata sindaco Marika Kassinatis (rectius: Cassimatis, ndr) e condanni Grillo (non M5S che, come tutti i partiti, è un’associazione non riconosciuta, priva di personalità giuridica) al risarcimento dei danni patrimoniali (eventuali spese per la campagna elettorale) e non patrimoniali (danno morale conseguente all’espulsione dal partito).
marika cassimatis
Tinti segnala di essere favorevole al principio delle espulsioni, ma aggiunge che ciò che non torna è il metodo utilizzato da Beppe & Co. nella valutazione dei casi:
Valutazione che però deve essere affidata alla decisione di un’assemblea, preceduta, se lo statuto del partito-associazione lo prevede, da un parere del collegio dei probiviri; enon daun autoproclamatosi “garante ”, “capo del partito”, “duce”o “fuhrer” che – consapevole d el l’illegittimità del suo operato –ne fa una questione di fiducia (Fidatevi di me). Un’assemblea, dunque, che possa valutare le ragioni di un’eventuale espulsione. Ragioni che, nel caso di specie, consistono in asseriti (da Grillo) “comportamenti contrari ai principi del M5S prima, durante e dopo le selezioni online del 14 marzo 2017. In particolare hanno ripetutamente e continuativamente danneggiato l’immagine del M5S, dileggiando, attaccando e denigrando i portavoce e altri iscritti, condividendo pubblicamente i contenuti e la linea dei fuoriusciti dal M5S”.
Comportamenti che – scrive Grillo sul suo blog – “gli sono stati segnalati dopo l’esito delle votazioni, con tanto di documentazione”. “Segnalati ”; da chi? E poi, perché “dopo l’esito delle votazioni ”? Non sarebbe stato naturale segnalarli all ’atto della candidatura della Kassinatis (rectius: Cassimatis, ndr) e non dopo, quando inaspettatamente aveva prevalso su Luca Pirondini, preventivamente scelto da Grillo? È evidente che si voleva evitare la patata bollente di un’espulsione preventiva, contando sulla vittoria di Pirondini; quando non c’è stata, Grillo (e non il partito) ha deciso di prevaricare il risultato delle comunarie.

I grillini sono nati bugiardi e moriranno bugiardi.


26 marzo 2017

M5s, guida al meccanismo (con qualche ombra) degli stipendi

Cedolino della Camera a partire da 10 mila euro lordi. Rimborsi forfettari. E fondi restituiti alle Pmi. Ma le spese auto-certificate sono senza documenti. Le buste paga grilline da oltre 3 mila euro voce per voce.

             
Per svolgere i conti mostrati nell'articolo “M5s, i veri calcoli sugli stipendi dei parlamentari” sono stati usati esclusivamente documenti pubblicati dai deputati sul loro sito ufficiale tirendiconto.it, consultando i quattro documenti da loro caricati. Ovvero:
  • copia bonifico effettuato al fondo microcredito;
  • busta paga M5s col totale trattenuto;
  • cedolino della Camera con lo stipendio;
  • cedolino della Camera con i rimborsi forfettari.
Questi sono le uniche carte che i pentastellati caricano sul sito. Ovvero, gli unici documenti su cui non c'è molto margine di discussione. Le altre spese da loro dichiarate sono auto dichiarazioni senza nessuna “pezza d'appoggio”, o se c'è non l'hanno pubblicata (come il contratto dei collaboratori, per esempio).
CEDOLINI DELLO STESSO VALORE. Per quanto riguarda i due cedolini Camera, questi documenti, euro più euro meno, vengono prodotti per tutti i parlamentari di tutti i partiti. E che, fatti i dovuti distinguo tra chi prende o rinuncia a indennità di carica (come Luigi Di Maio che ha detto no all'indennità da vice presidente della Camera), hanno più o meno lo stesso valore.
TOTALE DI 5 MILA EURO NETTI. Il cedolino dello stipendio lo elabora la Camera partendo da 10 mila 345 euro lordi a deputato. Come si può vedere nel caso di Alessandro Di Battista, vengono sottratti a questo importo le somme relative a “Fondo sociale”, “Assistenza sanitaria integrativa” e “Previdenza”. Per un totale di 2 mila 229,08 euro. E fino a qui è uguale per tutti i deputati. A questo si tolgano anche le “spese barberia” (è il barbiere della Camera di cui evidentemente ha fatto uso) che ammontano a 8 euro, per il mese di gennaio 2015, che verranno scalate dallo stipendio di Di Battista. Oltre a questo i contabili della Camera applicano una imposta lorda da sottrarre di 2 mila 959,38 euro. E così si arriva a un totale di 5 mila 189,63 euro netti.
Fino a qui è uguale per tutti i deputati. Ma i cinque stelle, tramite un conteggio fatto da un loro consulente del lavoro, si riducono lo stipendio non a 5 mila euro netti, bensì lordi. Quindi basta aprire questo altro documento per vedere che il totale netto che il deputato M5s deve prendere per scelta politica ammonta, in questo esempio di Di Battista, a 3 mila 218,16 euro. La differenza di 2 mila 38,28 euro viene restituita nel totale che si versa mensilmente al fondo microcredito. Per arrivare rapidamente al totale netto annuo basta prendere la dichiarazione dei redditi, sottrarre le tasse (35 mila 531 euro) al montante lordo (98 mila 471). Il netto è ciò che resta nel c/c del deputato: 60 mila 960 euro.
Il cedolino dei rimborsi forfettari lo elabora la Camera secondo un regolamento che prevede che i rimborsi per deputato, detassati, vengano erogati in base ad alcuni criteri:
  • le presenze o assenze (non giustificate) in Aula;
  • la presenza o meno di uno o più collaboratori con regolare contratto depositato;
  • il rimborso di spese viaggi (istituzionali o non) effettuati con Alitalia o Trenitalia.
Il cedolino, come tutti possono vedere, è composto dalla voce “diaria parte variabile” che è una cifra uguale per tutti i deputati (M5s e non): 3 mila 373,43 euro. Stessa cosa vale per la voce “diaria parte fissa” di 129,68 euro. La voce “rimb. spese forfettarie esercizio di mandato” è anch'essa una quota fissa che ricevono tutti, pensata per pagare le spese dell'ufficio, le attività sul territorio e il collaboratore del deputato, e ammonta a 1.845 euro.
Poi c'è una voce simile, “rimb. spese esercizio di mandato”, ma che viene inserita solo se il deputato ha un collaboratore con contratto regolare depositato alla Camera (può avere anche più collaboratori con contratto, ma senza che sia depositato). L'assistente avrà quindi un badge per entrare e uscire dagli uffici della Camera. Questa ulteriore cifra ammonta ad altri 1.845 euro, che compongono il totale spese esercizio di mandato di 3 mila 690 (al Senato sono 4.180).
TRATTENUTE PER LE ASSENZE. Fatta la somma di tutto, si arriva a 8 mila 854,96 euro a cui si devono togliere le trattenute, ovvero le assenze dall'Aula, per esempio, che in questo ammontano a 206,58 euro, e le assenza in Commissione (Esteri per Di Battista) per 300 euro. Al netto appare un rimborso di 8 mila 348,38 euro (ciò che entra nel c/c). Il criterio fino a qui utilizzato è applicabile a qualsiasi deputato.
NESSUNA FATTURA COME PROVA. Di questa quota esentasse, Di Battista & co. rendono realmente noto quanto hanno speso. Peccato che non carichino sul sito alcuna fattura che possa realmente provare il costo d'affitto, di ristoranti, di spese telefoniche, taxi e dei collaboratori. Per questo motivo da adesso in poi analizzeremo lo stipendio su due direttrici: sui documenti e sulla fiducia verso ciò che ci racconta Di Battista.
Di Battista 2015
Senza documenti che certificano le spese i maligni potrebbero pensare che stia gonfiando la rendicontazione per restituire meno soldi nel famoso fondo per le Piccole e medie imprese
Stando ai documenti, sappiamo che i collaboratori dovrebbero venire pagati per un massimo di 3 mila 960 euro al mese. Se il deputato spende meno, si tiene la differenza, e se spende di più li deve mettere di tasca sua. È la parte chiamata “spese esercizio di mandato” che abbiamo già incontrato. All'anno Di Battista dovrebbe sborsare per questo tipo di spese 44 mila 280 euro, ma come evidenziato nell'articolo precedente, Di Battista dichiara di spenderne di più, ovvero 58 mila 26 euro.
COSTI TELEFONICI ALLE STELLE... Nel caso del mese preso in esame in questo articolo, a fronte di 3 mila 690 euro ne spende 5 mila 138,9. Quindi la differenza di 1.448,9 euro la mette di tasca sua. Affinché ciò sia credibile dovrebbe pubblicare i documenti, altrimenti i maligni potrebbero pensare che stia gonfiando la rendicontazione per restituire meno soldi nel famoso fondo per le Piccole e medie imprese. Altre spese che rendiconta parlano di costi telefonici per 221,75 euro (ma con 20 euro al mese si hanno minuti illimitati con le offerte di oggi), nessun affitto (dato che vive a Roma), spese di benzina e taxi per 363 euro e pranzi e cene per 646.
Spadoni 2015
Anche in questo caso bisogna andare sulla fiducia. Ma si tratta di spese che il deputato romano sostiene per fare quello che fanno tutti i comuni cittadini: vivere. Quindi sono, secondo il criterio della logica comune, da considerarsi come soldi che utilizza per vivere. Ogni comune cittadino infatti, coi soldi del proprio stipendio ci paga vitto, alloggio, benzina eccetera. Sono soldi quindi che fanno parte del totale stipendio.
ESEMPIO DI SOBRIETÀ. La somma di tutte queste voci porta a 6 mila 419,311 euro che sottratti al rimborso ricevuto dalla Camera di 8 mila 348,38 euro, risulta un avanzo di 1.929,07 che Di Battista restituisce assieme ai 2 mila 38,28 di prima. Per un bonifico complessivo documentato di 3 mila 957,45 euroAll'anno fanno un totale di 40 mila 852,57 euro (ciò che esce dal c/c). Un esempio di sobrietà che dovrebbero seguire, oltre ai deputati di altri partiti (che invece si intascano tutto) anche diversi suoi colleghi di partito.
La deputata M5s Spadoni da marzo a novembre 2015 ha dichiarato una restituzione al fondo Pmi sempre uguale, di 1.714,07 per ogni mese. Possibile che spenda ogni mese la stessa cifra?
Di Battista va in tivù a dire che guadagna 3 mila euro netti al mese per vivere. A conti fatti, sulla fiducia di quanto dichiarato online, l'onorevole prende 4 mila 316,96 euro al mese. Stando invece ai documenti e non alle parole, si arriva a 5 mila 462,46, come spiegato nel precedente articolo. Comunque sempre più dei 3 mila raccontati in televisione. E per capire quanto queste auto dichiarazioni non siano affidabili (per la parte non documentata) è sufficiente guardare una deputata come Maria Edera Spadoni che da marzo a novembre 2015 ha dichiarato una restituzione al fondo Pmi sempre uguale di 1.714,07 per ogni mese.
MEDIE MENSILI OLTRE 6 MILA EURO. E negli stessi mesi, sia che spenda più o meno dei rimborsi forfettari che riceve, la quota che restituisce è pari a zero. Possibile che spenda ogni mese la stessa cifra? No. Quindi sta semplicemente restituendo una quota a piacimento, sempre uguale, non legata realmente a quanto spende e dichiara online. Ecco perché quindi è più serio basarsi, per questi calcoli, solo sui documenti della Camera che determinano le entrate sul c/c dei deputati e sui bonifici da loro effettuati (cioè le uscite dal c/c). Al netto di quanto spendono per i collaboratori, si trova lo stipendio netto annuale col quale vivono. E stando ai documenti, per esempio, al netto di 44 mila 280 euro (dedicati ai collaboratori e spese di esercizio), la Spadoni ha incassato per il 2015 una media mensile di 6 mila 746,54 euro.
*Ex attivista e collaboratore parlamentare alla Camera per il Movimento 5 stelle

dipocheparole     venerdì 27 ottobre 2017 20:42  82 Facebook Twitter Google Filippo Nogarin indagato e...