sabato 22 agosto 2015

E dire che Grillo pensava non arrivasse nessuno a Rho.




Ora scopriamo che sono troppi i visitatori di Expo

Contenta che gli ingressi ad Expo siano tantissimi ad agosto. Ho visitato oggi per la prima volta il sito. È vero: le colonne sono abbastanza snervanti ed il biglietto non è super economico, ma sarebbe da matti avere un evento del genere qui in Italia e non andarci almeno una volta. Io ho ancora gli occhi pieni delle cose che ho visto e non vedo l’ora di tornarci. Solito antinazionalismo che non capirò mai e che non ci fa affatto bene. Marilena, ilgiorno.it
ADESSO PARADOSSALMENTE il troppo successo di Expo potrebbe diventare un problema perché le code che si sono registrate ai tornelli e agli ingressi dei padiglioni, durante tutto il periodo estivo, dovranno essere disciplinate e possibilmente contenute. Dalla «cabina di regia» ci si interroga: se adesso la situazione è questa, bisogna correre subito ai ripari per evitare l’effetto boomerang. I visitatori che vengono da lontano non si accontentano, infatti, di visitare pochi e scarsamente «appetibili» padiglioni e sono sicuramente dispiaciuti di dover rinunciare a vedere quelli di cui si parla di più. E possono fare «cattiva pubblicità» al loro ritorno. Se però il successo dell’Esposizione di Milano si misura con le code davanti ai padiglioni, allora l’organizzazione potrebbe brindare. Chi si spaventa delle attese trova comunque sempre altro da vedere: ma non tutti possono tornare a Expo più volte, quindi l’obiettivo resta quello di velocizzare le visite. Anche chiedendo ai Paesi che hanno scelto la formula della visita guidata di ridurre i tempi di visita. laura.fasano@ilgiorno.net

E cosa dovevano fare i nostri giovani migliori fermarsi in Italia per fare i portaborse?

Dopo il danno, la beffa. «Adesso chi emigra viene anche criticato»

Luca Palazzotto vive a Washington. «I giovani che partono vengono accusati di aver rinunciato a cambiare le cose. Ma perché dovremmo sacrificarci?»
Frederik Ranninger/Flickr

Frederik Ranninger/Flickr

   
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«Quando investi nella tua formazione, a volte certe scelte sono obbligate. Che senso ha chiedere ai giovani di sacrificarsi, restare in Italia, accettare compromessi, perdere opportunità in nome di uno sviluppo che non dipende da loro?». Luca Palazzotto, 39 anni, una vita costruita da due a Washington DC, storce il naso di fronte alla «propaganda politica» che inizia a circolare per la Penisola. Quella che interpella gli expat. Dopo essersene andati da un’Italia «poco competitiva» e incapace di offrire ciò che cercano, ora vengono «biasimati» per aver mollato, per non essere rimasti a lottare e cambiare le cose in meglio.
Luca non è il solo ad essere infastidito da questa polemica. Per lui, come per altri che hanno preso la sua stessa decisione, rimanere in Italia non solo non aiuterebbe i singoli a raggiungere i propri obiettivi. Ma non cambierebbe nemmeno in meglio il paese.
«Ora i giovani che emigrano vengono criticati per aver mollato, per non essere rimasti a lottare e cambiare le cose in meglio»
«La volontà dei giovani è da sempre quella di investire su se stessi e di crescere. Quando scegliamo il nostro percorso di studi e quello professionale, lo facciamo per motivazioni personali, non per cambiare l’Italia. Non tutti hanno volontà politica», afferma Luca, facendo riferimento all’articolo pubblicato pochi giorni fa su questo giornale, in cui un assessore ventinovenne del Comune di Udine chiedeva ai coetanei di fare «massa critica» insieme, restare in Italia e trovare il modo di cambiare le cose. «Altrimenti io qui resto solo a lottare contro i garantiti», diceva Gabriele Giacomini.
«Non è detto che funzioni, non è detto che possa fare la differenza», controbatte Palazzotto, che ha soluzioni alternative da proporre. «È ovvio che tutti noi speriamo di trovare le opportunità professionali che cerchiamo, in Italia. Ma se questo non avviene io non direi mai a un giovane di castrare i suoi ideali in nome di un altro ideale, politico, che magari non si realizzerà».
«Un giovane che non trova realizzazione rischia di diventare elemento negativo per il paese, frustrato, depresso»
E c’è dell’altro. E questo altro è sotto gli occhi di tutti. Soprattutto sotto gli occhi di chi i giovani italiani del 2015, prima di giudicarli, li osserva. Mentre lavorano, studiano, incontrano gli amici. «Un giovane che non trova realizzazione rischia di diventare elemento negativo, frustrato. Avere più difficoltà del necessario a trovare sbocchi personali porta ad avere un’attitudine negativa verso il sistema. Pochi reagiscono dicendo: lo cambio. Piuttosto, si genera disfattismo politico, poco rispetto delle regole. Depressione. Se le regole ti opprimono, non le vuoi rispettare. Lo fai solo perché sei obbligato, senza vera motivazione. Tutto questo non ti rende elemento positivo di sviluppo. Vivi il paese come una costrizione, non un’opportunità».
«Dobbiamo evitare di semplificare la situazione dividendo tra buoni e cattivi, chi resta e chi parte. Non si deve necessariamente idolatrare chi se ne va. Né necessariamente biasimarlo. Serve rispetto per la legittimità delle scelte individuali ed evitare l’attacco politico su chi va all’estero per avere una carriera più interessante. Quel che sta succedendo non è una colpa da dare alle persone. Ma una domanda da farsi: cosa cambiare nel sistema per far rientrare certi talenti».
«Quel che sta succedendo non è una colpa da dare alle persone. Ma una domanda da farsi»
Perché la mobilità è un fenomeno a doppia direzione. Si va e si torna. Non in Italia però. Dove la scelta di chi emigra è a senso unico. «Una vota fuori il perdi il network di conoscenze e la tua esperienza all’estero, anziché rafforzarti il cv, ti mette in svantaggio. Tutto questo rivela la chiusura del sistema, una mancanza di competizione leale».
«Un anno fa a Washington ho conosciuto un italiano che fa business qui. Abbiamo parlato di una possibile collaborazione. Mi avrebbe fatto piacere ritrovare un legame con l’Italia. Poi abbiamo parlato di stipendio. Offriva la metà di quanto era sul mercato. Questo è un problema culturale. Facciamo imprenditoria basandoci sull’idea di sfruttamento. Non abbiamo il concetto della valorizzazione delle risorse. E questa è una delle ragioni per cui non si creano opportunità».

MESSAGGIO PROMOZIONALE


C’è poi l’incapacità di fare sistema, inteso come il «creare qualcosa con dinamiche trasparenti». E il provincialismo. «Nella competizione globale siamo poco esposti a dibattiti sociali, per poca dimestichezza con le lingue straniere. Restiamo tagliati fuori da certe discussioni. Abbiamo internet ma non leggiamo l’inglese. Ad esempio sui giornali italiani in questo momento si legge troppo poco degli accordi transatlantici da Usa e Ue, sebbene condizioneranno il nostro futuro. Ciò riduce la nostra (e soprattutto quella di chi ci governa) capacità di analisi e di comprensione di quel che accade fuori. È difficile in questo contesto coltivare governanti con una visione diversa quando il dibattito è tutto focalizzato su temi di politica interna».
E allora anziché puntare il dito contro chi se ne va, propone Luca, c’è da mettersi a discutere su come creare opportunità di ritorno. O di coinvolgimento. «Perché tutti noi vorremmo tornare. Ma a certe condizioni».
«Possiamo aiutare a cambiare l’Italia, ma solo restando all’estero»
La soluzione per Palazzotto è coinvolgere sì gli expat nel dibattito politico italiano. Ma permettendogli di restare all’estero. «Siamo persone esposte al cambiamento. Porteremmo un grande beneficio al dibattito interno. Qui a Washington passano spesso politici nostrani e siccome la comunità italiana è piccola, loro cercano sempre di incontraci. Tutti dicono: “Vogliamo coinvolgere gli italiani all’estero. Ma nessuno sa come fare».
Alcune idee? «Riformare le istituzioni italiane, come le ambasciate, ormai obsolete e poco attive. O gli istituti di cultura, che spesso si limitano a proiettare film amarcord. Rafforzare le reti tra università nostrane e straniere, con progetti anche per il post laurea e che vadano oltre l’Erasmus. E poi usare le sedi estere dei partiti».
Tutto, ma non chiedere ai giovani già scottati dall’Italia di sacrificarsi in nome di un ideale «che magari non si avvererà».  

Un articolo che si deve leggere. Necessariamente.

Galantino, ritratto di un prete senza peli sulla lingua

Le stoccate a B. Gli attacchi al governo. E al clericalismo. Il segretario della Cei ne ha per tutti. «È schietto e umile, come il papa». Lettera43.it nella sua diocesi.

29 Marzo 2015Share on facebook
È una persona schietta, monsignor Nunzio Galantino, che non ha timore di dire la verità, anche se scomoda, controcorrente.
Lo scelse per questo papa Francesco, andando a prenderlo – vescovo da soli due anni - nella piccola diocesi calabrese di Cassano allo Jonio per nominarlo segretario generale della Cei.
Una terra difficile, teatro di faide tra cosche mafiose, dove Galantino ha saputo farsi apprezzare, vivendo fra la gente e trasformandosi presto in un punto di riferimento per molti.
GALANTINO NON LASCIA LA DIOCESI. Umile nonostante le lauree, le docenze universitarie, gli incarichi di prestigio e le pubblicazioni a tema teologico, filosofico e politico. «Cosa me ne faccio delle mie lauree se non mi servono per poter leggere dentro il cuore delle persone?», ha osservato lui stesso in un’intervista recente.
Non ha voluto lasciarla, la sua diocesi, dopo la nomina a segretario generale della Cei: una deroga chiesta fin da subito al papa, per restare vicino alle sue comunità, e presto accordata, grazie alla quale, fino a poche settimane fa – quando Francesco ha indicato il suo successore - don Nunzio ha potuto fare la spola ogni settimana tra Roma e la Calabria, alternando gli impegni “istituzionali” a quelli in parrocchia.
NON USA AUTO BLU E VIVE IN SEMINARIO. «La scelta di rimanere vescovo residenziale penso che mi aiuterà a rendere il mio servizio senza perdere mai di vista tutta la bellezza, ma anche tutta la fatica che comporta la vita ordinaria di una Chiesa diocesana. Mi aiuterà a dare più senso a quanto andrò dicendo e facendo», spiegò all’indomani della nomina.
Oggi, che è a tempo pieno il numero due dei vescovi italiani, preferisce non farsi chiamare Eccellenza, continua a non avere un segretario personale, non usa auto blu e vive in seminario. In pieno stile bergogliano. E come Francesco non fa sconti a nessuno. Non ai politici. Non ai chierici.

Da Berlusconi al governo: don Nunzio non risparmia nessuno

Hanno suscitato clamore le parole con le quali Galantino ha commentato l'assoluzione di Silvio Berlusconi nel processo Ruby, che ha visto l’ex premier condannato in primo grado, poi assolto in Appello e di nuovo in Cassazione dalle accuse di concussione e prostituzione minorile.
«La legge arriva fino a un certo punto ma il discorso morale è un altro», ha detto il presule, prendendo ad esempio il caso della legge sull’aborto per sottolineare che «se un fatto è legale non è detto che sia morale».
«DISOCCUPAZIONE? MANCANO IDEE». Processi a parte, nemmeno il governo e la classe politica sono esenti da critiche. L’occasione è offerta dalla diffusione dei dati Istat sulla disoccupazione giovanile che Galantino ha definito «inquietanti», per poi aggiungere: «Ho l’impressione che, al riguardo, manchino idee forti sia da parte dalla classe politica sia da parte della società civile; mi sembra che parlare di disoccupazione stia diventando una sorta di triste sport nazionale».
E sul ritornello delle potenzialità inespresse del Mezzogiorno, lui, pugliese originario del piccolo Comune di Cerignola, ha ammonito con schiettezza: «Questa storia che il Sud Italia abbia delle potenzialità enormi mi ha un po’ rotto l’anima, sta diventando quasi una sorta di analgesico: ma dove sono queste potenzialità? Da sole non esistono, se non hanno gambe e qualcuno che le fa camminare quelle potenzialità sono perfettamente inutili».
«IN POLITICA CI SONO MEZZECALZETTE». Il suo giudizio generale sulla classe politica lo esplicita in un’intervista a TV2000: «Quello che manca veramente in questo momento, e non solo sul piano politico, è l’affetto, nel senso nobile della parola, per la cultura: noi abbiamo delle mezzecalzette sul piano culturale che poi fanno le mezzecalzette in politica».
Ma Galantino picchia duro anche quando si parla di teoria del gender nelle scuole: «Si è cercato di far passare questo discorso come fosse soltanto un’educazione alla tolleranza, alla convivenza pacifica, e quindi l’impegno a educare, a essere più accoglienti nei confronti di altre realtà», dice a Radio Vaticana. «Di fatto è diventato soltanto un grimaldello per portare nella scuola un fatto culturale molto chiaro, che scardina l’antropologia, che scardina la concezione della persona. C’è un equivoco di fondo».

La stoccata sulle nozze gay: «Il dibattito è un diversivo»

Nel passaggio sulle unioni civili il presule si richiama alla Costituzione: «Lì abbiamo la confusione tra diritti individuali, che sono diritti sacrosanti, e il voler far passare questi diritti individuali come la strada che porta alla realizzazione del bene comune. E qui non ci siamo», attacca. «Intanto perché stiamo parlando di una realtà, quella della famiglia - fondata sul matrimonio di padre e madre, e sui figli - che è garantita dalla Costituzione: e allora chiunque fa passi che vanno avanti o al lato di questa realtà, cercando di scardinare dall’interno, a mio parere realizza una sorta di “bullismo costituzionale”».
Quindi sull’istituzione nella Capitale di un registro ad hoc per le nozze gay, per iniziativa del sindaco Ignazio Marino, Galantino dice senza riserve: «Una volta, proprio a Roma si parlava di panem et circenses. Oggi il pane le persone lo vanno a prendere alla Caritas, e i circenses nelle aule consiliari». Poi spiega: «Le unioni civili mi sembrano un diversivo per chi non è sintonizzato sul fuso orario della gente (…) per non guardare le buche per le strade».
«IL CLERICALE È UN REPLICANTE SENZ'ANIMA». Non meno duro il segretario generale della Cei si mostra verso la Chiesa, di cui – ancora su TV2000 - evidenzia le fragilità. Anzitutto il clericalismo, ovvero l’autoreferenzialità di molti ecclesiastici che usano un gergo incomprensibile per parlare di temi lontani dalla gente: «Il clericale», ammonisce monsignor Galantino, «è prima di tutto un replicante, senza anima, capace di fare sempre le stesse cose, di pensare sempre le stesse cose, di parlare sempre nello stesso dialetto».
E poi la confusione fra il Vangelo e le tradizioni: «Abbiamo assoggettato il Vangelo alla pigrizia mentale. Molti hanno messo il pannicello caldo del Vangelo dove non andava assolutamente messo. Spesso bisogna chiedersi: chi grida, chi va a mettersi sull’Aventino, chi decide di emarginare la persona, perché lo fa? Perché veramente vuole bene al Vangelo? Non è possibile. All’origine della divisione non può esserci mai la liturgia, mai il Vangelo, mai la carità».
«L'IMPEGNO È UNA COSA, L'INCIUCIO UN'ALTRA». Quindi parole chiare sul rapporto fra cattolici e politica: «Non possiamo ignorare che c’è stato un momento in cui il collateralismo l’ha fatta da padrone, ma», si chiede Galantino, «dietro il collateralismo c’è stata sempre la voglia di difendere i valori del Vangelo, i poveri? Oppure una forma non molto dissimulata di potere?».
«L’impegno è una cosa, l’inciucio è un’altra», chiarisce il vescovo: «L’impegno nella politica, secondo me, deriva direttamente dall’Incarnazione, cioè dal fatto che Gesù Cristo si è fatto carne, che Dio si è fatto uomo: lì nasce l’impegno politico».
È ovvio, prosegue, «che quando questo impegno politico nasce dalla voglia di mischiarmi con la gente, di porgere orecchio e cuore a quello che la gente avverte come problema, (…) io cerco di rispondere a quelle urgenze: quella è la politica che ci vuole». E in effetti alla politica Galantino ha dedicato buona parte dei suoi studi e lavori.

Gli attacchi alla mafia, sulle orme di papa Francesco

Chi lo ha conosciuto, da vescovo di Cassano allo Jonio e ancor prima da parroco di Cerignola, lo ricorda per «la sua umanità, la vicinanza agli ultimi», racconta Angela Marino, presidente dell’Azione Cattolica della diocesi. «In questi anni è riuscito sempre ad andare oltre le apparenze e a prendersi cura dei singoli, è una persona che non ha paura di dire la verità, e lo fa parlando alla luce del Vangelo».
Un parlare franco e una fedeltà al Vangelo che – continua Marino - in Calabria lo hanno spinto a «esporsi anche contro la mafia, così come fece papa Francesco quando venne il 21 giugno scorso nella nostra diocesi: nelle sue omelie Galantino ha sempre cercato di far capire che la Misericordia di Dio è una cosa e l’omertà è un’altra, e ha rimarcato le parole del papa quando ha scomunicato gli uomini di mafia».
Poi ricorda l’episodio drammatico della morte del piccolo Cocò, il bambino ucciso un anno fa per una faida tra le ‘ndrine di Cassano: «Eravamo in cattedrale quando arrivò la notizia. Galantino è stato vicino alla famiglia di Cocò perché hanno perso una vita e per far comprendere loro che i bambini sono innocenti e non vanno usati per il regolamento dei conti. Voleva aiutarli a capire che dovevano cambiare la loro di vita, perché se la famiglia di Cocò si è trovata in quella vicenda allora quella famiglia non è una vittima».
MARINO: «PORTERÀ RINNOVAMENTO». Nonostante ciò, continua la presidente dell’Ac diocesana, «Galantino non è mai stato oggetto di intimidazioni e gesti eclatanti, perché forse alla fine gli vogliono bene tutti, anche loro, a modo loro. Piace proprio perché dice la verità». E sulla scelta di Francesco di nominarlo segretario Cei, Marino si dice sicura che «porterà rinnovamento in quanto è molto simile al papa, nei gesti, nel vivere la quotidianità, dall’andare a comprare il giornale da solo al guidare senza autista, per il suo stare a contatto diretto con le persone, fra le gente. Secondo me è stato scelto per questo».
Infine il ricordo più indelebile: «La prima volta che l’ho incontrato, per salutarlo, come è consuetudine con i vescovi, mi chinai per baciargli la mano. Lui però con mia sorpresa ritirò la mano e mi abbracciò. Per me era la prima volta che un vescovo mi salutava così».
NESSUN PIATTO PER LE OFFERTE. Andando a ritroso nel tempo, i ricordi di chi lo ha conosciuto a Cerignola, parroco della Chiesa di San Francesco d’Assisi, non sono dissimili. «Mi ha colpito il suo essere schivo nei confronti del denaro», ricorda Michele Monopoli, oggi 70enne. «Aveva deciso che durante la messa non doveva passare nessuno tra i banchi a raccogliere le offerte. Se qualcuno voleva dare un aiuto poteva farlo alla fine della celebrazione lasciando un’offerta in una cassetta in fondo alla chiesa».
La sua era una parrocchia difficile, «le sue messe, anche quelle per i bambini, erano sempre piene, come pure le catechesi per i giovani. Molte persone dopo averlo conosciuto e aver instaurato un rapporto con lui si sono convertite».
Un prete carismatico, don Nunzio Galantino. Un prete fra la gente. Un padre per molti e una guida, prima che vescovo o segretario generale della Cei. Che a chi gli chiede con quale titolo lo si debba chiamare – Eccellenza, Monsignore, don Nunzio - risponde: «Ma non avete altri problemi da porvi? Scegliete pure quel che volete, l’importante è che non mi chiami io da solo».

Qualcuno può spiegare ai leghisti ed ai grillini che siamo di fronte a migrazioni epocali?

Macedonia, migliaia di migranti sfondano la frontiera

La polizia usa granate assordanti, in 2.000 superano il confine

Migliaia di migranti bloccati al confine tra Grecia e Macedonia hanno oltrepassato i blocchi della polizia e sono entrati nel Paese balcanico. I migranti hanno superato il filo spinato che marca il confine con la Grecia; diverse persone sono rimaste ferite quando la polizia ha cercato di fermare l'assalto alla frontiera in un altro punto del confine. Il caos è iniziato quando la polizia ha deciso di far passare un piccolo gruppo di migranti con bambini piccoli al seguito. La folla allora ha iniziato a premere e il gruppo è stato compresso contro il cordone di polizia. Molti bambini e donne, almeno una incinta, si sono accasciati al suolo - apparentemente svenuti - dopo aver passato il cordone.
La polizia ha usato granate assordanti per cercare di bloccare il flusso di persone ma la maggior parte di loro si sono diretti verso la stazione ferrovia di Gevgelia.
 IL LANCIO DELLE GRANATE ASSORDANTI

 Nelle ultime 24 ore in Macedonia sono entrati "826 profughi, di cui 163 minori; tra questi figurano 25 ragazzi senza genitori". Lo dice all'ANSA Ivo Kotevscki, portavoce della polizia macedone. "Com'è possibile - dichiara - che questi ragazzi siano arrivati da soli fino a qui, perché le autorità greche non li hanno fermati?". Kotevscki ha quindi confermato che le autorità al confine, quando lo ritengono opportuno, fanno passare piccoli gruppi di 200 persone. Ed è questo il momento più delicato perché la folla cerca di fare irruzione

Dopo una notte e una giornata di tensioni, le autorità macedoni avevano finalmente consentito a due gruppi di circa 200 migranti ciascuno, principalmente famiglie, di attraversare il confine che corre lungo la linea ferroviaria. L'intenzione, riferisce l'agenzia macedone Mia, è di dare la precedenza ai più deboli, donne, bambini e anziani, in proporzione alla capacità del Paese di "accoglierli e aiutarli", ma senza quantificare.
La Commissione Ue, intanto, colta alla sprovvista dalla reazione di Skopje, ha messo le mani avanti dicendo di dovere ancora esattamente stabilire i fatti, ricordando di avere già assegnato 90mila euro di aiuti alla Macedonia e di avere in partenza a settembre un programma per la gestione dei migranti in collaborazione con la Turchia e gli altri paesi dei Balcani occidentali. Bruxelles, che ha sottolineato di stare "seguendo da vicino gli sviluppi" della situazione, si è però detta anche "pronta ad aiutare con ulteriore assistenza". La situazione sul terreno, però, è urgente. Medici senza frontiere ha denunciato di avere curato a Idomeni, il paesino dal lato greco della frontiera, una decina di migranti dopo l'attacco coi lacrimogeni e le granate assordanti, sparate dalle forze armate macedoni in mezzo alla folla dei profughi. "Sei di loro presentavano ferite minori e sono state trattate sul posto mentre quattro hanno richiesto il trasferimento in ospedale", viene precisato dall'ong, mentre "uno di loro era stato anche picchiato da membri dell'esercito macedone". Msf sta anche distribuendo beni di prima necessità: molti svengono per il caldo, la sete, la fame e la stanchezza.
"Le nostre squadre non hanno mai visto prima così tante persone alla frontiera", dove "in questo momento ce ne sono più di 3.000". Skopje, riferisce ancora l'agenzia Mia, accusa Atene non solo di non controllare il flusso di migranti ma addirittura di organizzare bus che da Salonicco li portano al suo confine, lungo appena 50 km ma da cui parte un trenino a due vagoni, negli ultimi giorni letteralmente preso d'assalto dai migranti, che va verso la salvezza che ha nome Europa.
"Probabilmente vogliono controllare la corsa all'ingresso nel paese, ma alla fine ci lasceranno andare tutti", racconta Hassan all'Ap, padre di famiglia siriano nel purgatorio della terra di nessuno. Solo lo scorso mese sono stati quasi 40mila i profughi ad entrare in Macedonia, più del doppio del mese precedente. La frontiera era sempre stata aperta, un paio di pattuglie e niente più. Fino a ieri. "Non so perché ci stanno facendo questo", si chiede Mohammad, iracheno. "Non ho un passaporto o documenti di identità, non posso ritornare indietro e non ho nessun posto dove andare. Starò qui sino alla fine".

dipocheparole     venerdì 27 ottobre 2017 20:42  82 Facebook Twitter Google Filippo Nogarin indagato e...