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Roma: manifestanti Fiom non pagano metro, Atac li denuncia
L'Atac, l'azienda che a Roma gestisce il servizio pubblico, minaccia di voler denunciare i manifestanti
Pubblicato il 21 novembre 2015 20:04 | Ultimo aggiornamento: 21 novembre 2015 20:13
di Redazione Blitz
ROMA – I manifestanti arrivati a Roma per il corteo della Fiom contro il terrorismo e la Legge di Stabilità, non hanno pagato per scelta il biglietto dela metro. Ed ora Atac, l’azienda che a Roma gestisce il servizio pubblico, minaccia di voler denunciare i responsabili. L’azienda spiega in un comunicato che
“Numerosi manifestanti, giunti a Roma in occasione del corteo Fiom, hanno rifiutato di pagare il biglietto per accedere ai servizi di trasporto e hanno forzato i varchi presidiati in metropolitana. Ciò malgrado Atac avesse anche messo a disposizione un servizio di biglietteria mobile all’esterno della stazione Subaugusta proprio per favorire la corretta fruizione dei mezzi pubblici”.
L’Atac
“stigmatizza tale comportamento che rivela una concezione profondamente sbagliata della fruizione del servizio di trasporto pubblico”
e ricorda che
“pagare il biglietto è un dovere civico e che l’unico modo legittimo di fruire dei pubblici servizi è averne il titolo”.
Eugenio Stanziale, segretario generale della Filt Cgil Roma e Lazio che rappresenta il settore dei trasporti, commenta il caso spiegando che i manifestanti pagheranno la multa:
“In genere quando ci sono grandi manifestazioni, come Cgil chiediamo al Comune, all’Atac e al prefetto di garantire l’esenzione dei biglietti del trasporto pubblico locale dei manifestanti, anche per una questione di ordine pubblico se ci sono grandi flussi. Non so se in questo caso sia stata avanzata. Se non è stata avanzata e se i manifestanti arbitrariamente non hanno pagato il biglietto pagheranno la multa. Non è certo colpa degli operatori dell’Atac che stavano facendo il loro lavoro”.
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“No all’Isis, no al terrorismo, non si uccide in nome di Dio”: due manifestazioni, indette dalle comunità islamiche in Italia, si sono svolte a Roma e a Milano per esprimere la condanna delle stragi di Parigi. A ROMA – Recitando in coro lo slogan “Not in My Name” gruppi di manifestanti musulmani sono giunti in corteo in piazza Santi Apostoli. “Non abbiate paura di noi”, grida una manifestante. “L’Isis è un cancro nel corpo islamico. Quello che hanno fatto è un attacco contro la comunità intera”, è uno dei cartelli portati alla manifestazione. “È giusto, è così”, commenta un marocchino che vive a Roma. Per tutte le vittime di terrorismo è stato osservato in apertura un minuto di silenzio; dal palco è stata espressa “condanna netta contro tutti i terrorismi, quelli di Parigi sono stati drammatici. Noi siamo pronti per collaborare con le istituzioni per difenderci”. “I musulmani onesti denunciano l’abuso della nostra religione per la violenza“, dice l’imam Pallavicini, vicepresidente del Coreis, Comunità religiosa islamica italiana, che è stata tra i promotori della manifestazione. “Il messaggio è chiaro: il terrorismo non può continuare a colpire ovunque in nome dei musulmani. Da Roma vogliamo che tutto il mondo ci ascolti”. Così il segretario del Centro islamico della Grande Moschea della capitale Abdellah Redouane sintetizza il senso di “Not in My Name”.
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha inviato un suo messaggio alla manifestazione, letto dal palco: “Gli assassini vogliono piegarci facendoci rinunciare ai valori di solidarietà e al nostro umanesimo. Noi non ci piegheremo”. In mattinata la presidente della Camera, Laura Boldrini, aveva ricevuto una delegazione degli organizzatori A MILANO – Alcune centinaia di manifestanti si sono riuniti in piazza san Babila, a Milano, per partecipare al presidio ‘Not in my name’ organizzato dal Caim (Coordinamento associazioni islamiche di Milano e Monza-Brianza) ”e da altre 87 associazioni islamiche” come ha spiegato Davide Piccardo, coordinatore del Caim. Il presidio è incominciato intorno alle 15. ”No al terrorismo, sì alle moschee – ha detto Piccardo parlando con i giornalisti – con il riconoscimento delle moschee ci sarebbe maggiore sicurezza per tutti. Non c’è spazio per il terrorismo e questa escalation di violenza ci preoccupa molto”. ”La islamofobia – ha aggiunto – crea tensione e invece avremmo bisogno di convivenza e dialogo”. “Siamo soddisfatti della partecipazione, che è il miglior modo per far capire che siamo contro ogni forma di violenza” ha spiegato ancora Piccardo. ”E’ fondamentale – ha aggiunto – il riconoscimento dei luoghi di preghiera. Ce ne sono 700, di cui 695 informali. Come possiamo istruire i nostri giovani ai veri valori dell’Islam in questo modo?”. Sul palco in piazza San Babila si sono poi alternati i rappresentanti delle altre associazioni islamiche. Brahim Baya, portavoce dell’Associazione Islamica delle Alpi, ha voluto aggiungere sua volta: “No ai seminatori di odio e no al terrorismo, noi musulmani siamo cittadini di questo Paese e dobbiamo essere rispettati. I musulmani sono le prime vittime dei criminali dell’Isis”.
Isis, il generale Angioni: "Creato da Usa e Arabia. Ecco come si sconfigge"
INTERVISTA/ Il generale Franco Angioni, già comandante del contingente italiano nella missione di pace "Libano 2", spiega in un'intervista ad Affaritaliani.it la genesi dell'Isis e il modo in cui può essere sconfitto
di Lorenzo Lamperti @LorenzoLamperti
Il generale Franco Angioni, già comandante del contingente italiano nella missione di pace "Libano 2", spiega in un'intervista adAffaritaliani.it la genesi dell'Isis e il modo in cui può essere sconfitto.
Generale Angioni, subito dopo gli attacchi a Parigi la Francia ha intensificato i bombardamenti sulla Siria. E' questa la risposta giusta da dare nella lotta all'Isis?
C'è una risposta di carattere politico e una risposta di carattere concreto. Intensificare i bombardamenti serve dal punto di vista politico, perché dimostra che un certo numero di nazioni hanno deciso di contrastare l'azione dello Stato islamico con decisione. E' una manifestazione di forza. Ma dal punto di vista concreto la resa è modesta. Contro un obiettivo come l'Isis i bombardamenti hanno un'efficacia non risolutiva. L'azione aerea è un'opzione valida quando si devono attaccare depositi, infrastrutture o campi di addestramento. Ma contro formazioni di militari e di combattenti ha una resa modesta in rapporto al costo. In sintesi: Hollande ha fatto bene a dimostrare di non essere inerme di fronte a queste azioni indegne, però dal punto di vista concreto i bombardamenti servono davvero a poco.
Serve un intervento militare via terra?
Dipende dalla determinazione e dagli obiettivi che ci prefiggiamo. Se i paesi che hanno manifestato la loro indignazione contro le operazioni che l'Isis sta conducendo da almeno due anni a questa parte si rendono conto di dover attaccare allora lo si faccia. Quello che è certo è che se si decide di intervenire via terra serve un coordinamento chiaro e soprattutto deve essere una soluzione politica scelta non da pochi ma da molti, se non proprio da tutti.
Il coordinamento potrebbe essere affidato alla Russia?
Vedo difficile l'assegnazione di una leadership precisa in una situazione come questa. Non credo ci sia bisogno di nominare un leader, ma è necessario seguire le strade dell'azione democratica e unitaria. DI certo la soluzione bisogna trovarla. Devono sedersi tutti intorno a un tavolo, stabilire un'alleanza e prendere delle decisioni. Non solo la Russia, anche gli Usa devono essere coinvolti nonostante Obama per la parte finale del suo mandato non credo voglia invischiarsi in una nuova guerra. Ma le decisioni si possono sempre cambiare.
Sulla proliferazione dell'Isis ci sono responsabilità occidentali?
Ci sono grosse responsabilità da parte occidentale. Intanto sulla nascita. L'Isis non nasce per eterogenesi ma perché in Iraq una comunità consistente che aveva dimostrato di essere capace di guidare il paese è stata estromessa e al suo posto è stata imposta una guida sciita che ha invece dimostrato di non essere in grado di farlo, di essere corrotta e non capace di inserirsi nel contesto internazionale. Di conseguenza la comunità sunnita, sostenuta dall'Arabia Saudita, si è riorganizzata e ha rimesso in linea delle forze esistenti come quelle armate irachene. Così è nato l'Isis, che piano piano ha preso forma e potere per l'incapacità di chi governava l'Iraq. L'Isis ha raccolto i consensi di chi si sentiva umiliato. Così si è formato questo Stato islamico che ha dimostrato di poter contare su importanti appoggi finanziari, fino a che l'Arabia Saudita non si è rivoltata contro la sua creatura.
Sul fronte interno dobbiamo essere pronti a qualche limitazione delle libertà personali?
In Europa non siamo predisposti ai periodi di emergenza ma dobbiamo abituarci in fretta perché l'Isis ha dimostrato di poter produrre gravi danni. E' necessario accettare le regole in maniera disciplinata. Non possiamo restare estranei alla necessità di salvaguardare il nostro territorio, pur mantenendo la nostra libertà personale.
Quanto rischia l'Italia?
Credo che, senza illudersi, noi italiani siamo in una condizione privilegiata rispetto ad altri paesi come la Francia e il Regno Unito. Queste forze hanno dimostrato di essere capaci di coagularsi e di passare all'azione ma sono per lo più composte da cittadini locali. Abbiamo visto che gli autori materiali degli attacchi recenti sono quasi sempre francesi o belgi. Queste nazioni pagano lo scotto di un colonialismo fatto a mano bassa e al termine del quale sono state costrette a dare la nazionalità ai sudditi dell'impero. Ci sono così intere comunità legalmente nel loro territorio ma senza nessuna amalgama col resto del paese. E' chiaro che l'integrazione ha fallito. Le seconde o terze generazioni non si sono integrate o non vogliono essere integrate. L'Italia per fortuna non è in questa condizione. Noi abbiamo avuto un terrorismo interno e nazionale che ci ha insegnato che il terrorismo ha facoltà di scegliere dove e quando attaccare ma deve essere preparato e non può essere un corpo estraneo nel territorio in cui si muove. In Francia ci sono sei milioni di persone dal bacino etnico non francese che si muovono con disinvoltura nel tessuto cittadino francese. Qui in Italia la situazione è diversa ma non significa che dobbiamo abbassare la guardia.
La chiusura delle frontiere può essere una soluzione?
In caso di evidente allarme sì, ma per il momento non mi sembra il caso anche perché quei profughi che attraversano i confini tra Slovenia, Ungheria e Serbia sono disperati che cercano di fuggire dalla guerra. Certo, bisogna controllare, identificare e schedare i profughi che arrivano a Lampedusa ma è difficile pensare che un profugo che non parla la lingua e non conosce il luogo possa essere coinvolto in un'azione di questo tipo. Le organizzazioni terroristiche hanno altri modi per far entrare i militanti nei paesi che vogliono colpire.
I musulmani italiani scendono in piazza sabato 21 novembre a Roma per dire no alla violenza e isolare gli estremisti. Dopo le stragi del venerdì 13 a Parigi (ma anche Beyrouth, Ankara..) molti hanno messo in dubbio l'esistenza di un Islam che invece è maggioritario e condanna ogni forma di violenza. Leggiamo di opinionisti e intellettuali che umiliano l'Islam di casa nostra, in stragrande maggioranza pacifico e oggi si trova a dire "not in my name" . Certo, per alcuni sarà l'occasione di uscire dall'ambiguità e dalla neutralità, altri perderanno alibi, ma la maggioranza potrà ribadire quello che era già chiaro e cioè che questo non è altro che terrorismo. Sarà anche il momento per dire ai giovani e adolescenti tentati dalla pulsione di morte del jihadismo che esiste un altro modo di dare la vita per i propri ideali.
Se non prenderemo sul serio questa affermazione di muslim pride continueremo a seminare il sospetto, dividere la cittadinanza, rimandare l'integrazione dei giovani e fare davvero il gioco degli estremisti. La legge sulla concessione della cittadinanza alle nuove generazioni, approvata recentemente alla Camera, voleva proprio affermare la necessità di più integrazione, non meno.
D'altronde non si può negare che quello che sta avvenendo con l'ascesa del Daesh ha uno stretto legame con le sciagurate guerre "occidentali" in Iraq e con la crisi siriana ormai marcita nell'impotenza generale, oltre che con il conflitto palestinese che ha ferito ormai tre generazioni. Questo non significa in nessun modo giustificare la violenza, ma mostrarne la genesi storica, sociale e politica.
Difficile non vedere che parlare di guerra in modo semplicistico non condurrebbe che a ripetere gli errori del passato. Mai come in questo momento la paura è cattiva consigliera. Chi deplora il "buonismo" europeo, chi torna a ripetere che l'Islam è essenzialmente e irrimediabilmente violento, chi deride il declino di una Ue che tollererebbe il nemico al suo interno non fa che riproporre schemi vecchi, che appunto non hanno saputo sciogliere il nodo mediorientale con le vere armi che abbiamo: la politica, la diplomazia, le pressioni economiche, l'integrazione, la formazione.
Triplice attacco del direttore del Fatto alla magistratura rea di applicare la legge
Triplice, inusitato attacco di Marco Travaglio alla magistratura italiana dalla prima pagina del Fatto di oggi: primo, perché la Corte d’assise di Caltanissetta ieri ha rinunciato ad interrogare Giorgio Napolitano nel processo sulla strage di via D’Amelio, valutando come “manifestamente superflua” la deposizione del presidente emerito; secondo, perché la Cassazione ha annullato l’ordinanza di custodia cautelare a carico del senatore Antonio Azzollini; terzo, perché la giudice coinvolta nel caso De Luca “sta per essere trasferita d’ufficio dal Csm” mentre il governatore della Campania, come vuole la sentenza sotto inchiesta, è ancora al suo posto.
Era dai tempi dei sit-in di Forza Italia davanti al palazzo di giustizia di Milano che non assistevamo ad una polemica così feroce, argomentata e implacabile contro la giustizia italiana – che al Fatto piace molto quando manda indistintamente chiunque in galera, e molto meno, invece, quando non rispetta i teoremi accusatori e i desideri penitenziari di Travaglio. Poiché però il Fatto è pur sempre il Fatto, il duro attacco del suo direttore alla malagiustizia – cioè alla giustizia che rispetta le regole anziché linciare – si trasforma magicamente in un’intemerata contro i politici, i quali, essendo gli unici democraticamente eletti, devono per forza essere degli infami. Così, se la Corte d’assise di Caltanissetta decide di non ascoltare Napolitano, la colpa secondo Travaglio è di Napolitano (“Se sei potente, decidi tu se testimoniare o no”); se la Cassazione annulla l’arresto di Azzollini, la colpa è dei senatori (“Se stai in Parlamento la fai franca”); se De Luca è ancora governatore, la colpa è di Renzi che non l’ha di nuovo sospeso dopo che un tribunale ha annullato la sospensione (“Le leggi per gli amici si ignorano”). Nel mondo alla rovescia in cui vive il Fatto lo stato di diritto è un complotto.
Elezioni, Bugani candidato sindaco. Malcontento tra i 5 stelle: "Dimenticata la procedura?"
Tra gli stessi 'grillini' c'è malumore dopo la mossa di Grillo: "Perchè non è stata seguita la modalità utilizzata per le elezioni regionali, o come è stato fatto a Milano, Torino e Roma? Il candidato lo sceglie la rete!"
A Bologna pare non valere la procedura dal Movimento 5 Stelle per le candidature a Sindaco. Almeno così accusano alcuni militanti grillini, dopo la 'benedizione' di Beppe Grillo alla corsa a primo cittadino di Massimo Bugani, capogruppo del M5S a Palazzo D'Accursio. "Sarebbe un bell'avversario, qualche problema me lo creerebbe", aveva ammesso Virginio Merola a luglio sulla possibile candidatura del capogruppo 5 Stelle. Ma il lancio di Bugani non elettrizza tutti. Diversi i consigli girati in rete dal "Turiamoci il naso e votiamo Bugani", oppure la più caustica "Se la risposta è Bugani, la domanda è sbagliata".
"Perchè non è stata seguita la modalità utilizzata per le elezioni regionali, o come è stato fatto a Milano, Torino e Roma? Il candidato lo sceglie la rete!". E' la domanda che si fanno alcuni militanti pentastellati, che si dicono "profondamente offesi, molti saranno gli astenuti o in tanti non lo voteranno" e aggiungono: "è ovvio che abbia una corsia preferenziale".
Come mai Bugani? "Ci dicono che sia il più bravo e anche che non si siano presentati altri candidati. Ma se è il migliore, non avrà dunque problemi a confrontarsi con gli altri, non rischierebbe". Così riferiscono a Bologna Today alcuni militanti a 5 stelle, che attaccano, ma decidendo di non esporsi, chiedendo di restare anonimi.
Un'altra deroga alle regole è la residenza: secondo un attivista, il capogruppo sarebbe residente a San Lazzaro, mentre la regola vuole che sia residente in città: "E' scritto tutto sul blog di Beppe Grillo, è vero che Bologna è città metropolitana, ma non lo era nel 2011 quando Bugani è stato eletto".
E' solo una questione di procedure o avete dubbi sulla persona? "Con Bugani non si va neanche al ballottaggio, lui ha creato una sua corrente personale, con Silvia Piccinini in Regione che a sua volta rema contro l'altra consigliera e capogruppo Giulia Gibertoni".
"Non è in discussione la candidatura di Bugani, ma il metodo" - ha dichiarato un'altra militante - "per ottenere il massimo risultato bisogna avere il massimo consenso, innanzitutto dalla tua gente, se tagli fuori la base degli attivisti, sarà difficilissimo avere poi i voti sufficienti. Perché gli attivisti del Movimento sono molto bravi a raccogliere firme ai banchetti, a fare servizio agli stand per la realizzazione degli eventi, a ripostare e condividere le notizie su FB, ma sono soprattutto determinanti per diffondere le idee e gli obiettivi sui territori e di conseguenza a portare voti al candidato Sindaco. Non si può vincere con una squadra di 36 persone, per questo le decisioni di un programma, e soprattutto la scelta dei candidati, hanno bisogno dell’approvazione degli attivisti che porteranno una squadra alla vittoria o l’abbandoneranno alla sconfitta. Di Battista, e molti altri cittadini eletti, ci hanno sempre chiesto “Fiato sul collo, soprattutto tra di noi” ed è quello che la base sta facendo. Ricordiamo a noi stessi che nasciamo con poche regole ma ferme, e valori condivisi: democrazia partecipata, nessun personalismo (e Beppe Grillo ci ha appena mostrato la strada togliendo il suo nome dal simbolo) perché il Movimento siamo tutti noi e gli eletti sono i portavoce del Movimento. Dissentire da questa scelta non significa attaccare il movimento, anche nel movimento si commettono errori non siamo perfetti, non nasciamo migliori ma la nostra forza è cercare sempre di diventarlo e di rimanere onesti e coerenti".
La richiesta è dunque di "conoscere la squadra e valutarla, con una graticola come a Milano ed in altre città, e l’opportunità, se ce ne fossero, di proporre altri candidati da aggiungere alla lista. Per questo chiediamo la convocazione di un’assemblea plenaria, con questa discussione all’ordine del giorno, a cui tutti gli attivisti possano partecipare. Senza questa condivisione, Bugani e la sua squadra si assumono una tremenda responsabilità, non solo nei confronti dei bolognesi (ma la città Metropolitana guiderà un territorio molto più ampio) ma nei confronti del Movimento tutto, perché oscura la credibilità delle nostre battaglie, come quella contro i listini bloccati. Onestà e coerenza, innanzitutto tra di noi".
'Not in my name', musulmani in piazza gridano forte: "Sconfiggiamo il cancro del terrorismo"
La reazione del mondo islamico in Italia agli attentati di Parigi: le manifestazioni a Roma, Milano e Genova
ROMA - "Sconfiggiamo questo cancro". Il mondo islamico in Italia è sceso in piazza contro il terrorismo. Dopo Palermo, Parma, Reggio Emilia e Lucca, oggi anche le manifestazioni a Roma e Milano per gridare forte 'Not in my name'. Proprio ieri il segretario del Centro culturale della Grande Moschea della Capitale ha annunciato l'inserimento nel sermone del venerdì di una condanna delle stragi di Parigi.
"Abbiamo aggiunto un paragrafo col quale condanniamo il terrorismo dicendo che la vita umana è sacra e gli attentati non sono accettabili dall'Islam e dai musulmani", ha detto Abdellah Redouane. "Il terrorismo sfrutta la religione per scopi politici e ideologici", ha aggiunto, stigmatizzando "un'interpretazione falsa di una religione che trascina i giovani e fa loro il lavaggio del cervello con un radicalismo che dobbiamo combattere". Redouane ha esortato gli imam in Italia a "non allontanarsi dal messaggio di pace e non cadere nella trappola del radicalismo". Parole chiare e attese da molti.
Nel pomeriggio, dunque, a piazza Santi Apostoli a Roma ha preso corpo l'iniziativa nazionale contro il terrorismo promossa dall'Unione delle comunità islamiche italiane (Ucoii). In piazza anche esponenti di Sel, del Pd, della Cisl e il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso. A Milano un'altra iniziativa contro guerre e islamofobia. E pure in altre città, come a Genova, è cresciuta la mobilitazione della comunità islamica.