Da sinistra, Roberta Lombardi, Fabio Massimo Castaldo, Virginia Raggi, Paola Taverna e Gianluca Perilli.
Il
mini-staff di nominaticoordinato dai garanti pronto ad affiancare Virginia Raggi in caso di vittoria a Roma è solo l'ultimo caso.
E si va a sommare al 'direttorio', i cinque parlamentari scelti sempre dallo staff e proposti al 'referendum' online a fine novembre 2014, alla Consulta per le sospensioni creata e votata il 24 dicembre dello stesso anno.
E all'ultima nata: l'associazione Rousseau nella quale sono entrati a fare parte l'europarlamentare David Borrelli e il consigliere comunale uscente e candidato 'naturale' sindaco di Bologna Max Bugani.
«Due guerrieri», li ha presentati il Blog annunciandone la nomina, «che si sono messi in gioco da anni insieme a milioni di persone e che nonostante le difficoltà non hanno mai mollato».
PROVE DI SEGRETERIA? Strutture differenti tra loro, nate per esigenze diverse e con funzioni diverse, vero. Che però è difficile non definire organismi intermedi.
Anche se sono sempre coordinati, in ultima battuta, dalla figura del garante.
Nulla di illegittimo, ci mancherebbe. Tranne per le accuse di incostituzionalità mosse al contratto firmato dai candidati romani.
ALSO SPRACH BEPPE. E se non fosse per il regolamento che presenta Il Movimento 5 stelle come «una libera associazione di cittadini. Non è un partito politico né si intende che lo diventi in futuro. Non ideologie di sinistra o di destra, ma idee. Vuole realizzare un efficiente ed efficace scambio di opinioni e confronto democratico al di fuori di legami associativi e partitici e senza la mediazione di organismi direttivi o rappresentativi, riconoscendo alla totalità dei cittadini il ruolo di governo e indirizzo normalmente attribuito a pochi».
A stonare è proprio quel «senza la mediazione di organismi direttivi o rappresentativi».
Lettera43.it ha provato a chiedere spiegazioni al senatore e ras lombardo Vito Crimi che ha liquidato le domande come «fantasiose ipotesi, che in alcuni casi diventano farneticazioni, sul Movimento».
La nascita del direttorio suscitò le critiche degli attivisti
Luigi Di Maio con Alessandro Di Battista.
Di certo il M5s in questi anni si è evoluto.
Come spiegò sempre Grillo sul Blog a novembre 2014.
«Quando abbiamo intrapreso l’appassionante percorso del Movimento 5 stelle, ho assunto il ruolo di garante per assicurare il rispetto dei valori fondanti di questa comunità», aveva ricordato.
QUEL «SONO UN PO' STANCHINO». E ancora: «Oggi, se vogliamo che questo diventi un Paese migliore, dobbiamo ripartire con più energia ed entusiasmo. Il M5s ha bisogno di una struttura di rappresentanza più ampia di quella attuale. Questo è un dato di fatto. Io, il camper e il Blog non bastiamo più. Sono un po’ stanchino, come direbbe Forrest Gump».
Rimanendo nel ruolo di garante, Grillo propose così cinque persone «tra le molte valide», che «grazie alle loro diverse storie e competenze opereranno come riferimento più ampio del M5s in particolare sul territorio e in parlamento».
- Il fotomontaggio pubblicato da Grillo sul Blog nel novembre del 2014.
I nomi di Carlo Sibilia, Carla Ruocco, Roberto Fico, Alessandro Di Battista e Luigi Di Maio (tutti dell'asse Campania-Lazio) vennero così messi ai voti. E sostenuti dal 91,7% dei sì, che tradotto significava 34.050 voti.
Tutto bene, quindi? Non proprio.
MUTAZIONE IN PARTITO. Molti attivisti insorsero denunciando la rottamazione del principio ''1 vale 1'' e la mutazione incontrovertibile del Movimento in partito politico.
Caustico anche il blogger Claudio Messora, allora considerato ai vertici del M5s e poi liquidato.
«Grillo cerca di formare una vera e propria segreteria di partito, un direttorio a 5 stelle scelto da lui, e chiede alla Rete di ratificare la sua scelta», attaccò Byoblu.
«Dove sono i senatori? Dove sono gli eurodeputati? Dove sono le donne? Dove vengono specificati ruoli, poteri e durata del mandato?».
DIMISSIONI SOLO MINACCIATE. Ci fu anche chi, come i lombardi Daniele Pesco e Dino Alberti, promise di dimettersi in caso di ok al nuovo organismo.
«Se dovesse vincere il sì», annunciò proprio Pesco, «io mi dimetto. Sono tutti miei cari amici, ma il Movimento 5 stelle non è questo. Non siamo un partito. L’abbiamo sempre detto. Non abbiamo bisogno di un direttivo».
Entrambi però sono ancora seduti a Montecitorio nelle file pentastellate.
«Il re sceglie i cortigiani. Il popolo acclama», twittò critico pure il deputato Samuele Segoni. Che di lì a poco uscì dal M5s per entrare in Alternativa libera.
Un anno e mezzo dopo, molti attivisti difendono però la scelta di Grillo e Casaleggio.
«NON PARLATE DI PENTARCHIA». «I cinque non hanno formato una 'pentarchia'», mette in chiaro a Lettera43.it Massimiliano Morosini, candidato all'VIII Municipio di Roma.
«È una sorta di un riconoscimento di un ruolo di coordinamento e di redistribuzione delle funzioni del fondatore».
Per questo definire il direttorio, lo staff di Raggi e la Consulta «organi intermedi» è sbagliato.
«IL RAPPORTO CON LA BASE È IMMUTATO». «Non lo sono», continua Morosini, «non essendo organi di 'rappresentanza', ma solo di supporto. L'indirizzo politico e il ruolo deliberativo appartengono agli iscritti certificati».
Insomma, «le dinamiche interne sono complesse ma rimane sostanzialmente immutato il rapporto tra la base e i vari pezzi dell'organizzazione minima necessaria».
Poi fu creato il Comitato d'appello con il decalogo sulle espulsioni
Roberta Lombardi, Giancarlo Cancelleri e Vito Crimi.
Pochi giorni dopo il direttorio, con un voto indetto sul Blog la vigilia di Natale 2014 (circostanza che sollevò più di qualche sospetto) vennero scelti due dei tre membri del nuovo Comitato d'appello con la funzione di regolamentare le espulsioni.
LOMBARDI E CANCELLERI. La Rete, o meglio un gruppo di 23.786 iscritti, optò per Roberta Lombardi (12.916 voti) e Giancarlo Cancelleri (11.072). Preferendoli a Riccardo Nuti, Davide Bono e David Borrelli.
Lombardi quindi con la fresca nomina nello staff di Raggi, ha accumulato una seconda carica nel Movimento oltre, naturalmente, a quella di parlamentare.
RUOLI CHE SI ACCUMULANO. Anche in questo caso i più maligni vedono una contraddizione visto che il M5s si è sempre espresso contro la sommatoria delle poltrone, almeno quelle elettive come parlamentare e sindaco.
Resta però da capire se l'elezione nel Comitato e quella a Montecitorio siano o no ruoli compatibili. Pure a questa domanda Crimi non ha risposto.
Sempre Crimi venne poi scelto dallo staff come terzo membro per affiancare i due 'eletti' dalla Rete.
L'istituzione del Comitato era prevista dal regolamento per iscritti e militanti, per molti la risposta di Grillo e Casaleggio all'emorragia di eletti, tra espulsioni e addii.
PALETTI ALLA DEMOCRAZIA INTERNA. Tra le regole c'erano i 10 giorni per presentare ricorso all'istruttoria e le controdeduzioni del sospeso da presentare al leader.
L'eventuale rimissione della decisione all'assemblea.
Con un dettaglio: per modificare il 'decalogo' occorre l'ok di Grillo o di un quinto degli iscritti.
In altre parole, mentre all'esterno da anni il Movimento porta avanti la battaglia per il referendum senza quorum, all'interno impone paletti ferrei e stringenti persino per modificare un regolamento.
Infine arrivarono Rousseau e il 'triumvirato'
Luigi Di Maio, Massimo Bugani, Alessandro Di Battista.
Borrelli, fedelissimo dello staff e 'scartato' dalla Rete per il Comitato d'appello, ha poi trovato posto tra i soci dell'associazione Rousseau, insieme con Bugani - candidato imposto da Milano sotto le Due Torri - e Davide Casaleggio.
Di solito erano i cosiddetti
Casaleggio boys a entrare in politica (come Maurizio Benzi, fondatore del MeetUp di Milano e candidato senza successo alla Camera), ora Bugani ha compiuto il percorso inverso.
POCA TRASPARENZA. «Il direttorio continuerà a svolgere i compiti che ha avuto finora», ha spiegato lui a
la Repubblica Bologna.
«Io e Borrelli, insieme con Davide Casaleggio, gestiremo la macchina organizzativa di Rousseau».
Il sogno di Casaleggio senior che, secondo il candidato sindaco, «sarà la vera rivoluzione: cittadini che favoriscono progetti di democrazia diretta in maniera trasparente».
Anche se la trasparenza delle modalità di selezione del triumvirato non è risultata così chiara agli attivisti che non hanno avuto la possibilità di scegliere né lui né Borrelli.
Qualche militante storico sbotta: «Non abbiamo mai deciso nulla»
Bandiera M5s.
Direttorio, staff romano, Comitato, associazione Rousseau: sono tutte entità che non erano nemmeno concepibili nel M5s delle origini.
La cui esistenza di volta in volta è stata spiegata appellandosi a regolamenti, principi o a regole create ad hoc.
NORME STRUMENTALIZZATE. Un attivista storico sbotta: «Ormai pare chiaro che le regole sono semplicemente usate come scuse quando c'è bisogno di far fuori qualcuno».
Oppure «per giustificare qualche azione dei vertici. Allora si tira fuori una norma, magari la volta dopo se ne utilizza un'altra che è l'opposto della precedente, poi basta che gli esponenti di peso sostengano a gran voce che 'è sempre stato così' e che chi sostiene che le regole erano diverse è un traditore che agisce per interesse personale, e la cosa va via liscia».
OSTACOLI ALLA CONTESTAZIONE. Esiste «un corpus di regole infinito», così tra norme informali, formali, post sul Blog, dogmi, cose che «si sa che vanno in questo modo» si genera una ''giungla'' atta a «rendere difficile contestare le contraddizioni» che via via emergono.
La verità, aggiunge amaro un altro attivista, «è che non abbiamo mai deciso nulla».
E mentre le pentastar (anche questa una definizione che solo qualche anno fa sarebbe suonata come bestemmia alle orecchie del popolo grillino) fanno carriera e si moltiplicano organismi non si capisce quanto intermedi e quanto indipendenti dalla figura dei garante Grillo - che tra l'altro aveva annunciato un suo distacco dalla politica togliendo il nome dal simbolo -, lo staff nelle persone di Luigi Di Maio e Roberto Fico l'estate del 2015 ha di fatto neutralizzato il ruolo dei MeetUp da cui tutto nacque,
come ha raccontato a Lettera43.it Michele Morini, fondatore del gruppo di Parma e dello storico Forum 280.I MEETUP? NON SERVONO PIÙ. «I MeetUp da soli non sono il Movimento 5 stelle», hanno scritto sul Blog i due membri del direttorio; «possono essere due aspetti dello stesso progetto di democrazia diretta che può realizzarsi solo attraverso una vera rivoluzione culturale».
E ancora: «La partecipazione al MeetUp non dà diritto all’uso del simbolo Movimento 5 stelle in alcun modo, che può essere utilizzato solo dai portavoce e dalle liste certificate limitatamente alla durata della campagna elettorale». Senza dimenticare che «i MeetUp hanno ambito territoriale ristretto. Per la loro stessa natura orientata ai temi locali, non hanno motivo di esistere MeetUp regionali o nazionali».
Proprio quello che, tra parentesi,
chiede nel suo documento Federico Pizzarotti:la creazione di MeetUp nazionali per «definire e stabilire regole interne chiare a tutti».
I ragazzi con «l'elemetto», il popolo dei MeetUp non sembrano servire più. E,
come dice qualche ortodosso del M5s di Milano, «agli attivisti ora si preferiscono i voti».