Liberi cittadini contro il regime partitocratico, i privilegi della casta sindacale della triplice, la dittatura grillina e leghista, la casta dei giornalisti
sabato 27 aprile 2013
Speriamo che mandi a casa funzionari corrotti e traditori della costituzione italiana.
La prima intervista da neo ministro dell'Università e Ricerca
Carrozza: "Partirò dall'edilizia scolastica"
Giuseppe Alberto Falci
"Voglio dare impulso alla scuola: reclutamento dei docenti, rapporti con le aziende e ricerca."
Il neo ministro Carrozza
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È l'outsider del governo presieduto da Enrico Letta. Maria Chiara Carrozza, ex rettore del Sant'Anna di Pisa, e da poche settimana parlamentare del Pd, raggiunta telefonicamente da Linkiesta, è il neo Ministro dell'Istruzione. Amica di vecchia data del neo presidente del Consiglio, per la comune origine pisana, anche se il suo nome circolava nel totoministri non si aspettava «che fossi fra le persone che potevano essere nominate». Il primo provvedimento? «No, guardi è ancora troppo presto».
Ministro Carrozza, se l’aspettava? Come si sente?
Sono molto emozionata. Non sapevo che fossi fra le persone che potevano essere nominate.
Però Enrico Letta è pisano, lei è stata rettore del Sant’Anna, all’interno del quale il neo Presidente del Consiglio ha ottime entrature...
Certo lo conosco, però le assicuro che non l’ho sentito in questi giorni.
Il suo nome circolava da settimane in quota Bersani. Ma stando all’origine comune con Letta lei è in quota Sant’Anna, o in quota Pd?
Sì, se ne parlava. Ma non penso che il governo sia fatto a quote. Vengo dalla società civile, ma adesso sono una parlamentare del Pd.
Da dove partirà come Ministro dell’Istruzione?
Sicuramente vorrei portare impulso alla scuola, partendo dall’edilizia scolastica, dal reclutamento dei docenti, dai rapporti con le aziende, e dalla ricerca.
Ma il primo provvedimento quale sarà?
No, guardi ancora è troppo presto.
Come le sembra la squadra di governo di Enrico Letta?
Mah, diciamo che siamo consapevoli della difficoltà del momento e della responsabilità alle quali saremo sottoposti nei prossimi mesi.
@GiuseppeFalci
Leggi il resto: http://www.linkiesta.it/ministro-carrozza-edilizia#ixzz2Rh8eQxmk
Speriamo che mandi a casa funzionari corrotti e traditori della costituzione italiana.
La prima intervista da neo ministro dell'Università e Ricerca
Carrozza: "Partirò dall'edilizia scolastica"
Giuseppe Alberto Falci
"Voglio dare impulso alla scuola: reclutamento dei docenti, rapporti con le aziende e ricerca."
Il neo ministro Carrozza
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È l'outsider del governo presieduto da Enrico Letta. Maria Chiara Carrozza, ex rettore del Sant'Anna di Pisa, e da poche settimana parlamentare del Pd, raggiunta telefonicamente da Linkiesta, è il neo Ministro dell'Istruzione. Amica di vecchia data del neo presidente del Consiglio, per la comune origine pisana, anche se il suo nome circolava nel totoministri non si aspettava «che fossi fra le persone che potevano essere nominate». Il primo provvedimento? «No, guardi è ancora troppo presto».
Ministro Carrozza, se l’aspettava? Come si sente?
Sono molto emozionata. Non sapevo che fossi fra le persone che potevano essere nominate.
Però Enrico Letta è pisano, lei è stata rettore del Sant’Anna, all’interno del quale il neo Presidente del Consiglio ha ottime entrature...
Certo lo conosco, però le assicuro che non l’ho sentito in questi giorni.
Il suo nome circolava da settimane in quota Bersani. Ma stando all’origine comune con Letta lei è in quota Sant’Anna, o in quota Pd?
Sì, se ne parlava. Ma non penso che il governo sia fatto a quote. Vengo dalla società civile, ma adesso sono una parlamentare del Pd.
Da dove partirà come Ministro dell’Istruzione?
Sicuramente vorrei portare impulso alla scuola, partendo dall’edilizia scolastica, dal reclutamento dei docenti, dai rapporti con le aziende, e dalla ricerca.
Ma il primo provvedimento quale sarà?
No, guardi ancora è troppo presto.
Come le sembra la squadra di governo di Enrico Letta?
Mah, diciamo che siamo consapevoli della difficoltà del momento e della responsabilità alle quali saremo sottoposti nei prossimi mesi.
@GiuseppeFalci
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E vai con il liscio. Il capogruppo del PDL il partito più vicino alla CISL.
Inchiesta rimborsi Basilicata. Per la cena "argentina" dell'assessore 394 euro
Pubblicato: 27/04/2013 17:11 CEST | Aggiornato: 27/04/2013 17:11 CEST
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Il ristorante è uno dei più noti a Milano, in centro, specializzato nella cucina argentina: è il posto in cui sono stati spesi 394 euro (poi "riavuti" come rimborso per l'attività politica e amministrativa) in piatti tipici dal capogruppo del Pdl alla Regione Basilicata, Nicola Pagliuca - agli arresti domiciliari - coinvolto nell'inchiesta sui rimborsi illeciti, che ha assaggiato un "Gran Lomo", filetto di manzo da 99 euro, e un "Jamon Pata Negra" (prosciutto iberico) da 22 euro.
C'è anche questo negli scontrini controllati dai Carabinieri, dalla Polizia e dalla Guardia di Finanza nell'ambito dell'inchiesta della Procura della Repubblica di Potenza. Il pasto (sei coperti) è stato consumato il 9 luglio 2011. Nel menu del ristorante, il "Gran Lomo" risulta essere un singolo "filetto di manzo intero per quattro persone", mentre sono stati tre i commensali della cena offerta dal consigliere che hanno assaggiato il prosciutto iberico (per un totale di 66 euro). Nella fattura (poi "regolarmente" presentata agli uffici regionali) anche altre prelibatezze dai nomi esotici (come il piatto di "Rueda de Lomo" da 26 euro o di "Arroz verdulero" da 12): il tutto, ovviamente, bagnato da una bottiglia di "rosso" doc, un Amarone da 66 euro, e da due amari per chiudere la tavolata.
Migliaia di fatture, scontrini e ricevute, quelle "spulciate" dagli investigatori, da cui spuntano anche due vassoi di pasticcini (rigorosamente da due diversi negozi nello stesso paese) da 235 euro (234 "pezzi") e da 126 euro, acquistati il giorno del compleanno della figlia di Pasquale Robortella (Pd). Tra le decine "schede" consegnate alla Procura, ci sono anche le "prove" di un'auto noleggiata per le vacanze in Sardegna (355 euro, dal 9 al 19 agosto 2010) dal consigliere Luigi Scaglione (Popolari uni
Chi di rete perisce di rete ferisce. Finalmente la finiranno di dire che la rete é una cosa perfetta.
M5S/ Nuovo attacco hacker: mail compromettenti di Giulia Sarti a rischio pubblicazione
giovedì 25 aprile 2013
Hacker di tutto il mondo unitevi: perché chi di web colpisce, di web perisce. Sembra essere stato questo il motto dei pirati informatici, che si fanno chiamare “gli hacker del PD”, che per l'ennesima volta avrebbero deciso di prendere di mira il MoVimento 5 Stelle, colpendolo nella sua sezione bolognese ma minando le fondamenta dell'intero partito-non-partito di Beppe Grillo."Continueremo finché Grillo e Casaleggio non diranno la verità sui guadagni realizzati attraverso la politica", hanno fatto sapere gli anonimi pirati, minacciando di pubblicare online delle mail “compromettenti” di Giulia Sarti, deputata bolognese del M5S, che in parte hanno già provveduto a far circolare nel web. La corrispondenza telematica della Sarti farebbe emergere tutta la tensione e gli intrighi che sottostanno al M5S di Bologna, dopo che il gruppo dirigente guidato dai consiglieri comunali Massimo Bugani e Marco Piazza è entrato in rotta di collisione con una parte della base. Dopo la denuncia della Sarti alla polizia postale, la procura di Roma ha aperto un'inchiesta sulla vicenda per capire da quali pc sarebbe partita la violazione delle caselle mail.
Seconda parte delle bufale del clown Grillo.
Tre esempi da non seguire
di DAVIDE MARIA DE LUCA – @DM_DELUCA
Argentina, Ecuador e Islanda: perché sbaglia chi dice che dovremmo fare come questi tre paesi per risolvere la crisi, spiegato semplice
18 novembre 2012
7
La crisi in Islanda cominciò nel 2008 quando, appena esplosa la crisi di Lehman Brothers, le uniche tre banche del paese fallirono una dopo l’altra e furono nazionalizzate. I debiti della banche divennero parte del debito pubblico che di conseguenza aumentò di più dell’80% in poche settimane. Questo choc causò un crollo nel valore della moneta nazionale e una gravissima recessione.
Subito dopo l’inizio della crisi, nell’ottobre del 2008, l’Islanda chiese l’aiuto del Fondo Monetario Internazionale, che aprì immediatamente una linea di credito all’Islanda, prestando al paese 2 miliardi di dollari. Per concedere quei prestiti, l’FMI chiese l’adozione di tutta una serie di misure a cui non solo l’Islanda si adeguò, ma che portò a termine così bene che riuscì a restituire il prestito con nove mesi di anticipo, divenendo una specie di allieva modello del Fondo Monetario Internazionale.
La leggenda del virtuoso default dell’Islanda deriva da un episodio che in realtà sembrerebbe molto più degno di biasimo che di merito. Una delle tre banche nazionalizzate dal governo, la Landsbanki, aveva tra i suoi fondi anche un fondo pensione chiamato Icesave. Con il collasso della Landsbanki cominciò un caso diplomatico e legale estremamente complicato che non si è ancora concluso. In sostanza: all’interno di Icesave avevano depositato i contributi per la loro pensione più di 120 mila cittadini inglesi ed olandesi per un totale di 1,7 miliardi di depositi.
La disputa cominciò per stabilire quanti di quei soldi il governo islandese, che ora controllava Icesave, avrebbe dovuto ridare ai futuri pensionati inglesi e olandesi. Gli accordi ottenuti nel 2010 e 2011 tra i tre governi per restituire il denaro, in diverse forme e tutte molto complicate, furono tutti bocciati nel corso di due referendum, uno nel 2010 e l’altro nel 2011.
Argentina
Quello dell’Argentina è un caso diverso. Ecuador e Islanda sono paesi che hanno compiuto scelte economiche poco ortodosse che per motivi particolari si sono finora rivelate non troppo dannose, oppure hanno fatto scelte molto ortodosse, anche se poi sul loro comportamento si è sviluppata una leggenda parecchio lontana dalla realtà. Invece l’Argentina, dopo il default, ha compiuto scelte economiche azzardate che si stanno rivelando devastanti per la sua economia.
(L’Argentina è di nuovo vicina al default?)
Quello che il governo argentino ha fatto negli ultimi anni è stato in sostanza un tentativo di comprare il consenso elettorale dei suoi cittadini aumentando la spesa pubblica, soprattutto sotto forma di massicci trasferimenti di denaro alla popolazione, cioè agevolazioni, sussidi e stipendi pubblici. Dal default del 2001 -che a differenza di quello dell’Ecuador fu causato dal fatto che in cassa non c’erano più soldi- l’Argentina è considerata un paese inaffidabile e quindi non può ricorrere al mercato per finanziare la sua spesa pubblica.
Le soluzioni trovate dai vari governi guidati dal presidente Cristina Kirchner sono state varie e tutte, potenzialmente, molto pericolose. Uno dei primi gesti fu quello di mettere sotto controllo governativo la Banca Centrale. Da ormai 40 anni è una prassi diffusa in quasi tutti i paesi occidentali che le banche centrali restino indipendenti dal potere esecutivo. Se il potere di stampare denaro finisce nelle mani dell’esecutivo, infatti, c’è il rischio che la banca centrale venga usata per stampare denaro in modo da finanziarie senza limite le politiche dei governi: era quello che accadeva in Italia fino agli anni ’80 e che causava la famosa inflazione a due cifre.
L’inflazione è proprio uno dei problemi più gravi dell’Argentina. Secondo fonti indipendenti l’inflazione argentina è ormai a più del 25%, mentre secondo il governo è ferma solo al 9%. In molti, tra giornali e analisti finanziari, hanno dichiarato da tempo di non utilizzare più i dati ufficiali del governo, ritenendoli truccati.
Per scampare all’inflazione gli argentini hanno cercato di acquistare monete stabili, in particolare dollari americani, finché i loro pesos valgono ancora qualcosa. Per evitare questo fenomeno, che fa scendere ancora di più il valore della moneta argentina, il governo ha messo in piedi una serie di ostacoli e divieti per impedire di fatto che i pesos vengano cambiati in dollari: ad esempio un argentino che oggi si trovasse in un paese estero non potrebbe prelevare dollari da un bancomat.
A queste limitazioni si aggiungono altre misure poco ortodosse per limitare le importazioni, un altro di quei fenomeni che, se superiori alle esportazioni, fanno scendere il valore di una moneta. Per legge, chiunque voglia importare in Argentina deve esportare merci per un valore pari a quelle che vuole importare. Questo fenomeno ha dato origine a fenomeni bizzarri, come venditori di auto costretti a esportare noccioline per poter far arrivare auto straniere nelle loro concessionarie.
Questo insieme di cause, insieme a una diminuzione del prezzo delle materie prime di cui l’Argentina è un grande esportatore, unito alla crisi globale, sta facendo crollare il gettito fiscale del governo argentino, che non ha a disposizione il mercato del debito per fronteggiare i buchi nel bilancio. Come se non bastasse, pur di cercare di tenere l’economia in moto, la Banca Centrale sta abbassando i requisiti patrimoniali richiesti alle banche. In altre parole le banche potranno prestare più soldi, tenendo in minor conto i rischi che questi prestiti comportano e detenendo quantità minori di capitale di emergenza nelle loro casse.
Le bufale raccontate da Grillo e Casaleggio.
Tre esempi da non seguire
di DAVIDE MARIA DE LUCA – @DM_DELUCA
Argentina, Ecuador e Islanda: perché sbaglia chi dice che dovremmo fare come questi tre paesi per risolvere la crisi, spiegato semplice
18 novembre 2012
7
Giovedì, all’università Bicocca di Milano, ha tenuto un discorso Rafael Correa, presidente dell’Ecuador, un paese che nel 2008 ha fatto default, o più tecnicamente ha ristrutturato il suo debito. Il discorso di Correa è stato ripreso diverse volte negli ultimi giorni. Secondo molti, come l’Argentina e l’Islanda, l’Ecuador ci insegnerebbe che il modo migliore per uscire dalla crisi del debito è anche il più semplice: non pagarlo.
Si tratta di una lezione profondamente discutibile: Argentina, Islanda ed Ecuador sono paesi molto diversi l’uno dall’altro e molto diversi dal nostro. Le soluzioni che hanno adottato sono diverse: alcune fin’ora hanno funzionato, ma sarebbero inapplicabili nel nostro paese. Altre si sono rivelate disastrose anche per chi per primo le ha introdotte. Vediamo cos’è accaduto in ciascuno di questi paesi e perché prendere ispirazione dalle loro ricette economiche non sembra di buon senso.
Ecuador
«Se il debito è illegittimo non si paga», ha detto giovedì a Milano il presidente Correa, riassumendo in poche parole la sua decisione nel 2008 di ristrutturare il debito pubblico del suo paese. Il default dell’Ecuador, infatti, è stato un caso particolare: le casse del governo avevano denaro più che sufficiente a ripagare gli interessi sul debito. La scelta di non ripagarlo fu politica: una commissione governativa stabilì nel 2008 che 3,5 miliardi di dollari di bond erano stati emessi in maniera irregolare. Correa aveva sostenuto questa tesi durante la campagna elettorale per la sua prima rielezione nel 2007 e tra il dicembre del 2008 e il marzo 2009 la mise in pratica.
Contrariamente a quanto si pensò all’epoca, non fu un’operazione così traumatica. In genere, quando un paese decide di non ripagare un debito senza mettersi d’accordo con i creditori, questi ultimi si mettono a caccia delle proprietà del paese all’estero. Intentano cause in giro per il mondo e spesso ottengono il sequestro di capitali, navi o altri asset come risarcimento per la loro perdita. All’Ecuador questo è accaduto in maniera molto limitata, perché a pochi mesi dal default il governo di Correa ricomprò dai suoi creditori il 91% dei titoli di stato su cui aveva fatto default a un terzo del loro valore originale.
Non solo questa operazione, il cosiddetto buyback, andò molto bene, ma nel 2011 l’Ecuador è cresciuto quasi del 7,8% e per quest’anno è prevista una crescita intorno al 4%. Fitch, una delle tre grandi agenzie di rating che, secondo molti, dovrebbero essere le nemiche giurate dei paesi che adottano politiche economiche poco ortodosse, ha cambiato le prospettive sul rating del paese da stabili a positive – l’Ecuador è comunque ancora a 6 livelli dall’investment grade, il rating minimo per essere considerati affidabili.
Per capire come tutto questo sia stato possibile e perché l’esempio dell’Ecuador non sia un esempio che si può imitare, bisogna dare un’occhiata al paese un po’ più ravvicinata. L’Ecuador ha circa 15 milioni di abitanti e una popolazione molto giovane. Il suo Prodotto interno lordo è di 127 miliardi di dollari, meno della metà del PIL della Grecia e meno di un decimo di quello italiano. Oggi il suo debito pubblico è di circa 25 miliardi di dollari (un centesimo del debito pubblico italiano) e nel 2008 fece default soltanto su 3,5 miliardi di debito.
Ma c’è un fatto ancora più importante che distingue l’Ecuador non solo dall’Argentina e dall’Islanda, ma anche dall’Italia: circa metà della sua economia è basata sulle esportazioni di petrolio. Esportare petrolio è ancora più importante di quello che si può pensare: il primo problema di un paese che fa default è che avrà difficoltà a trovare paesi disposti ad acquistare nuovi titoli di stato. Non avere denaro in prestito significa avere meno denaro da investire in infrastrutture, stipendi, riforme, pensioni e tutto il resto della spesa pubblica.
L’Ecuador però aveva il petrolio e all’indomani del default la Cina si fece avanti, offrendo immediatamente al paese un prestito da un miliardo di dollari in cambio di accordi petroliferi. Il tasso di interesse chiesto dai cinesi, 7,5%, era tre volte più alto di quello dei prestiti offerti dal FMI, ma ottenere denaro a un tasso molto alto era certamente una situazione migliore che non avere denaro affatto. In questi ultimi anni il debito pubblico dell’Ecuador nei confronti della Cina è arrivato a 7,3 miliardi di dollari.
Islanda
L’Islanda è stata spesso indicata come un modello da seguire non solo per aver votato e scritto una nuova costituzione con l’aiuto di internet, ma anche perché è molto diffusa la leggenda che l’Islanda abbia deciso di non ripagare il suo debito pubblico. Oggi la crisi in Islanda sembra essere passata e l’economia è tornata a crescere. Se a questo si unisce che i politici ritenuti responsabili della crisi sono finiti sotto processo, l’Islanda appare come il miglior esempio da seguire per l’Italia.
Le cose però non stanno esattamente così. Il primo motivo è che è piuttosto difficile immaginare due paesi più distanti tra loro: l’Italia con più di 60 milioni di abitanti e l’Islanda, invece, con una popolazione più o meno pari a quella di Verona, circa 300 mila abitanti. Con un termine tecnico, l’Islanda è un paese non “sistemico”, che può compiere scelte anche molto azzardate senza che queste abbiano gravi conseguenze di portata planetaria. Ma non c’è solo questo: anche la ricostruzione della crisi in Islanda che viene diffusa più spesso è profondamente scorretta.
Non solo i porti del nord. Cosa Nostra aveva nelle mani Gioia Tauro. Adesso ha messo le mani sui porti del nord ma anche in alcuni attracchi europei. E i grllini parlano ancora di casta. I soldi delle mafie sono un milione di volte più elevati di quelli della casta. Ma come fanno a capirlo sono infatuati ed incapaci di concepire un progetto politico.
La “migrazione” è partita da Palermo
Appalti e cantieri, la mafia inquina i porti del Nord
Luca Rinaldi
Marghera, Monfalcone, La Spezia e Ancona. I prestanome. Le famiglie palermitane che vanno verso Nord
Porto Marghera (Flickr - fuzzy_galore)
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La famiglia Galatolo e i cantieri navali hanno sempre avuto ottimi rapporti. Mai ufficiali, perché i Galatolo sono tra le più importanti dinastie mafiose dell’Acquasanta di Palermo, ma continui e proficui, almeno dal secondo Dopoguerra. Gaetano Galatolo, detto “Tanu Alati”, già nei primi anni Cinquanta era noto per essere il maggiore fornitore di manodopera ai cantieri navali di Palermo. Nessuno dei dirigenti del porto però sapeva chi fosse, si diceva.
Eppure quel Gaetano Galatolo per la Polizia è già un osservato speciale, e il suo nome esce con prepotenza in una delle prime faide interne alla mafia siciliana, cioè lo scontro tra la “mafia dei cantieri”, rappresentata proprio da Galatolo, e la “mafia dei giardini”, che teneva sotto scacco i sistemi di irrigazione e il mercato ortofrutticolo di via Guglielmo il Buono e le concessioni per gli spazi del mercato stesso.
Tanu Alati viene ucciso nel 1955, ma la dinastia dei Galatolo continua a fare affari nella cantieristica navale, rimane fedele a Totò Riina, e nonostante gli arresti i capitali e i patrimoni dei padrini rimangono in circolazione e si trasferiscono anche nei porti del Nord Italia. Avvalendosi negli anni di insospettabili prestanome. Ultimo in ordine di tempo, venuto alla luce nelle scorse settimane dopo un’operazione della Direzione Investigativa Antimafia, sarebbe Giuseppe Corradengo, palermitano, originario proprio dell’Acquasanta e nome noto nel settore della cantieristica navale, riconosciuto come il “re delle coibentazioni". A lui la procura di Palermo contesta il reato di concorso esterno in associazione mafiosa.
Corradengo, da vent’anni, ottiene diverse commesse sia nei cantieri navali di Palermo, sia nel resto d’Italia, su tutti Monfalcone, Marghera, Ancona e La Spezia. Una spartizione di lavori e appalti che sarebbe emersa in seguito alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Angelo Fontana, nipote prediletto dei Galatolo: «Alla fine degli anni ’90 – ha messo a verbale Fontana – quando le indagini si erano fatte più stringenti, i Fontana e i Galatolo decisero di spostare i loro interessi lontano dalla Sicilia». Così i lavori delle due famiglie sarebbero entrati anche «nei cantieri del Nord». Basti pensare, che in appena tre anni, dal 2003 al 2005, le società navali che fanno capo a Giuseppe Corradengo erano riuscite ad aggiudicarsi lavori per 7,3 milioni nei cantieri della Spezia, Marghera, Ancona e Riva Trigoso.
Così, ha spiegato il collaboratore di giustizia Angelo Fontana agli inquirenti. I Fontana si sarebbero affidati all’imprenditore Rosario Viola, mentre i Galatolo si sarebbero affidati proprio a Corradengo, grazie al suo pregresso rapporto con Vito Galatolo, figlio di Vincenzo, accusato di alcuni grandi delitti compiuti a Palermo come quelli del generale Dalla Chiesa, del giudice Rocco Chinnici e del capo della mobile Ninni Cassarà.
Una carriera fulminante quella di Corradengo, che da operaio dei Cantieri navali di Palermo si “trasforma” in imprenditore e dominus di imprese come “Nuova Navalcoibent” ed “Euro Coibenti” su cui sarebbero confluiti i capitali mafiosi. Tanto che l’indagine ha portato allo scoperto che interi settori delle lavorazioni navali erano gestiti in regime di quasi monopolio, da imprese che sarebbero riuscite a riciclare ingenti capitali di origine illecita. Un sistema che da Palermo si è poi propagato nei cantieri navali liguri e veneti.
Alcuni dei lavori fra i bacini di Marghera, Monfalcone, La Spezia e Ancona nelle mani delle imprese di Corradengo, e degli altri tre presunti prestanome coinvolti, Domenico Passarello, Vincenzo Procida e Rosario Viola, sono stati eseguiti anche per conto di Fincantieri. Fincantieri che alla notizia degli arresti ha tenuto subito a precisare che l’ente è parte lesa. Un sistema “classico” quello che sarebbe stato messo in atto per ottenere i lavori: oltre alle intimidazioni nei confronti dei concorrenti, «si davano bustarelle – afferma ancora il collaboratore di giustizia Fontana – di 10mila, 16mila euro per prendere lavori di 800mila, tutte in nero». Un filone d’indagine, quello che potrebbe configurare un sistema corruttivo diffuso, ancora coperto dal riserbo. Tredici anni fa a Palermo si chiuse un processo con numerose condanne riguardo gli stessi metodi. «Ora siamo alla seconda puntata» ha dichiarato il procuratore aggiunto di Palermo Vittorio Teresi, commentando l’operazione della scorsa settimana che ha portato al sequestro delle tre aziende (due di Palermo, Eurocoibeti e Savemar, e una con sede a La Spezia, la Nuova Navalcoibent).
Eppure tra le imprese coinvolte nell’operazione dell’antimafia, la stessa Fincantieri e il porto di Marghera una spia d’allarme si era già accesa attorno al tema lavoro: Eurocoibenti, aggiudicataria degli appalti per la coibentazione in lana di vetro delle cabine delle navi, aveva lavorato nel porto fino a febbraio 2012, quando era stata messa in liquidazione. Dopo un anno di cassa integrazione straordinaria, i 106 dipendenti dell'azienda sono stati licenziati poco più di un mese fa. Ma già nel 2011 si contavano i primi esposti dei sindacati e le prime proteste dei lavoratori per alcuni appalti aggiudicati dalle imprese al massimo ribasso e conseguente scarsa osservanza delle leggi sulla sicurezza sul lavoro.
Un settore, quello della cantieristica navale, che ha sempre attirato su di sé le attenzioni delle cosche. Se infatti già negli anni Cinquanta i Galatolo erano noti dalle parti dei cantieri palermitani, gli affari di Cosa Nostra nei porti e nei cantieri navali italiani sono andati progressivamente espandendosi. «Se, dunque, l'interesse dell'associazione mafiosa per la cantieristica navale palermitana poteva essere considerato un dato acquisito – hanno scritto nella richiesta i pm Vittorio Teresi e Pierangelo Padova – la presente indagine, per converso, ha consentito di scandagliare, in concreto e forse per la prima volta, la proteiforme capacità dell'associazione medesima di estendere il proprio ambito di influenza ben al di là dei confini regionali siciliani e di infiltrarsi, in particolare grazie all'opera di soggetti in apparenza “puliti”, nella cantieristica navale di molte regioni del Centro-Nord Italia». Soggetti insospettabili e “puliti” che continuano a inquinare la vita economica del Paese.
@lucarinaldi
Leggi il resto: http://www.linkiesta.it/corradengo-cantieristica-navale#ixzz2ReyOXftb
L'IMU accomuna Grillo a Berlusconi i due noti clown. E poi i tedeschi non hanno ragione?
fisco / politica economica
I nodi del nuovo governo. I soldi recuperati andrebbero reinvestiti nella crescita
Togliere l’Imu senza alternative è solo populismo
Massimo Bordignon*
Per recuperare il gettito si alzano le tasse sui redditi o si taglia la spesa. E non è chiaro dove
Tassa sulla casa
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L’idea di eliminare l’Imu sulla prima casa suscita molti entusiasmi. Ma è una tesi populista. Perché bisognerebbe indicare con chiarezza dove trovare le risorse per recuperare il gettito perduto. O quali spese si intendono tagliare. E queste somme non potrebbero avere utilizzi più proficui?
Tutti i nemici dell’Imu
L’Imu ha tanti difetti, a cominciare da una base imponibile mal definita perché costruita a partire da un catasto antico e dunque ormai poco rappresentativo dei valori di mercato delle abitazioni. È poi non chiaro di chi sia la responsabilità dell’imposta, visto che una parte del gettito va allo Stato e non al comune.
Non è neppure ovvio se il presupposto giuridico dell’imposta debba essere solo il possesso del patrimonio, oppure debba configurarsi come una “service tax” e perciò almeno in parte estesa anche ai non proprietari, visto che il suo scopo fondamentale è finanziare i servizi indivisibili offerti dai comuni, i cui benefici sono solo parzialmente correlati al valore delle abitazioni.
Saggezza vorrebbe che di questi problemi e di come superarli si discutesse in sede di riforma dell’imposta e che su questo il nuovo governo prendesse un impegno esplicito. Invece il dibattito politico ha assunto i toni di una crociata ideologica, tant’è che il Pdl pare faccia dell’eliminazione dell’Imu sulla abitazione di residenza la condizione essenziale per la sua partecipazione al governo Letta. E Silvio Berlusconi non è il solo politico a mostrarsi iper-refrattario all’Imu.
Durante la campagna elettorale, tutti i leader si sono dichiarati favorevoli a una riduzione dell’imposta sulla abitazione principale, inclusi, tanto per dire, Mario Monti e Beppe Grillo. E perfino Susanna Camusso, la segretaria della Cgil, ha indicato (nelle sue consultazioni con l’ex segretario del Pd) nell’abolizione dell’Imu fino a 1.000 euro sulla prima abitazione, il principale suggerimento di politica economica della sua organizzazione al nuovo governo.
È l’Imu il vero problema?
Questo accanimento sull’Imu, in un paese che ha perso 8 punti di Pil in cinque anni e che ha un tasso di disoccupazione giovanile attorno al 40 per cento, lascia francamente basiti. È ovvio che in un paese di proprietari di abitazioni, proporre l’eliminazione dell’imposta susciti consensi diffusi ed entusiasmi bipartisan. Ma si deve tener conto anche delle alternative: dove trovare le risorse per finanziare l’eliminazione dell’imposta, in primo luogo, ma anche chiedersi a quali altri utilizzi, diversi dall’abolizione dell’Imu, si potrebbero destinare quelle stesse risorse.
A questo proposito, è bene anche ricordare i vantaggi dell’Imu. In primo luogo, come dimostrano le stime, con tutti i suoi difetti, l’Imu sulla prima abitazione se la cava benino in termini redistributivi. Circa la metà delle famiglie italiane non la paga o perché non possiede un’abitazione (e questi sono generalmente i più poveri) o perché la detrazione annulla l’onere di imposta. Poi, il pagamento dell’Imu, in misura maggiore della vecchia Ici, è concentrato prevalentemente sugli scaglioni di reddito più elevati, come è ovvio visto che esiste un correlazione positiva tra il reddito e il valore del patrimonio immobiliare.
In secondo luogo, si devono considerare le alternative. Per recuperare i quattro miliardi di gettito dell’Imu sulla prima casa (che diventerebbero otto se, come vuole il Pdl, si restituisse anche l’imposta già pagata) , bisognerebbe aumentare le tasse sui redditi, dei lavoratori o delle imprese, o sui consumi. Ed è difficile argomentare che nelle condizioni di crisi economica attuale, tagliare un’imposta sul patrimonio per aumentarne una sui redditi o sui consumi sia la cosa migliore da fare da un punto di vista di crescita o di distribuzione del carico fiscale. Si può senz’altro cercare di ridurre, invece, la spesa pubblica. Ma in questo caso vorrei si dicesse esattamente quali spese si intende tagliare. E di nuovo, se si trovano quattro o otto miliardi riducendo le spese, forse sarebbe meglio spenderli per tagliare il costo del lavoro, fiscalizzando gli oneri sociali sui nuovi assunti, o per finanziare interventi di welfare più sensati a protezione delle nuove povertà. E se invece si intende semplicemente aumentare il debito pubblico, ammesso che si possa fare, è bene ricordarsi che questo vuol dire soltanto nuove e maggiori tasse in futuro (ci sono da pagare anche gli interessi), di nuovo sui redditi o sui consumi, visto che l’imposta sulla proprietà immobiliare verrebbe abolita.
In conclusione, il dibattito sull’Imu mostra un tasso di populismo davvero preoccupante. Se le forze favorevoli alla sua abolizione dovessero prevalere, sarebbe il caso di renderne almeno espliciti i costi alla opinione pubblica. Se, per dire, si decide di abolire l’Imu finanziandola con un incremento dell’Iva o dell’Irpef, oppure con un bel taglio alle pensioni, lo si faccia scrivendo esplicitamente “contributo straordinario per finanziare l’abolizione dell’Imu”. Vediamo se il consenso straordinario e bipartisan a favore dell’abolizione dell’imposta resterebbe a quel punto invariato.
Leggi il resto: http://www.linkiesta.it/imu-falso-problema#ixzz2RexV6L6y
A breve una fatwa anche per questo eletto. Una volta avevamo la dittatura del proletariato oggi invece la dittatura della stupidità collettiva della rete.
Deputato M5S: “Per Casaleggio non facciamo politica. Siamo pedine?”
Mimmo Pisano è stato l'unico eletto del Movimento a non assistere al giuramento di Giorgio Napolitano. In un'intervista al Secolo XIX si dice profondamente deluso dai primi due mesi di legislatura dei 5 Stelle che hanno insistito su Rodotà e affossato così l'ipotesi di un governo e di un dialogo col Pd
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“Abbiamo fallito”. E’ deluso Girolamo Pisano, detto Mimmo, l’unico eletto 5 Stelle che lunedì non era in Parlamento per il discorso di Giorgio Napolitano. Il deputato, in un’intervista al Secolo XIX, traccia un bilancio negativo nei primi due mesi di legislatura del M5S, tra promesse di cambiamento che rischiano di sfumare e l’occasione “irripetibile” di “potere votare Prodi“. E ancora: “Avevo dato una proposta di governo a Casaleggio. Mi ha risposto che noi non facciamo politica”. E quindi? “Che facciamo qui, le pedine? Di un gioco però, che forse non sappiamo giocare”.
Giudizi tranchant che partono dal dibattito sul Capo dello Stato. Con Prodi, spiega, “avremmo avuto delle garanzie” e “un governo con Rodotà o Zagrebelsky“, e invece no. Il risultato? “Siamo venuti per fare un governo, o no? Perché se, come penso, il nostro scopo era finire all’opposizione, allora hanno vinto quelli che volevano raggiungerlo”.
E anche sul fronte del dialogo col Pd l’esperienza del Movimento fino a oggi non ha portato a casa nessun risultato. Coi democratici il confronto pare essersi affossato perché “abbiamo tirato troppo la corda, finché non ci hanno più parlato”. Pisano, che è andato di persona a parlare coi giovani del Pd, spiega: “Alla fine quando abbiamo detto no a tutto, ancora mi chiedevano: ‘Allora, lo votano Rodotà?’. Io gli dicevo: ‘Non ce la fa’”. E così è stato. E nonostante questo i suoi compagni di Movimento continuavano imperterriti a ripetere il nome del giurista. A fronte della parziale sconfitta a Palazzo, il risultato del Friuli, dunque, non è una sorpresa: “Le gente ci chiede di agire: di fare e non solo di disfare. Dovevamo muoverci subito”. Proprio per questo Pisano aveva condiviso una proposta di governo, rimbalzata da Casaleggio. Perché? “Noi non facciamo politica”, gli ha risposto. E il deputato, dunque, si domanda se i parlamentari M5S siano tutte pedine di un gioco. Che, peraltro, non sanno giocare.
venerdì 26 aprile 2013
Poveri diavoli. Se penso alla fine che faranno mi viene da ridere.
Bologna rischia di diventare la tomba del M5s. E c'è chi parla di pseudo fascismo interno
Sesso, bugie, videotape: addio alla diversità grillina
Altro che servizi segreti! Il polverone Grilloleaks nasce da una faida interna al Movimento
Beppe Grillo
C’è una grande guerra intestina nel Movimento Cinque Stelle di Beppe Grillo. E arriva da Bologna, dove l’ex comico genovese lanciò l’8 settembre del 2007 il V Day che fece da trampolino di lancio ai grillini per invadere la penisola. Sono passati meno di sei anni da allora e l’M5s, da sempre critico nei confronti dei partiti tradizionali, si ritrova una faida interna senza precedenti, rivelata attraverso la grave intromissione nelle mail private di almeno 40 parlamentari, la circolazione su internet di alcune fotografie hard di alcuni di loro e perfino dossieraggi per diffamarsi a vicenda sul Fatto Quotidiano.
La libertà della rete professata dal guru Gianroberto Casaleggio mostra in queste ore tutte le sue debolezze. E soprattutto il lato umano degli stessi grillini, che non hanno potuto far altro che rivolgersi alla polizia postale per denunciare quanto accaduto. Ma il ventilatore di fango è in circolo. Non sarà facile fermarlo, dal momento che tutto il materiale mail della «cittadina» Giulia Sarti è da ore disponibile su Para Noia, il Wikileaks di Anonymous. È scaricabile e leggibile da chiunque. «Trasparente» insomma, come hanno sempre chiesto i grillini, affezionati alle riunioni in streaming su internet.
Linkiesta ha visionato parte del materiale sulla rete. Non solo. Tra queste ci sarebbero anche le foto di cui anche il quotidiano Libero ha parlato questa mattina con un articolo dal titolo «Pornoricatto ai grillini». Sarebbero almeno sei (non tre ndr) gli scatti che stanno circolando. E sono istantanee di vita privata che poco hanno a che vedere con la politica. Riguardano la privacy dei cittadini e soprattutto dei parlamentari che noi intendiamo rispettare. Il buco della serratura non ci piace e condividiamo il richiamo del garante della Privacy a tutela della riservatezza dei dati individuali dei parlamentari stellati. Il punto che ci interessa è però quello politico su cui non si può tacere.
Riguarda infatti la faida che in queste ore sta scardinando i grillini dall’interno. In sostanza, se Bologna è stata la culla del Movimento Cinque Stelle, ora potrebbe diventarne la tomba. Partono da lì tutti i problemi che Grillo e Casaleggio si ritrovano ora a dover affrontare per sedare una base in fermento. Tutto ruota intorno a quattro persone che sono state il fulcro dei grillini di Bologna. Sono Nicola Virzì, la moglie Serena Saetti, Giovanni Favia e la stessa Giulia Sarti. Non si tratta di una storia all’America Tabloid di James Elroy, con servizi deviati, politici di alto lignaggio e giornalisti a caccia di scoop. Pare più che altro una telenovela brasiliana, dove i rapporti umani e la vita privata si mischiano pericolosamente con le scelte politiche.
Tutto ruota intorno alla figura di Virzì, detto Nik Ilnero, personaggio che gli aficionados dei Meetup paragonano a Vasco Rossi, assunto come videomaker a 4mila euro per i gruppi di Camera e Senato alla fine di marzo. Sarebbe stata questa scelta, da parte di Casaleggio e Grillo, a scatenare le faide interne ai Cinque Stelle. Perché proprio a inizio di aprile sono iniziate a comparire sui quotidiani le notizie di famigerati Bugaleaks, dal nome di Massimo Bugani, consigliere comunale grillino a Bologna. Il verminaio nasce sotto la Torre degli Asinelli e si sviluppa poi in tutta l’Emilia Romagna, con correnti di ogni tipo, che si sfidano a colpi di hackeraggio informatico per screditare l’uno e l’altro. Da serial movie di serie b anche i loro nomi: «checche isteriche», «frontalieri» e «viserbesi».
Agli inizi di aprile ne è uscito uno spaccato inquietante sui giornali locali nel bolognese. Anche lì email compromettenti. Persino minacce di morte e l’intervento dei carabinieri. Questa volta, però, si parla dell’espulsione di Favia e Federica Salsi, ex Cinque Stelle anche loro critici nei confronti della cosiddetta «famiglia Virzì». Sarebbe noto nel movimento l’avversione a Nik Ilnero da parte di alcuni esponenti dei grillini di Bologna. C’è chi parla di «fascismo» e chi dice di «aver paura per la piega che sta prendendo il movimento». Insomma giudizi politici forti e rotondi. Di questo nutrito gruppo di critici dei Virzì farebbe parte la stessa Giulia Sarti, più che mai spettegolata in rete in queste ore dopo le notizie date da L’Espresso e da Libero.
Ma foto hot, minacce e dossier rischiano di essere la punta di un iceberg pronto a sgretolarsi. Basta farsi un giro sulle bacheche facebook dei protagonisti di Bologna, per capire che non c’è solo la politica in queste ore a caratterizzare le lotte interne (e nascoste ndr) via mail dei grillini. Nik Ilnero, di professione camionista, arriva persino a chiedere la presidenza del Copasir, quella legata ai Servizi Segreti italiani, tanto da ipotizzare secondo alcuni il tentativo di coprire gli scandali interni al Movimento. Ma i servizi non c’entrano nulla in tutta questa storia di ragazzi che da poco sono arrivati alla politica e forse non conoscono ancora i meccanismi mediatici.
Del resto, forse, basta raccontare come Favia si avvicinò al Movimento Cinque Stelle. Lo ha raccontato in un’intervista al nostro Paolo Stefanini, su Linkiesta, il 22 novembre del 2011, pochi mesi prima di essere espulso: «Mi sono avvicinato al mondo di Beppe nel 2007. Ho trovato per caso un evento del Meetup e sono andato a una riunione. La prima tentazione è stata di scappare. Mi sembravano dei matti. Poi quella sera sono rimasto per via di una ragazza che era lì e mi piaceva». Quella intervista si intitolava «I grillini hanno paura di diventare come gli altri partiti». Probabilmente, a valle di questa rivelazione da telenovela che smitizza il moVimento, arriva la conferma che lo sono sempre stati.
Leggi il resto: http://www.linkiesta.it/m5sleaks-grillo-hacker#ixzz2RbXDsjv9
Questo è un altro grande economista che lavora per Grillo. Certo come Fitoussi. Tutti con lui lavorano. ma nessuno lo conosce.
Krugman critica Grillo potrebbe destabilizzare l'Europa
Krugman ride leggendo assurdità a 5 stelle. |
COS’HA DETTO - Scrive oggi Paul Krugman nello spazio che gli riserva The New York Times:
“Gli osservatori stranieri sono terrificati dalle elezioni italiane, e giustamente: anche se l’incubo del ritorno di Berlusconi non si è materializzato, lo stesso Berlusconi, Grillo o i due insieme potrebbero destabilizzare non solo l’Italia, ma l’intera europa. Ma ricordate che l’Italia non è unica, politici discutibili sono in crescita in tutta l’Europa Meridionale. E la ragione per cui accade è che i rispettabili europei non ammettono che la politiche d’austerity che hanno imposto ai debitori sono un fallimento disastroso. Se questo non cambia le elezioni italiane saranno solo l’antipasto di una radicalizzazione a venire”.
(fonte: Giornalettismo)
Una bocciatura bella e buona quella che arriva da Paul Krugman, uno che non ama di certo Monti e le politiche di austerità adottate dall'Europa (non fa quindi parte di quella casta cattiva dei banchieri corrotti). Curioso il fatto che metta sullo stesso piano Grillo e il suo acerrimo nemico, Silvio Berlusconi (o "psiconano" come definito dal comico in vari suoi spettacoli).
Grazie grillini per questo meraviglioso regalo.
Scenario Roubini: Berlusconi molla Letta, elezioni e Silvio al Quirinale
Pubblicato il 26 aprile 2013 15.46 | Ultimo aggiornamento: 26 aprile 2013 15.46
ROMA – “Per l’elezione del tredicesimo Presidente della Repubblica italiana si è dovuto attendere il quarto scrutinio. Silvio Berlusconi, con la maggioranza ottenuta alle politiche del 2014, è ora il nuovo Capo dello Stato”. Potrebbe essere questa la cronaca delle prossima elezione presidenziale secondo lo scenario che prospetta l’economista della New York UniversityNouriel Roubini. Il Cavaliere, per sfruttare l’implosione del Pd e la ritirata del Movimento 5 Stelle, staccherà a breve la spina al nascentegoverno Letta. Viste le condizioni degli avversari, vincerà con ogni probabilità le successive elezioni e, a questo punto, metterà Giorgio Napolitano nelle condizioni di dimettersi coronando il sogno di divenirePresidente della Repubblica. Ed essere di conseguenza per sempre al riparo da processi passati e futuri.
La previsione dell’economista che in tempi non sospetti aveva profetizzato l’attuale crisi, non è rosea per il nostro Paese e assegna un buon 30% di possibilità che l’Italia, di qui ai prossimi 2/3 anni, finisca inbancarotta. Colpa di Berlusconi per Roubini, ma non solo, colpa anche degli avversari del Cavaliere che, nei fatti, lo stanno mettendo e lo hanno messo nelle condizioni di realizzare il suo sogno che sembrava impossibile. Spiega Roubini a La Stampa:
“Questo governo potrebbe non sopravvivere più di sei mesi o un anno, perché sarà osteggiato in ogni sua iniziativa seria da Silvio Berlusconi. Potrà fare qualche riforma istituzionale di facciata, ma dal momento che il Pd è spaccato, nel giro di sei mesi c’è il rischio che il Pdl stacchi la spina all’esecutivo. Berlusconi vincerebbe le elezioni a mani basse e chiederebbe le dimissioni di Napolitano raggiungendo il suo obiettivo di diventare Presidente. Un disastro, ma è lo scenario più probabile”. Un disastro, ragiona Roubini, non perché abbia nulla di personale contro il Pdl o il suo padre/padrone, ma perché l’Italia ha, tra le ragioni dei suoi gravi problemi economici, “un problema di corruzione e Berlusconi è parte di questo problema”.
Se la salita al Quirinale del Cavaliere sarebbe secondo l’economista americano “una tragedia”, la colpa va, forse non in parti eguali, divisa tra due acerrimi nemici di Berlusconi stesso: il Pd e il Movimento 5 Stelle. Il partito democratico, nonostante sia l’antagonista politico della creatura berlusconiana, da Forza Italia al Pdl, sembra involontariamente ma inesorabilmente lavorare per lui. Come ironizzava in modo geniale Corrado Guzzanti, facendo il verso all’ex candidato premier del centrosinistra Francesco Rutelli: “A Berlusco’, ti abbiamo portato l’acqua con le orecchie…”, anche e forse ancor di più in questo 2013 il Pd ha fatto l’impossibile per riportare in vita un centrodestra che sembrava morto.
Va però riconosciuto che Bersani e soci poco avrebbero potuto se non avessero avuto, nell’impresa di resuscitare il Cavaliere, un alleato come Beppe Grillo. I 5 Stelle hanno infatti scelto e pervicacemente perseguito una linea all’insegna del “vaffa”, nessuna alleanza, nessuna trattativa e ciao a tutti, rendendo inevitabile un’alleanza Pd/Pdl. Inevitabile non solo e non tanto per una questione politica, ma ancor prima per una questione di numeri parlamentari. “Il Movimento 5 Stelle ha qualche aspetto interessante, sulla portata riformista, – continua Roubini – ma la sua ostinazione contro il compromesso e per la disintegrazione dello status quo per principio, distoglie il Paese dalle sue reali esigenze. In caso di ritorno alle urne Grillo è destinato a perdere consensi e questo agevolerebbe ulteriormente il trionfo di Berlusconi e dei suoi piani”.
Responsabilità condivise quindi tra Grillo e Bersani se ora il Cavaliere è di nuovo in sella e può credibilmente progettare di raccogliere il frutto delle altrui difficoltà facendo cadere il governo Letta e lanciandosi verso il Quirinale.
Unica speranza, secondo Roubini e non solo, per evitare questo scenario, è che il Pd riesca a non disintegrarsi. Speranza certo non semplice da realizzare ma, l’unico modo per sbarrare la strada del Colle al Cavaliere, è quella di riuscire a mettere in campo alle prossime elezioni un partito democratico unito con un candidato forte, e il suo nome per il professore della NYU è quello di Matteo Renzi.
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