Ultraconservatori, bianchi over 50, uomini duri ed esperti, distanti anni luce dall’amministrazione Obama. John Sessions e Mike Pompeo, due falchi repubblicani alla Giustizia e alla Cia, e Mike Flynn, un ex militare di carriera come consigliere alla sicurezza nazionale, danno una forte impronta politica alla Casa Bianca che sarà. Scegliere loro significa, fra le altre cose, portare gli Stati Uniti verso una stretta vigorosa all’immigrazione, spegnere sul nascere le tentazioni di controllo sulle armi, dichiarare guerra totale all’Isis, aprire alla Russia e chiudere all’Iran. Scegliere loro significa che Donald Trump non intende essere diverso da presidente rispetto a come si è presentato agli elettori da candidato. Non c'è grande spazio per la mediazione, malgrado il lavoro che sta svolgendo Mike Pence con tutte le istituzioni di Washington.
Il lavoro sulla squadra proseguirà anche nei prossimi giorni. Donald Trump ha in agenda moltissimi incontri, che vengono accompagnati dal fermento interno al partito repubblicano. Nel fine settimana il presidente eletto vedrà soprattutto Mitt Romney, uno dei suoi più aspri oppositori all’interno del Gop, oggi in odore di una posizione illustre, si vocifera addirittura l'ambita poltrona di segretario di Stato. Trump vuole tuttavia tenere vicino a sé anche la sua famiglia. Il potere del clan Trump è tutto nella foto, che ha fatto il giro del mondo, della figlia Ivanka e del genero Jared Kushneral suo primo incontro con un leader straniero, il premier giapponese Shinzo Abe, in una opulenta sala della Trump Tower. Si fanno sempre più insistenti le voci secondo cui per Kushner ci sarebbe un posto nell'amministrazione Trump. Lui avrebbe già interpellato almeno un avvocato per verificare l'esistenza o meno di impedimenti legali, sulla base delle leggi federali contro il nepotismo, in caso di una sua nomina alla Casa Bianca.
Le prime nomine dividono, proprio per le personalità scelte. Dopo Reince Priebus, il presidente dei repubblicani scelto come capo di gabinetto, dopo Steve Bannon, il capo della campagna elettorato scelto come chief strategist accusato di sostenere le tesi del suprematismo bianco, è la volta di John Sessions, il nuovo Attorney general, tacciato di razzismo, oltranzista contro l’immigrazione e sostenitore del muro con il Messico. Di Mike Flynn, il nuovo consigliere alla sicurezza nazionale, si ricorda che finì nel mirino per aver lanciato l'allarme sulla diffusione della "sharia" negli Usa, vuole il bastone contro l’Isis e la carota con la Russia. Mike Pompeo, nuovo direttore della Cia, è un uomo del Tea Party, ma soprattutto della lobby delle armi, vuole mantenere aperto il carcere di Guantanamo e rivedere drasticamente gli accordi con l’Iran.
CHI È JEFF SESSIONS, ATTORNEY GENERAL. Repubblicano di Selma, città dell’Alabama celebre per la marcia per i diritti civili, ha 69 anni ed è conosciuto come uno dei rappresentanti più a destra e anti-immigrazione del Senato, in cui siede dal 1997. Prima della politica è stato pubblico ministro e fu scelto nel 1986 da Ronald Reagan come giudice federale, ma la sua nomina fu respinta dal Congresso - decisione avvenuta 2 volte in 50 anni - per l’ombra di razzismo che gravava su di lui. Diverse testimonianze dei colleghi furono decisive: dissero che definì "anti-americane" e "ispirate dal comunismo” la National Association for the Advancement of the Colored People (Naacp) e l’American Civil Liberties Union, organizzazioni in prima linea per i diritti delle minoranze. Sessions provò a chiarire, ma non migliorò la sua posizione. Un giudice federale afroamericano, invece, ha sostenuto di averlo sentito dire che il Ku Klux Klan era ok "fino a quando non ho scoperto che fumavano marijuana". Sessions ha sempre liquidato la frase come una battuta.
Sessions è da mesi molto vicino a Donald Trump, è stato il primo senatore a dare il suo sostegno pubblico alla corsa del tycoon e nel corso della campagna elettorale è diventato uno dei suoi più fidati consiglieri. Alcune fonti nei giorni scorsi lo davano anche come possibile segretario alla Difesa. Sessions è noto per la sua linea dura sull'immigrazione: è il presidente della commissione del Senato sull'immigrazione e da sempre ha detto di aver deciso di appoggiare Trump perché solo lui avrebbe risolto il problema dell'immigrazione illegale. "Occorre rallentare il ritmo dei nuovi arrivi in modo da far salire i salari e diminuire il ricorso al welfare " ha scritto in un report di 25 pagine –
Immigration Handbook for the New Republican Majority - sostenendo la necessità di limitare i permessi di lavoro e imporre un stretto controllo su entrate e uscite dagli Usa. È un entusiasta sostenitore della costruzione di un muro al confine con il Messico.
CHI È MIKE POMPEO, DIRETTORE DELLA CIA. Repubblicano del Kansas, 52 anni, di origini italiane, laureato in legge ad Harvard, dal 2011 nella Camera dei Rappresentanti. Vicino al Tea Party, Pompeo è membro a vita della National Rifle Association, la lobby delle armi, che lo ha sostenuto al Congresso. È in prima linea contro l'aborto, vorrebbe abolirlo in ogni circostanza tranne quando la vita della madre è a rischio. Ha votato contro il rinnovo del Violence Against Women Act. Si è opposto alla chiusura di Guantanamo e ha fatto discutere la sua dichiarazione sui carcerati in sciopero della fame dopo aver visitato il carcere nel 2014: "Mi è sembrato che molti di loro hanno messo su peso". È apertamente contrario all'intesa raggiunta dall'amministrazione Obama con l'Iran. L'ultimo tweet non lascia spazio a dubbi: "Non vedo l'ora di smantellare questo accordo disastroso con il più grande Stato sponsor del terrorismo del mondo" scrive Pompeo. Il tweet rimanda ad un articolo dello stesso Pompeo al settimanale neo-con 'The Weekly Standard', intitolato 'Smantellare l'accordo con l'Iran? Facile".
Pompeo aveva inizialmente sostenuto la candidatura di Marco Rubio alla presidenza, ma poi ha appoggiato Donald Trump dopo la sua vittoria alle primarie. Non ha tuttavia esitato a criticare il presidente eletto quando è stato diffuso quel video del 2005 in cui Donald Trump dava il peggio di sé nel parlare delle donne. "Orribile, offensivo e indifendibile" sono state le sue parole. È stato però in prima linea al fianco di Donald Trump nell’attacco sulle responsabilità di Hillary Clinton per l’attentato di Bengasi, in qualità di membro del Comitato investigativo incaricato di indagare sull'attacco contro la sede diplomatica statunitense in Libia, avvenuto nel settembre 2012, in cui morì l'ambasciatore Chris Stevens.
CHI È MICHAEL FLYNN, CONSIGLIERE PER LA SICUREZZA NAZIONALE. Generale dell’esercito in pensione, 57 anni, un passato da consigliere nelle operazioni in Iraq e in Afghanistan, registrato come elettore democratico in Rhode Island, ha guidato la Defense Intelligence Agency durante l’amministrazione Obama, ma i rapporti con il presidente si sono progressivamente incrinati fino al suo licenziamento, anche per le sue critiche accese nella gestione della guerra contro l’Isis. Nel nuovo ruolo, il generale avrà sotto il suo controllo 400 persone e sarà il punto di contatto tra Casa Bianca, Pentagono, dipartimento di Stato e agenzie di intelligence. Come consigliere di Trump, ha dimostrato una notevole influenza durante la campagna elettorale, convincendo il tycoon a mantenere tra le priorità quella della guerra totale contro lo Stato islamico e a lasciare aperta la porta al dialogo con qualsiasi alleato contro la minaccia islamista, compresa la Russia di Vladimir Putin.
In un nuovo libro di cui è co-autore, Flynn prescrive una linea politica più dura nei confronti dell'Iran. Come Trump, ha definito l'invasione dell'Iraq nel 2003 un abbaglio strategico, sostenendo che sarebbe stato meglio utilizzare l'energia spesa per sostenere gli oppositori politici del governo di Teheran. Appoggia la visione di Trump di avere relazioni più calorose con Israele, ma anche legami più forti con l'Egitto. Il suo discorso alla convention repubblicana è stato fra i più applauditi, specie per le sue posizioni di fermezza nel contrasto allo Stato Islamico, di biasimo per la politica di Obama – che “ha portato il mondo a non avere più rispetto per la parola dell’America - e di collaborazione con Vladimir Putin. Flynn è un habituè di Russia Today in lingua inglese e la sua vicinanza con la Russia gli ha portato più di qualche critica in patria.