Manifestazione Lega: scortato e lontano dal palco. La giornata da eretico del sindaco di Verona: "Matteo applica il mio programma"
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Se ne sta in fondo alla piazza, scortato da un paio di bodyguard, il sindaco di Verona Flavio Tosi. Nella Lega di Matteo Salvini, star della giornata e del nuovo corso, rischia di finire come un comprimario, o come un martire. Se ne sta in disparte, nel giorno del trionfo del rivale, vicino al ristorante Il Bolognese.
Contestazioni quasi nessuna, ogni tanto un militante veneto si avvicina per chidergli “unità”, ma in maggioranza a cercarlo sono i giornalisti e le telecamere. Si sente a suo agio? Lui cerca di rispondere di sì, ma è chiaro che è no. Sul palco non l’hanno invitata? Pausa, mezzo sorriso. No, la battuta non viene. Allora è meglio dire la verità. “Non mi hanno invitato, ma non è un problema. Lo sa quante volte sono stato in piazza in mezzo ai militanti?”. Solo che stavolta attorno a lui ci sono solo il fedelissimo ex vicepresidente della provincia di Verona Fabio Venturi e il deputato romagnolo Gianluca Pini, che da mesi si è messo come casco blu tra Tosi e Salvini. I militanti invece non ci sono. O meglio, non sono attorno a lui, eretico a tempi di Bossi ed eretico, suo malgrado, anche nella nuova Lega che ha contribuito a rifondare insieme a Maroni e Salvini. Sul palco Bobo e Matteo si abbracciano come ai bei tempi. Con loro però c’è solo Luca Zaia, presentato come un eroe. Il sindaco risponde alle domande sulla querelle veneta, che non è sulla ricandidatura di Zaia ma sulla squadra delle liste e degli alleati che affiancheranno la lista leghista. E anche su chi debba decidere chi entra in queste liste. Lui non ha dubbi: “Decide la Liga veneta, il nostro è un movimento autonomista, ognuno decide a casa propria”. Liga Veneta, dunque lui. “Io sarei il segretario del partito in veneto”, ricorda a chi gli chiede perché voglia dire la sua.
Ma il problema politico reale non sono le liste venete, e neppure le alleanze per le regionali. Il problema è quel patto del 2013, quando Salvini si candidò a leader del Carroccio e lui, Flavio, era destinato a fare il candidato leader di un nuovo centrodestra de-berlusconizzato. Esattamente quello che Salvini sta facendo in piazza del Popolo: leader di una nuova coalizione senza il Cavaliere. Solo che a Tosi non vanno giù nè la coalizione troppo spostata a destra, e neppure il leader. E a vedere la nuova Lega sudista, da Catania a Barletta, nel nome di Salvini, quasi gli tremano le mani. Quel progetto l’aveva lanciato lui nel 2012, quando Salvini ancora cantava contro i napoletani e si metteva le magliette “Padania is not Italy”. “Quando il leader era Bossi, ero io a dire che l’Italia è unita e a mettere il tricolore nel mio ufficio. E quando c’era Bossi non era facile fare i dissidenti, dire che bisognava andare a cercare i voti anche al sud”, spiega il sindaco ad Huffpost. “Evidentemente avevo ragione su molte cose, perché ora si stanno facendo le cose che proponevo”. Pausa. “ E io certe frasi sulla Padania che non è Italia non le ho mai dette, e neppure messo certe magliette”.
È una purissima sfida di leadership quella tra Flavio e Matteo. Tra due quasi coetanei che insieme hanno combattuto e sconfitto il cerchio magico del Senatur. E il Veneto è l’enclave da cui Tosi può rilanciarsi, facendo valere la minaccia di una lista anti-Zaia, che potrebbe far vincere il Pd con la Moretti. “Tra noi ci sono stati tanti patti violati”, ricorda Tosi. Poi ammette: “Lo so, queste sono questioni personali…”. Per lui la strada è più che in salita. La piazza romana consacra una volta di più la leadership di Salvini, e a lui non resta che fare il controcanto. “Qui c’è solo una parte del centrodestra che serve per battere Renzi, una parte importante, ma solo una…”, ragiona. ”Per vincere serve tutto il centrodestra”. Le questioni venete restano lì, ma un po’ sullo sfondo. “Noi vogliamo decidere liste e alleanze, secondo lo statuto della Lega. Se si resta su questo binario bene, altrimenti vedremo…”. “La rottura dipende da chi la vuole, noi non la vogliamo”. Lunedì a Milano il Consiglio federale del Carroccio presieduto da Salvini potrebbe commissariarlo come segretario del Veneto. Uno schiaffo intollerabile per l’uomo che sognava di fare il leader. Parla e gesticola con le mani sottili, smagrito, le borse sotto gli occhi accentuate. Il sorriso spavaldo di un tempo non c’è più. Si sente a suo agio in piazza?, chiedono le tv? “Questa è una piazza organizzata dalla Lega, è il mio partito da 25 anni, più di metà della mia vita…”.
Dopo la piazza si era parlato di un faccia a faccia con Zaia, ma forse era solo un rumor dei giornali locali. Il governatore vede il potere di Tosi come un intralcio: controlla consiglieri assessori, vuole dire la sua sul delicato dossier della sanità. Ma lui non ci sta: “Né io né i cosiddetti tosiani abbiamo mai rotto le scatole a Zaia, detto una parola contro la sua giunta o cercato di interferire”. “Però, insomma, io sarei anche il segretario del partito in Veneto…”. Per lui solo una carezza inaspettata, quella del vecchio Senatur, che nei mesi più duri della guerra delle scope gli aveva dato dello “stronzo”. “Non bisogna abbandonare né Tosi né Berlusconi”, dice oggi il Senatur. E non si capisce più se accomunarlo al Cavaliere sia una carezza o l’ennesimo ceffone. La settimana prossima, in ogni caso, sarà decisiva per capire se lo strappo si trasformerà in divorzio. E se una lista Tosi si schiererà contro il Carroccio alle regionali di maggio in Veneto. Per oggi, con Salvini c’è solo una stretta di mano, a metà piazza, subito dopo la fine del comizio. Il sindaco è andato incontro al leader, qualcuno parla di un fugace abbraccio, ma la calca rendeva difficile una visione nitida.