sabato 28 maggio 2016

Rocco Casalino e la claque per Luigi "Manidifata" Di Maio a Virus

Non riesce a smettere . Delirio della Raggi su Pomezia da Mentana

LA RAGGI? CHE SIA COME MELONI E ADINOLFI? 

di Federico Capra
Dopo il rifiuto del candidato sindaco di Roma del M5s a partecipare al Gay Village abbiamo intervistato Vladimir Luxuria: «Sapevo non sarebbe venuta. Ha bisogno dei voti della destra».
vladimir luxuriaDoveva essere un confronto sereno. Un confronto utile soprattutto alla comunità Lgbt di Roma per capire le intenzioni dei candidati sindaco della Capitale su questioni fondamentali come unioni civili, adozioni, razzismo e bullismo. Ecco perché gli organizzatori del Gay Village, previsto il primo giugno 2016 proprio nel capoluogo laziale, avevano deciso di invitare per un dibattito all’americana Roberto Giachetti,Stefano Fassina e Virginia Raggi. «Non, ovviamente, quei politici in aperto disaccordo con la nostra comunità come Giorgia MeloniAlfio Marchini o Mario Adinolfi, la cui posizione ci sembra abbastanza netta e insindacabile», ha commentato a LetteraDonna Vladimir Luxuria, una delle promotrici dell’evento. Invito gradito certo, ma non alla Raggi che «ci ha fatto sapere, attraverso una breve mail inviata dal suo staff, di avere altri impegni per quel giorno».
DOMANDA: Come avete preso questo rifiuto?RISPOSTA: Noi abbiamo fatto la nostra buona azione, volevamo un incontro per avere le idee chiare su determinate tematiche. Eppure questa nostra apertura serena non ha avuto riscontri positivi. Almeno da parte di uno dei tre candidati con cui avevamo intenzione di confrontarci.
D: Lei se lo aspettava?
R: Ad essere sincera devo dire di sì.
D: Come mai?
R: Un sentore l0 avevo avuto già prima. Non mi è mai parso che il Movimento 5 Stelle fosse così in accordo con il Governo sulle unioni civili o sulla stepchild adoption. Poi ritengo che tanto Virginia Raggi quanto il M5s abbiano molte simpatie nei confronti dell’elettorato di destra e sicuramente in caso di un eventuale ballottaggio a lei serviranno, anzi sono certa che vuole, i loro voti. Insomma, i soliti giochetti politici che sostenevano a lungo di combattere fanno sempre più parte del loro Dna.
D: La comunità Lgbt si è fatta un’idea su chi vuole come sindaco di Roma?
R: Sicuramente voteremo chi verrà al Gay Village (ride, ndr). A parte le battute penso sia giusto scegliere il candidato che ci possa tutelare, che possa difendere i nostri diritti nel migliore dei modi. Noi vogliamo questo confronto proprio per andare al voto con le idee chiare. Durante il dibattito, infatti, non ci saranno repliche o contraddittori, le domande saranno le stesse e sarà dato spazio in egual misura a entrambi. Sarà semplicemente un ascolto per capire e andare alle urne con il cuore un po’ più leggero.
D: Contenta per la legge sulle unioni civili?
R: 
Contenta? Sono contentissima. Non nascondo di avere festeggiato e posso dire che festeggerò anche quando il Governo porterà avanti il discorso sulle adozioni omosessuali.
D: Il prossimo fondamentale passo…
R: Assolutamente. La legge sulla genitorialità è imprescindibile adesso. Ritengo che queste siano tutte tematiche a cui un Paese civilizzato, come penso sia l’Italia, non si può sottrarre.
Libero all'attacco della candidata grillina: «Aggira la legge e per raccogliere fondi utilizza Paypal, piattaforma on line che il movimento criticava»
NEXT QUOTIDIANO
Paolo Emilio Russo su Libero di oggi va all’attacco di Virginia Raggi per un inciampo nelle regole dei finanziamenti delle campagne elettorale. La legge 515 del 1993 stabilisce che è obbligatorio indicare un mandatario elettorale per la raccolta di fondi per il finanziamento della campagna per la quale va utilizzato un unico conto corrente bancario ed eventualmente un conto corrente postale
Bene, il comitato elettorale della candidata del M5s a Roma, Virginia Raggi, sta invece aggirando questa regola. Sul sito della candidata che ha appena incontrato Beppe Grillo, www.virginiaraggisindaco.it, compaiono infatti due diverse opzioni: è possibile versare danaro “regolarmente“ sul conto intestato al mandatario Andrea Mazzillo, ma si può anche contribuire attraverso un conto corrente PayPal. Cosa è Pay Pal? Si tratta di una diffusissima, – perché comoda e sicura – tipologia di conto online, che consente di utilizzare la propria email per pagare merci e servizi acquistati dal vivo o in Rete. È agile – e irrintracciabile – come una banconota e,ovviamente, può essere utilizzata per acquisti ovunque in giro per il mondo.
virginia raggi paypal
Può essere “appoggiata” su un conto corrente tradizionale, ma,sotto certe cifre,può pure non esserlo. Al Meetup di Bologna, gli «Amici di Beppe Grillo» ne avevano discusso a lungo, in un forum dal titolo «Paypal, Bitcoin e l’evasione fiscale…». Già, perché se caricato con soldi provenienti dall’estero poi spesi all’estero, il conto è un “fantasma” anche per il fisco. Per verificare che non si trattasse di errore, un amico di Libero ha “regalato” un euro al Comitato elettorale Virginia Raggi, ricevendone la ricevuta di versamento. Anche questa non dà garanzie che i soldi finiscano sul conto corrente del mandatario,piuttosto che altro. Dove sarà finita la nostra moneta? Certamente,in ossequio a quella trasparenza che pretendono dagli altri, i cinque stelle pubblicheranno l’estratto conto, ma, intanto,#fuoriiconti!

M5S: Defranceschi querela Bugani

Ex consigliere contesta alcune dichiarazioni del candidato

(ANSA) - BOLOGNA, 28 MAG - Andrea Defranceschi, ex consigliere regionale emiliano-romagnolo del Movimento 5 Stelle, espulso per un'inchiesta sui rimborsi ai consiglieri dalla quale è stato completamente prosciolto, ha querelato per diffamazione Massimo Bugani, candidato sindaco M5S a Bologna.
    Defranceschi accusa Bugani di aver detto che non avrebbe restituito i soldi dell'indennità come previsto dalle regole del Movimento, di pagare per farsi ospitare in tv e cita anche l'apertura di nuove attività commerciali. Nella sua querela, Defranceschi smentisce i fatti riportati da Bugani.
    "Bugani - sostiene l'ex consigliere - è trasceso in attacchi personali, diretti a colpire, su un piano individuale, senza alcuna finalità di pubblico interesse, la figura morale del soggetto criticato. Nei casi citati l'esercizio del diritto, lungi dal rimanere nell'ambito di una critica misurata ed obiettiva, trascende nel campo dell'aggressione alla sfera morale altrui, penalmente protetta".
   

Come i leghisti alla Salvini i grillini sono capaci di criticare tutto, difficilmente di costruire qualcosa. E a noi tocca rimediare alla distruzione causata da venti anni di malgoverno di centro destra.

Che succede a Virginia? Salta i confronti tv e addio aplomb

M5S
Virginia Raggi a Palazzo Valentini durante l'incontro ''Roma oltre la baraccopoli'', Roma 23 Marzo 2016. ANSA/GIUSEPPE LAMI
Sfuma il comizio finale con Grillo. Sondaggi M5S per la prima volta amari
 
Che succede alla composta e ironica Virginia? Giovedì non s’è presentata al confronto diretto al Tg3 Lazio. «Motivi personali» è stata la giustificazione. Molto, troppo vaga. Anche perché la dolce Virginia ieri mattina era puntuale e presente all’intervista con Gerardo Greco conduttore di Agorà. Dove però si è spesso lamentata delle domande del giornalista. «Mi faccia finire…» ha cercato di rimproverarlo. «Cosa fa? Ride… io non rido, sono molto seria e invece di sorridere sarebbe meglio studiare e approfondire», ha puntualizzato in alcuni passaggi, ad esempio quello sulla moneta sostitutiva.
Nervosa, Virginia. Tesa, sguardo fisso, infastidita, una persona anni luce distante da quella che abbiamo imparato a conoscere in questi tre mesi. Raggi assomiglia ad «un’aspirante parlamentare democratica in America o un politico tory in Gran Bretagna» scrisse l’Economist. Seguirono Le MondeFocusGuardian. Correva il mese di marzo.
Ma da una decina di giorni le cose sono cambiate. All’improvviso e di 180 gradi. Interviste sbagliate («pronta a dimettermi se lo chiede Grillo») prima confermate poi smentite; fatti contraddittori come la nomina dello staff («l’ha scelto Grillo»; «no, l’ho scelto io»); l’ammissione che nessuna scelta, decisione o nomina amministrativa sarà presa «se prima non c’è il via libera dello staff e dei vertici». Un disastro. Che si sarebbe materializzato negli ultimi sondaggi in cui i 5 stelle a Roma non avrebbero più il vantaggio avuto finora. Anzi, stando alle ultime rilevazioni, Virginia «starebbe arrancando».
Con questi titoli sui giornali, ieri mattina la candidata 5 Stelle si è seduta al “tavolo” di Agorà e nel faccia a faccia con Greco durato circa mezz’ora le è capitato spesso di perdere il suo tradizionale aplomb. Sul destino di Atac schiacciata da un miliardo e mezzo di debito, Raggi si è irritata davanti all’ipotesi della privatizzazione («basta con questa storia, la ricetta è gestire bene e tagliare gli sprechi») e ha definito «sterili» le domande di Greco che insisteva per capire cosa significa in concreto buona gestione e perché l’80% degli utenti non paga («ho detto controllori non bigliettai» ha precisato Raggi). Che si è nuovamente innervosita sul capitolo Uber («è illegale») e servizio taxi in città («può anche fare domande senza ridere») quando Greco ha fatto balenare l’ipotesi, neppure troppo originale, che sia in corso da parte dei 5 Stelle il tentativo di compiacere la folta categoria. E sul progetto funivia («è da studiare, cosa che dovrebbe fare un amministratore accorto, c’è ben poco da ridere»).
Faccia piccata, della Raggi, quando è stato introdotto il tema periferie con un servizio su Tor Bella Monaca e ha ammesso di non aver visto il film cult Jeeg Robot. Erano le 9 del mattino e la candidata ancora non sapeva che accanto a lei sul palco per il comizio finale il 3 molto probabilmente non ci sarà Grillo ma per l’appunto l’attore protagonista di Jeeg Robot Claudio Santamaria.
I nervi sono decisamente saltati nell’ultima parte dell’intervista quando è stato toccato il tema «moneta complementare», ultima trovata del programma 5 Stelle. «Non è una mia idea, è un sistema che va studiato» ha detto Raggi. «Vabbè, un baratto» cercava di esemplificare Greco. «Non m’interrompa sempre e mi faccia rispondere» ha detto la candidata stizzita che parlava da 25 minuti.
Quando poi è stato introdotto il tema «rapporto con la Casaleggio associati» a cui Raggi ha dedicato le ultime due interviste, la candidata ha perso per sempre la pazienza. «Lo ripeto una volta per tutte perché lei non mi vuol capire – ha detto – lo staff è stato scelto da me e non limita la mia autonomia. E faccia la cortesia di non inventare funzioni che non esistono». Peccato che Raggi non abbia smentito almeno due interviste che sul punto, nei giorni precedenti, dicevano esattamente il contrario. Allora, o in questi giorni s’è rotto l’auricolare collegato con la sala regia della Casaleggio e la candidata bisticcia con le parole e il senso delle cose. Oppure i dati sui sondaggi negativi sono veri e arrivati anche in casa 5 Stelle.
Dopo mesi di fuga in solitaria ritrovarsi in calo nel momento più delicato, può innervosire. Per non sbagliare oltre, sul blog di Grillo ieri è comparso l’appello dei candidati. «Puntiamo su recupero e riqualificazione architettonica per le imprese edili, tutela del commercio di prossimità e di vicinato che valorizza i centri storici, spazi di incubazione e sviluppo per le idee dei giovani e le start-up innovative, servizi e agevolazioni fiscali alle manifatture e all’artigianato che esaltano l’identità culturale delle nostre città» scrivono Appendino, Brambilla, Bugani, Corrado, Raggi e «tutti gli altri 244 candidati sindaci». Con il blog, almeno, c’è la certezza di non sbagliare.

La contraddizione M5s sugli organi intermedi

Direttorio. Comitato per le espulsioni. Triumvirato di Rousseau e Raggi-team. Dov'è finita la democrazia diretta? Per Crimi: «Farneticazioni». Ma gli attivisti...

28 Maggio 2016
Da sinistra, Roberta Lombardi, Fabio Massimo Castaldo, Virginia Raggi, Paola Taverna e Gianluca Perilli.
Da sinistra, Roberta Lombardi, Fabio Massimo Castaldo, Virginia Raggi, Paola Taverna e Gianluca Perilli.
Il mini-staff di nominaticoordinato dai garanti pronto ad affiancare Virginia Raggi in caso di vittoria a Roma è solo l'ultimo caso.
E si va a sommare al 'direttorio', i cinque parlamentari scelti sempre dallo staff e proposti al 'referendum' online a fine novembre 2014, alla Consulta per le sospensioni creata e votata il 24 dicembre dello stesso anno.
E all'ultima nata: l'associazione Rousseau nella quale sono entrati a fare parte l'europarlamentare David Borrelli e il consigliere comunale uscente e candidato 'naturale' sindaco di Bologna Max Bugani.
«Due guerrieri», li ha presentati il Blog annunciandone la nomina, «che si sono messi in gioco da anni insieme a milioni di persone e che nonostante le difficoltà non hanno mai mollato».
PROVE DI SEGRETERIA? Strutture differenti tra loro, nate per esigenze diverse e con funzioni diverse, vero. Che però è difficile non definire organismi intermedi.
Anche se sono sempre coordinati, in ultima battuta, dalla figura del garante.
Nulla di illegittimo, ci mancherebbe. Tranne per le accuse di incostituzionalità mosse al contratto firmato dai candidati romani.
ALSO SPRACH BEPPE. E se non fosse per il regolamento che presenta Il Movimento 5 stelle come «una libera associazione di cittadini. Non è un partito politico né si intende che lo diventi in futuro. Non ideologie di sinistra o di destra, ma idee. Vuole realizzare un efficiente ed efficace scambio di opinioni e confronto democratico al di fuori di legami associativi e partitici e senza la mediazione di organismi direttivi o rappresentativi, riconoscendo alla totalità dei cittadini il ruolo di governo e indirizzo normalmente attribuito a pochi».
A stonare è proprio quel «senza la mediazione di organismi direttivi o rappresentativi».
Lettera43.it ha provato a chiedere spiegazioni al senatore e ras lombardo Vito Crimi che ha liquidato le domande come «fantasiose ipotesi, che in alcuni casi diventano farneticazioni, sul Movimento».

La nascita del direttorio suscitò le critiche degli attivisti

Luigi Di Maio con Alessandro Di Battista.
Luigi Di Maio con Alessandro Di Battista. 
Di certo il M5s in questi anni si è evoluto.
Come spiegò sempre Grillo sul Blog a novembre 2014.
«Quando abbiamo intrapreso l’appassionante percorso del Movimento 5 stelle, ho assunto il ruolo di garante per assicurare il rispetto dei valori fondanti di questa comunità», aveva ricordato.
QUEL «SONO UN PO' STANCHINO». E ancora: «Oggi, se vogliamo che questo diventi un Paese migliore, dobbiamo ripartire con più energia ed entusiasmo. Il M5s ha bisogno di una struttura di rappresentanza più ampia di quella attuale. Questo è un dato di fatto. Io, il camper e il Blog non bastiamo più. Sono un po’ stanchino, come direbbe Forrest Gump».
Rimanendo nel ruolo di garante, Grillo propose così cinque persone «tra le molte valide», che «grazie alle loro diverse storie e competenze opereranno come riferimento più ampio del M5s in particolare sul territorio e in parlamento».
 
  • Il fotomontaggio pubblicato da Grillo sul Blog nel novembre del 2014.

I nomi di Carlo Sibilia, Carla Ruocco, Roberto Fico, Alessandro Di Battista e Luigi Di Maio (tutti dell'asse Campania-Lazio) vennero così messi ai voti. E sostenuti dal 91,7% dei sì, che tradotto significava 34.050 voti.
Tutto bene, quindi? Non proprio.
MUTAZIONE IN PARTITO. Molti attivisti insorsero denunciando la rottamazione del principio ''1 vale 1'' e la mutazione incontrovertibile del Movimento in partito politico.
Caustico anche il blogger Claudio Messora, allora considerato ai vertici del M5s e poi liquidato.
«Grillo cerca di formare una vera e propria segreteria di partito, un direttorio a 5 stelle scelto da lui, e chiede alla Rete di ratificare la sua scelta», attaccò Byoblu.
«Dove sono i senatori? Dove sono gli eurodeputati? Dove sono le donne? Dove vengono specificati ruoli, poteri e durata del mandato?».
DIMISSIONI SOLO MINACCIATE. Ci fu anche chi, come i lombardi Daniele Pesco e Dino Alberti, promise di dimettersi in caso di ok al nuovo organismo.
«Se dovesse vincere il sì», annunciò proprio Pesco, «io mi dimetto. Sono tutti miei cari amici, ma il Movimento 5 stelle non è questo. Non siamo un partito. L’abbiamo sempre detto. Non abbiamo bisogno di un direttivo».
Entrambi però sono ancora seduti a Montecitorio nelle file pentastellate.
«Il re sceglie i cortigiani. Il popolo acclama», twittò critico pure il deputato Samuele Segoni. Che di lì a poco uscì dal M5s per entrare in Alternativa libera.
Un anno e mezzo dopo, molti attivisti difendono però la scelta di Grillo e Casaleggio.
«NON PARLATE DI PENTARCHIA». «I cinque non hanno formato una 'pentarchia'», mette in chiaro a Lettera43.it Massimiliano Morosini, candidato all'VIII Municipio di Roma.
«È una sorta di un riconoscimento di un ruolo di coordinamento e di redistribuzione delle funzioni del fondatore».
Per questo definire il direttorio, lo staff di Raggi e la Consulta «organi intermedi» è sbagliato.
«IL RAPPORTO CON LA BASE È IMMUTATO». «Non lo sono», continua Morosini, «non essendo organi di 'rappresentanza', ma solo di supporto. L'indirizzo politico e il ruolo deliberativo appartengono agli iscritti certificati».
Insomma, «le dinamiche interne sono complesse ma rimane sostanzialmente immutato il rapporto tra la base e i vari pezzi dell'organizzazione minima necessaria».

Poi fu creato il Comitato d'appello con il decalogo sulle espulsioni

Roberta Lombardi, Giancarlo Cancelleri e Vito Crimi.
Roberta Lombardi, Giancarlo Cancelleri e Vito Crimi.
Pochi giorni dopo il direttorio, con un voto indetto sul Blog la vigilia di Natale 2014 (circostanza che sollevò più di qualche sospetto) vennero scelti due dei tre membri del nuovo Comitato d'appello con la funzione di regolamentare le espulsioni.
LOMBARDI E CANCELLERI. La Rete, o meglio un gruppo di 23.786 iscritti, optò per Roberta Lombardi (12.916 voti) e Giancarlo Cancelleri (11.072). Preferendoli a Riccardo Nuti, Davide Bono e David Borrelli.
Lombardi quindi con la fresca nomina nello staff di Raggi, ha accumulato una seconda carica nel Movimento oltre, naturalmente, a quella di parlamentare.
RUOLI CHE SI ACCUMULANO. Anche in questo caso i più maligni vedono una contraddizione visto che il M5s si è sempre espresso contro la sommatoria delle poltrone, almeno quelle elettive come parlamentare e sindaco.
Resta però da capire se l'elezione nel Comitato e quella a Montecitorio siano o no ruoli compatibili. Pure a questa domanda Crimi non ha risposto.
Sempre Crimi venne poi scelto dallo staff come terzo membro per affiancare i due 'eletti' dalla Rete.
L'istituzione del Comitato era prevista dal regolamento per iscritti e militanti, per molti la risposta di Grillo e Casaleggio all'emorragia di eletti, tra espulsioni e addii.
PALETTI ALLA DEMOCRAZIA INTERNA. Tra le regole c'erano i 10 giorni per presentare ricorso all'istruttoria e le controdeduzioni del sospeso da presentare al leader.
L'eventuale rimissione della decisione all'assemblea.
Con un dettaglio: per modificare il 'decalogo' occorre l'ok di Grillo o di un quinto degli iscritti.
In altre parole, mentre all'esterno da anni il Movimento porta avanti la battaglia per il referendum senza quorum, all'interno impone paletti ferrei e stringenti persino per modificare un regolamento.

Infine arrivarono Rousseau e il 'triumvirato'

Luigi Di Maio, Massimo Bugani, Alessandro Di Battista.
Luigi Di Maio, Massimo Bugani, Alessandro Di Battista. 
Borrelli, fedelissimo dello staff e 'scartato' dalla Rete per il Comitato d'appello, ha poi trovato posto tra i soci dell'associazione Rousseau, insieme con Bugani - candidato imposto da Milano sotto le Due Torri - e Davide Casaleggio.
Di solito erano i cosiddetti Casaleggio boys a entrare in politica (come Maurizio Benzi, fondatore del MeetUp di Milano e candidato senza successo alla Camera), ora Bugani ha compiuto il percorso inverso.
POCA TRASPARENZA. «Il direttorio continuerà a svolgere i compiti che ha avuto finora», ha spiegato lui a la Repubblica Bologna.
«Io e Borrelli, insieme con Davide Casaleggio, gestiremo la macchina organizzativa di Rousseau».
Il sogno di Casaleggio senior che, secondo il candidato sindaco, «sarà la vera rivoluzione: cittadini che favoriscono progetti di democrazia diretta in maniera trasparente».
Anche se la trasparenza delle modalità di selezione del triumvirato non è risultata così chiara agli attivisti che non hanno avuto la possibilità di scegliere né lui né Borrelli.

Qualche militante storico sbotta: «Non abbiamo mai deciso nulla»

Bandiera M5s.
Bandiera M5s. 
Direttorio, staff romano, Comitato, associazione Rousseau: sono tutte entità che non erano nemmeno concepibili nel M5s delle origini.
La cui esistenza di volta in volta è stata spiegata appellandosi a regolamenti, principi o a regole create ad hoc.
NORME STRUMENTALIZZATE. Un attivista storico sbotta: «Ormai pare chiaro che le regole sono semplicemente usate come scuse quando c'è bisogno di far fuori qualcuno».
Oppure «per giustificare qualche azione dei vertici. Allora si tira fuori una norma, magari la volta dopo se ne utilizza un'altra che è l'opposto della precedente, poi basta che gli esponenti di peso sostengano a gran voce che 'è sempre stato così' e che chi sostiene che le regole erano diverse è un traditore che agisce per interesse personale, e la cosa va via liscia».
OSTACOLI ALLA CONTESTAZIONE. Esiste «un corpus di regole infinito», così tra norme informali, formali, post sul Blog, dogmi, cose che «si sa che vanno in questo modo» si genera una ''giungla'' atta a «rendere difficile contestare le contraddizioni» che via via emergono.
La verità, aggiunge amaro un altro attivista, «è che non abbiamo mai deciso nulla».
E mentre le pentastar (anche questa una definizione che solo qualche anno fa sarebbe suonata come bestemmia alle orecchie del popolo grillino) fanno carriera e si moltiplicano organismi non si capisce quanto intermedi e quanto indipendenti dalla figura dei garante Grillo - che tra l'altro aveva annunciato un suo distacco dalla politica togliendo il nome dal simbolo -, lo staff nelle persone di Luigi Di Maio e Roberto Fico l'estate del 2015 ha di fatto neutralizzato il ruolo dei MeetUp da cui tutto nacque, come ha raccontato a Lettera43.it Michele Morini, fondatore del gruppo di Parma e dello storico Forum  280.
I MEETUP? NON SERVONO PIÙ. «I MeetUp da soli non sono il Movimento 5 stelle», hanno scritto sul Blog i due membri del direttorio; «possono essere due aspetti dello stesso progetto di democrazia diretta che può realizzarsi solo attraverso una vera rivoluzione culturale».
E ancora: «La partecipazione al MeetUp non dà diritto all’uso del simbolo Movimento 5 stelle in alcun modo, che può essere utilizzato solo dai portavoce e dalle liste certificate limitatamente alla durata della campagna elettorale». Senza dimenticare che «i MeetUp hanno ambito territoriale ristretto. Per la loro stessa natura orientata ai temi locali, non hanno motivo di esistere MeetUp regionali o nazionali».
Proprio quello che, tra parentesi, chiede nel suo documento Federico Pizzarotti:la creazione di MeetUp nazionali per «definire e stabilire regole interne chiare a tutti».
I ragazzi con «l'elemetto», il popolo dei MeetUp non sembrano servire più. E, come dice qualche ortodosso del M5s di Milano, «agli attivisti ora si preferiscono i voti»

dipocheparole     venerdì 27 ottobre 2017 20:42  82 Facebook Twitter Google Filippo Nogarin indagato e...