sabato 22 ottobre 2016

I costituzionalisti del M5S e di SEL hanno fatto, come sempre, una magnifica figura da quattro soldi. Viva l'Italia dei ricorsi al TAR organismo che non ha eguali in nessun paese d'Europa.


La storia si ripete e si ripete e si ripete nel partito marxista-leninista-stalinista-populista-peronista-grillino. E' strano, Ma Scanzi, Gomez e Travaglio non vedono niente.

Paolo Putti lascia il Movimento 5 Stelle in lite con Grillo

Una telefonata di fuoco dopo le critiche alla Salvatore accusata di portare avanti una "politica dei selfie"
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PAOLO Putti lascia il Movimento Cinque Stelle. L’ex candidato sindaco di Beppe Grillo per Genova, e attuale capogruppo dei grillini in consiglio comunale lo ha annunciato ieri sera alla plenaria del M5S: «Me ne vado». Sta ancora decidendo se uscire dal gruppo consiliare prima della fine del mandato, o aspettare la fine naturale dell’incarico, la prossima primavera. Oppure cogliere l’occasione per togliersi tutti i sassolini dalle scarpe.

Del resto il nodo è già venuto al pettine con il leader. Mercoledì Beppe Grillo ha fatto a Paolo Putti una telefonata di fuoco. Era furibondo per le critiche che proprio Putti ha rivolto ad Alice Salvatore nella vicenda dei lavoratori delle Riparazioni navali in consiglio regionale. Affaire che ha portato, peraltro, un consigliere regionale M5S, Francesco Battistini, a dissociarsi dal gruppo in Regione e chiedere scusa ai lavoratori. Grillo gli ha detto chiaro e tondo che Alice Salvatore non si tocca. Che non si azzardi più a criticare, dall'interno, la linea. Putti aveva staffilato Salvatore liquidandola con «È l'effetto della politica dei selfie». E avrebbe anche sfidato Grillo: «Cacciami tu dal Movimento, allora». A quel punto il comico avrebbe tirato il freno. Per evitare il "caso" Putti. Come quello del sindaco di Parma Federico Pizzarotti.

Il "caso" Putti, però, c'è e farà rumore: perché il capogruppo in consiglio comunale, uno dei primi grillini, nel 2012, a candidarsi a sindaco e poi a entrare dentro la macchina dell'amministrazione, se ne va con le motivazioni che, a spizzichi, ha già chiarito, anche pubblicamente. Non soltanto non si riconosce in una gestione verticistica del Movimento, slacciata sempre più dai territori, ma pure non ha trovato la coesione necessaria per lanciare una propria candidatura a sindaco e provare a far cambiare passo al "Movimento di Alice" come lo chiamano ormai in molti a Genova e in Liguria. A Putti, dicono i suoi amici, dispiace lasciare il campo a chi, secondo lui, avrebbe reinterpretato il Movimento in chiave completamente diversa dalle istanze iniziali.

Peraltro ieri sera Putti parlava senza la sua rivale, in plenaria. Assente alla riunione cruciale per il futuro amministrativo della città, almeno per quanto riguarda il Movimento. Alice Salvatore infatti ha partecipato a un dibattito sul referendum costituzionale, a Certosa, promuovendo le ragioni del No, contro il consigliere regionale Pd Pippo Rossetti, paladino del Sì. E per rispondere al mal di pancia, piuttosto forte, tra le fila dei militanti che non hanno digerito l'assenza, considerata strategica, della Salvatore a una plenaria così cruciale per la scelta "dal basso" del candidato, l'altra sera è cominciata a circolare in rete una lettera firmata da sessantasette altri militanti grillini e indirizzata al Meetup. Tra i firmatari ci sono attivisti di lungo corso, alcuni rampanti novizi e anche Luca Pirondini, professore d'orchestra, da molti indicato come il candidato sindaco in pectore proprio di Alice Salvatore, il suo asso pigliatutto. Che infatti ieri sera era a tifare per Alice nello scontro referendario, anziché a presentare la sua candidatura all'assemblea plenaria.

Una lettera che molti hanno visto come la risposta politica di Alice agli attacchi alla sua gestione "poco democratica" del Movimento: "Non è per dividere in buoni o in cattivi, ma soltanto per provare a tracciare un punto zero dal quale ripartire con serenità". E poi, passaggio chiave: "Sosterremo la lista o le liste espressione diretta delle regole che gli organi del Movimento 5 Stelle preposti a farlo decideranno essere le migliori, poiché la nostra fiducia nei loro confronti è totale". Insomma fiducia totale nella scelta di chi fa le regole: lo staff, Beppe Grillo, Alice. E ancora: "Il nostro è un fermo dissenso al confuso pasticciato e incomprensibilmente
 frettoloso iter per la selezione dei candidati alle amministrative della nostra città", ovvero sembrano schierarsi contro la scelta di presentare dal basso le candidature, proprio come accaduto ieri sera alla plenaria. E aggiungono: "I sottoscriventi non stanno disconoscendo il ruolo della riunione plenaria". Ma intanto Putti è proprio andato in plenaria, che lui definisce il luogo geometrico della democrazia, ad annunciare la sua uscita dal Movimento.
Il telefono d'oro di Fico: bolletta da 12mila euro Nel sito degli ex grillini la verità sulle spese M5S. Il vitto di Di Battista costa 2800 euro in tre mesi Paolo Bracalini - Mer, 19/10/2016 - 08:22 commenta «Ma quanto spendi?». La domanda dà il nome ad un sito internet che analizza tutte le spese, tra cene, alberghi, viaggi e consulenti, dei gruppi M5S a Camera e Senato (che rendicontano le loro entrate e uscite su tirendiconto.it). Gli autori sono due ex del movimento Cinque Stelle, Nicola Biondo già capo della comunicazione M5s alla Camera e Marco Canestrari ex Casaleggio Associati, ed è parte di Supernova, il libro su «com'è stato ucciso il MoVimento 5 Stelle» che è in corso di pubblicazione on line tramite un crowdfunding dei lettori. Dalle cifre raccolte per voci di spesa e ordinate in classifiche, si evince che Di Maio non è l'unico a utilizzare una bella fetta delle risorse che la Camera mette a disposizione (oltre allo stipendio base) dei parlamentari grillini. Lo slogan della politica a costo zero, o almeno low cost con una connessione internet, niente sedi di partito e il blog come strumento di comunicazione, non si ritrova però nei bilanci dei parlamentari Cinque Stelle, che se è vero che restituiscono una quota importante dei generosi fondi pubblici ricevuti a Montecitorio e Palazzo Madama, ne spendono anche parecchi. Qualche numero. Nell'ultimo quadrimestre (maggio-agosto 2016) il M5S Senato ha speso 748.875 euro, la maggior parte dei quali (oltre 350mila euro) per «personale e collaboratori». I deputati non hanno una rendicontazione quadrimestrale come gruppo, l'ultimo bilancio è relativo al 2015, dove si legge che gli «oneri» sono stati di 3,7 milioni di euro (350mila euro più dell'anno precedente). Anche qui la voce più corposa sono i dipendenti e i consulenti del gruppo, diciassette persone all'Ufficio Comunicazione (tra cui Silvia Virgulti, fidanzata di Di Maio), trentacinque al Legislativo, eccetera. E le spese dei singoli parlamentari? Di Maio, il pupillo di Grillo e favorito per una futura investitura a candidato premier, è finito al centro di una polemica per i 108mila euro spesi in tre anni per «eventi sul territorio» («Dal 2013 ho restituito ai cittadini italiani 204.582,62 euro. E sono felice di averlo fatto» si difende sul blog di Grillo). Ma in altre classifiche Di Maio è superato da altri suoi colleghi. La senatrice Barbara Lezzi, ad esempio, è al primo posto nella classifica della spesa per «consulenze» (assistenza legale, commercialisti, informatici): 85mila euro spesi finora. Ai primi posti seguono altri grillini, come i due componenti del direttorio Di Battista (41mila euro) e Carlo Sibilia (40mila). Di Battista, soprannominato dai colleghi «Gallo cedrone» (una delle chicche svelate dal libro) negli ultimi tre mesi rendicontati, cioè fino a luglio, ha speso 2.800 euro tra pranzi, cene, bar e alimentari generici. Ma alla voce «vitto» non è Di Battista il top spender della pattuglia parlamentare grillina. La medaglia va al deputato Mattia Fantinati, che finora ha utilizzato 32mila euro pubblici per le sue esigenze alimentari. Per «Alberghi e simili» vince il deputato grillino Cosimo Petraroli, da Torino, con 41mila euro spesi. I big tornano ai primi posti in altre voci, come le «spese telefoniche», dove Roberto Fico si piazza al secondo posto con più di 12mila euro in telefonate. É anche il presidente della Vigilanza Rai, gli toccherà chiamare spesso. Riecco Di Maio tra quelli che spendono di più in «noleggio auto», quasi 9mila euro, al secondo posto dopo il deputato Bernini (10mila). Il senatore Lello Ciampolillo è il campione dei taxi: 16.668 euro. Mentre non è noto che tipo di appartamento abbia in affitto (coi soldi della Camera) la deputata Marta Grande. Il suo canone mensile è di oltre 2mila euro, ne ha già spesi 77mila. Politica «low cost»? Diciamo «medium».

venerdì 21 ottobre 2016

Ignoranti grillini. I paladini della Costituzione non conoscono il testo completo della Carta. Ignoranti.

"Il Premier non eletto". A ridaje, difendiamo una Costituzione che non conosciamo, per sentito dire. Il Premier NON si elegge in Italia. https://twitter.com/FEBODIANA/status/788738876152147968 …

giovedì 20 ottobre 2016

Il telefono d'oro di Fico: bolletta da 12mila euro

Nel sito degli ex grillini la verità sulle spese M5S. Il vitto di Di Battista costa 2800 euro in tre mesi

«Ma quanto spendi?». La domanda dà il nome ad un sito internet che analizza tutte le spese, tra cene, alberghi, viaggi e consulenti, dei gruppi M5S a Camera e Senato (che rendicontano le loro entrate e uscite su tirendiconto.it). 
Gli autori sono due ex del movimento Cinque Stelle, Nicola Biondo già capo della comunicazione M5s alla Camera e Marco Canestrari ex Casaleggio Associati, ed è parte di Supernova, il libro su «com'è stato ucciso il MoVimento 5 Stelle» che è in corso di pubblicazione on line tramite un crowdfunding dei lettori.
Dalle cifre raccolte per voci di spesa e ordinate in classifiche, si evince che Di Maio non è l'unico a utilizzare una bella fetta delle risorse che la Camera mette a disposizione (oltre allo stipendio base) dei parlamentari grillini. Lo slogan della politica a costo zero, o almeno low cost con una connessione internet, niente sedi di partito e il blog come strumento di comunicazione, non si ritrova però nei bilanci dei parlamentari Cinque Stelle, che se è vero che restituiscono una quota importante dei generosi fondi pubblici ricevuti a Montecitorio e Palazzo Madama, ne spendono anche parecchi. Qualche numero. Nell'ultimo quadrimestre (maggio-agosto 2016) il M5S Senato ha speso 748.875 euro, la maggior parte dei quali (oltre 350mila euro) per «personale e collaboratori». I deputati non hanno una rendicontazione quadrimestrale come gruppo, l'ultimo bilancio è relativo al 2015, dove si legge che gli «oneri» sono stati di 3,7 milioni di euro (350mila euro più dell'anno precedente). Anche qui la voce più corposa sono i dipendenti e i consulenti del gruppo, diciassette persone all'Ufficio Comunicazione (tra cui Silvia Virgulti, fidanzata di Di Maio), trentacinque al Legislativo, eccetera.
E le spese dei singoli parlamentari? Di Maio, il pupillo di Grillo e favorito per una futura investitura a candidato premier, è finito al centro di una polemica per i 108mila euro spesi in tre anni per «eventi sul territorio» («Dal 2013 ho restituito ai cittadini italiani 204.582,62 euro. E sono felice di averlo fatto» si difende sul blog di Grillo). Ma in altre classifiche Di Maio è superato da altri suoi colleghi. La senatrice Barbara Lezzi, ad esempio, è al primo posto nella classifica della spesa per «consulenze» (assistenza legale, commercialisti, informatici): 85mila euro spesi finora. Ai primi posti seguono altri grillini, come i due componenti del direttorio Di Battista (41mila euro) e Carlo Sibilia (40mila). Di Battista, soprannominato dai colleghi «Gallo cedrone» (una delle chicche svelate dal libro) negli ultimi tre mesi rendicontati, cioè fino a luglio, ha speso 2.800 euro tra pranzi, cene, bar e alimentari generici. Ma alla voce «vitto» non è Di Battista il top spender della pattuglia parlamentare grillina. La medaglia va al deputato Mattia Fantinati, che finora ha utilizzato 32mila euro pubblici per le sue esigenze alimentari. Per «Alberghi e simili» vince il deputato grillino Cosimo Petraroli, da Torino, con 41mila euro spesi.
I big tornano ai primi posti in altre voci, come le «spese telefoniche», dove Roberto Fico si piazza al secondo posto con più di 12mila euro in telefonate. É anche il presidente della Vigilanza Rai, gli toccherà chiamare spesso. Riecco Di Maio tra quelli che spendono di più in «noleggio auto», quasi 9mila euro, al secondo posto dopo il deputato Bernini (10mila). Il senatore Lello Ciampolillo è il campione dei taxi: 16.668 euro. Mentre non è noto che tipo di appartamento abbia in affitto (coi soldi della Camera) la deputata Marta Grande. Il suo canone mensile è di oltre 2mila euro, ne ha già spesi 77mila. Politica «low cost»? Diciamo «medium».
Un retroscena sulla riunione tra i vertici del MoVimento 5 Stelle e dei parlamentari di due settimane fa a Roma: una fronda interna ha tentato di mettere in discussione il suo ruolo del vicepresidente della Camera nel MoVimento
NEXT QUOTIDIANO
Il Corriere della Sera in un articolo a firma di Emanuele Buzzi ci racconta oggi un retroscena interessante sulla riunione tra i vertici del MoVimento 5 Stelle e dei parlamentari di due settimane fa a Roma. Nell’occasione infatti una fronda interna ha tentato di mettere in discussione il suo ruolo nel MoVimento:
A preoccupare maggiormente Di Maio, però, è la situazione interna al Movimento. Le diverse anime pentastellate in Parlamento sono divise in piccoli gruppi. L’ala più numerosa, quella ortodossa capeggiata da Roberto Fico, è al centro di alcune indiscrezioni sul presunto tentativo di richiedere una assemblea congiunta per parlare proprio delle prerogative del vicepresidente della Camera. I fatti risalgono a due settimane fa, al giorno successivo alla partenza di Beppe Grillo e Davide Casaleggio da Roma dopo il loro blitz e il loro reiterato invito a rimanere uniti, compatti. Un drappello di deputati ortodossi sonda gli umori e inizia a chiedere una riunione. La voce arriva a un ex capogruppo alla Camera, che decide di stoppare il tentativo, facendo circolare la voce.
I vertici, che si sentono scavalcati dopo i loro inviti, intervengono con il pugno duro e da quel momento scende il gelo con l’ala ortodossa. La situazione non è migliorata certo ieri, dopo alcune fughe di notizie sulle tensioni interne. Grillo e Casaleggio si sono sentiti di prima mattina e hanno esortato personalmente Fico a prendere posizione. «Nel Movimento 5 Stelle non ci saranno mai correnti interne — ha scritto in un post su Facebook il presidente della Vigilanza Rai —. Si lavora a un obiettivo comune che è quello di cambiare il Paese». «Tutto il resto sono chiacchiere da bar», ha concluso. Lo stesso Di Maio, poco più tardi, ribadisce la linea.
La storia viene raccontata proprio nel giorno in cui Di Maio finisce nella polemica per quanto raccontato nel libro “Supernova” di Nicola Biondo e Marco Canestrari. Molti giornali infatti raccontano le lamentale dei grillini per le note spese di Di Maio, che ha speso 100mila euro in tre anni per i viaggi:
di maio 100mila euro viaggi
La prima pagina del Giornale di oggi con Di Maio e i viaggi
di maio 100mila euro viaggi-1
La Stampa su Di Maio e i viaggi
Ma, racconta La Stampa, i vertici non sembrano aver perso fiducia in lui:
Grillo e Davide Casaleggio venerdì hanno riconfermato la fiducia a Di Maio, mostrandosi in terzetto vicinissimi al funerale di Dario Fo (c’è un patto tra Di Maio e Davide, dal quale Grillo non sembra in grado di prescindere, va dicendo «Luigi deve solo abbassare un po’ le penne, ma dobbiamo tenere lui»). Nondimeno è altrettanto vero che i malumori dei parlamentari ormai tracimano, vengono esposti ai quattro venti.

Livorno, Nogarin e il “pasticciaccio brutto” del cellulare rubato

M5S
nogarin
I tempi del furto e della denuncia fanno sorgere pesanti dubbi sulla correttezza del comportamento del sindaco M5S Filippo Nogarin
 
Servirebbe la colonna sonora di “Se telefonando” per ricostruire il pasticciaccio brutto in cui questa volta è finito Filippo Nogarin sindaco pentastellato di Livorno e suoi cellulari. 
Tutto parte da una richiesta di accesso agli atti. Il capogruppo Pd Pietro Caruso denuncia in consiglio comunale la gravità della mancata trasparenza: “Il sindaco ha denunciato il furto del suo cellulare di lavoro, ma non lo ha comunicato in consiglio comunale. Una mancanza gravissima”. Da lì in consiglio comunale di ieri sera sono partite una serie di domande e rimproveri: “Perchè non lo ha detto?”, “Eppure si tratta di un telefono istituzionale?”, “C’erano dati sensibili?”, “Quando è successo?”.
Ed è questa la domanda veramente importante. Infatti, la ricostruzione dei fatti, getta più di un ombra sul comportamento a dir poco curioso di Nogarin.
Ecco cosa è successo
Martedì 5 aprile – Il sindaco racconta alla stampa di aver subito un furto: gli hanno sfondato l’auto e preso diversi oggetti. Oltrettutto quella mattina nel comune c’era la guardia di finanza  impegnata nell’acquisizione documenti sul caso Aamps, l’azienda che gestisce i rifiutiUn’inchiesta che vede attualmente indagato Nogarin per abuso d’ufficio e falso in bilancio. Comunque, il primo cittadino riferisce alla stampa che dei ladri gli hanno sottratto dalla macchina documenti, il suo PC portatile, un tablet, macchine fotografiche e una sciarpa. I cellulari non erano nella lista degli oggetti trafugati. E nemmeno nella nota ufficiale diramata compaiono i telefonini. La mattina stessa il sindaco sporge denuncia alla Digos e in questa occasione viene stilato l’elenco degli oggetti sottratti:  un IWatch, una borsa sportiva, due fotocamere, un pc portatile e un Ipad. Anzi Nogarin prende l’impegno di riferire il codice della sim abbinata all’ipad.
Lunedi 22 agosto – Sono passati quasi 5 mesi ma il sindaco si seaglia dal suo letargo e decide di denunciare la scomparsa anche di due telefonini allungando così la lista degli oggetti trafugati nel furto del 5 aprile.
Martedì 23 agosto – Il giorno dopo il sindaco non perde tempo e fa richiesta all’ufficio economato di un nuovo telefonino: non uno qualsiasi, ma uno uguale a quello rubato: un I-Phone 6S 64GBovviamente a carico dei contribuenti livornesi. Costo? 837 euro.
Eppure la mattina del 5 aprile mentre le fiamme gialle perquisivano il Comune il sindaco rispondeva tranquillamente al cellulare: ai due numeri che usa maggiormente, quelli che doveva non aver causa furto. Non solo un video della stessa mattina lo ritrae proprio con due cellulari in mano. Qui il video del Tirreno (vedere al minuto 0.40 ndr). Possibile siano gli stessi? O sono altre due cellulari? Il mistero si infittisce.
Questa volta però è lo stupore e l’incredulità a farla da padrona, anche tra le file dell’opposizione: “Il pd non segue, come altri, la politica urlata o scandalistica. Ma quello che apprendiamo dalla stampa va ben oltre la nostra immaginazione. Rimanendo nel perimetro delle nostre conoscenze – commenta Pietro Caruso raggiunto telefonicamente da Unità tv – Nogarin dovrà spiegare dettagliatamente cosa è successo e per quali motivi ha taciuto il furto del cellulare istituzionale. Il resto lo dovrà spiegare a tutti i cittadini livornesi, se lo ritiene opportuno”.

Le critiche ad Obama e il provincialismo della politica italiana

Referendum
matteorenzibarackobama
Dopo l’endorsement del Presidente degli Stati Uniti per il Sì, le reazioni denotano una mancanza di visione dei politici italiani
 
“Il Sì al referendum del 4 dicembre può aiutare l’Italia verso un’economia più vibrante ma Renzi deve restare in politica a prescindere dal risultato del voto poiché rappresenta una nuova generazione di leader non solo in Italia, ma in Ue e nel mondo”. Queste parole pronunciate dal Presidente degli Stati Uniti Barack Obama hanno suscitato subito reazioni in alcuni casi sdegnati tra i politici italiani fautori del No.
Si va dal leader leghista Matteo Salvini secondo cui con l’intervento di Obama si è raggiunto il “ridicolo, tra lui e Renzi non so chi faccia più ridere”, al deputato grillino Alessandro Di Battistasecondo cui il sì di Obama “è solo uno scambio di favori tra due presidenti mi auguro uscenti”.
Secondo il collega Manlio Di Stefano il sostegno “alla schiforma costituzionale renziana è arrivato dai cosiddetti ‘poteri forti’ e ora s’aggiunge il sostegno del Presidente che ha fallito di più nella storia degli Stati Uniti d’America”. C’è poi l’immancabile Renato Brunetta che non perde l’occasione per far prevalere il suo noto profilo di raffinato statista: “Gli endorsement di Obama portano sfiga”. 
C’è poi l’ex segretario Dem Pier Luigi Bersani che dice: “Siamo al basta un Yes” ricordando che “ci vuole misura, ci vuole garbo quando si parla di Costituzione”, mentre per l’ex premier Massimo D’Alema, Obama sostiene il Sì perché “non conosce la riforma di Renzi”. Potremmo continuare ancora, ma le critiche sono più o meno sempre le stesse.
C’è una sorta d’insofferenza per quella che è considerata un’ingerenza impropria nella vita democratica italiana. Potrebbe essere anche un discorso giusto, se non fosse che in un mondo globalizzato quel che succede in un Paese, specie se importante come l’Italia, interessa a tutti, Stati Uniti in testa, così come agli italiani interessa chi sarà il prossimo Presidente degli Stati Uniti. Nessuno di coloro che hanno giudicato inopportuno l’intervento di Obama si è lamentato per le ingerenze sulla Brexit, o per il referendum greco.
Anzi in molti che oggi criticano l’appoggio esplicito di Obama hanno fatto campagna attiva o dichiarazioni per l’una o l’altra posizione. Certo un endorsement di Salvini per il Leave nel Regno Unito non verrà ripreso come una dichiarazione di Barack Obama, ma certo questa non è una colpa del Presidente degli Stati Uniti.
Non possiamo pensare che i governi di Paesi a noi alleati e legati economicamente non esprimano un’opinione su temi cruciali che possono aprire opportunità economiche non solo per il Paese alleato, ma anche per loro stessi. E’ frutto di un mondo sempre più globale dove gli interessi si sovrappongono, dove il provincialismo, specie nella classe politica, è dannoso. Nel mondo di oggi bisogna avere una visione globale, non si può pensare solo al proprio orticello facendo finta che le dinamiche degli altri Paesi non ci interessino e agli altri non debbano interessare i nostri.
E’ un po’ quello che sta succedendo in Europa per il fenomeno dei migranti, dove la classe politica dei vari paesi agisce solo per interessi elettorali, non capendo che il problema è globale e non solo dei paesi più esposti.

I costituzionalisti ignoranti grillini hanno fatto un'altra figura..........di quelle solite. Complimenti!!!!!

Il Tar decide: ricorso inammissibile

Referendum
referendum-costituzionale
Respinto il ricorso di M5S-Si: il Tar Lazio ha confermato che il referendum si svolgerà regolarmente
 
E’ inammissibile “per difetto assoluto di giurisdizione” il ricorso sul quesito referendario. Lo ha stabilito il Tar del Lazio, con la sentenza n. 10445 depositata oggi. Nel ricorso – che era era statopresentato dai promotori del referendum costituzionale Loredana De Petris (Sinistra italiana) e Vito Crimi (M5S) e dagli avvocati Giuseppe Bozzi e Vincenzo Palumbo – veniva contestata la formulazione del quesito referendario da sottoporre al voto degli elettori il 4 dicembre. “Considerata l’urgenza di dare una risposta definitiva alla questione, il Tar – riferisce una nota dei giudici amministrativi – non si è limitato alla richiesta cautelare e ha definito il merito della controversia, dichiarando l’inammissibilità del ricorso per difetto assoluto di giurisdizione”. L’individuazione del quesito contestato – fa notare il Tar – è “riconducibile alle ordinanze adottate dall’Ufficio Centrale per il Referendum istituito presso la Corte di Cassazione ed è stato successivamente recepito dal Presidente della Repubblica nel decreto impugnato”.
Il testo del ricorso proponeva semplicemente il titolo della Riforma Costituzionale, invece che la formulazione per codici e codicilli che spesso in passato ha reso incomprensibili i quesiti refendari e per questo è stato tacciato di essere fuorviante.
Nella nota il Tar fa osservare che se c’è un problema, non riguarda tanto il quesito in sé, quanto la stessa legge del 1970 sul referendum, che stabilisce la predeterminazione e la formulazione del testo. Ma in questo caso, spiegano i giudici, dovrebbe essere l’Ufficio centrale per il referendum della Corte di Cassazione a rivolgersi alla Corte costituzionale.
Il Tar del Lazio spiega: “Sia le ordinanze dell’Ufficio Centrale per il Referendum” che hanno predisposto il quesito referendario “sia il decreto presidenziale – nella parte in cui recepisce il quesito – sono espressione di un ruolo di garanzia, nella prospettiva della tutela generale dell’ordinamento, e si caratterizzano per la loro assoluta neutralità, che li sottrae al sindacato giurisdizionale”.
In passato molti tra i sostenitori del Sì avevano fanno notare ai richiedenti che i Comitati per il Noquando hanno provato a raccogliere le firme lo hanno fatto sul testo che contestano, al momento a questa precisazione non vi è alcuna risposta.
 Le reazioni
“Siamo alla truffa 5.0.. Il quesito del referendum” sulla riforma costituzionale “resta un problema perché resta ingannevole. Mai nessun governo, nemmeno il governo Berlusconi, si era spinto a tanto. Mai un governo è stato così arrogante e truffaldino come questo…”. Lo dice il senatore M5S Vito Crimi, commentando a caldo la pronuncia del Tar che ha respinto il ricorso sul quesito del referendum costituzionale del 4 dicembre presentato da M5S e Sinistra italiana per difetto di giurisdizione. “Con gli avvocati ora valuteremo tutte le strade – va avanti Crimi – voglio vedere l’atto giudiziario prima di pronunciarmi. Ma la cosa incredibile è che” la scelta della Cassazione “non è appellabile”, perché “si pensa che il quesito debba essere formulato dall’organo di massima garanzia e invece… siamo al 5.0. della truffa. Incredibile”.
“Il Tar ha respinto il ricorso presentato da M5S e Si per difetto giurisdizionale, ma non ha dato alcun giudizio sul quesito, non ha assolutamente detto che il quesito è ‘neutrale’, come titolano alcune agenzie di stampa”. Scrive invece su Facebook Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia alla Camera dei deputati. “Nel merito il ricorso non è  stato bocciato e sono certo che gli amici del fronte del ‘No’ andranno avanti con questa battaglia di verità in merito ad un quesito truffa che rischia di influenzare e disorientare l’elettorato. Renzi dovrebbe riflettere a tal proposito. Il solo fatto che ci siano così tanti ricorsi legati al quesito del referendum costituzionale rappresenta plasticamente quello che questo premier mai eletto è riuscito a causare. Ha diviso il Paese, ha spaccato l’Italia, ha creato tensioni delle quali non sentivamo assolutamente il bisogno, ha prodotto un referendum plebiscito, con un quesito ingannevole. In questo il fiorentino ha già perso, il 4 dicembre sarà respinto anche nelle urne”, conclude Brunetta.

Onestà onestà onestà Rodotà Rodotà Rodotà Dario Fo Dario Fo Dario Fo!!!!!!!!!! Il partito degli slogan.

Firme false, ecco le mail che mettono nei guai i 5 stelle di Palermo. Di Maio: "Provvedimenti per i responsabili"

Firme false, ecco le mail che mettono nei guai i 5 stelle di Palermo. Di Maio: "Provvedimenti per i responsabili"
Uno scambio di messaggi alla vigilia della presentazione delle liste chiama in causa i deputati e gli attivisti che in sole 12 ore chiusi in una stanza raccolsero 1200 sottoscrizioni, ma la data sugli elenchi ufficiali è precedente. I sospetti rilanciati dalle "Iene". A Bagheria nuova tegola sul sindaco Cinque: indagato per mobbing su una dipendente che lo aveva denunciato ai carabinieri
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"Ce l'abbiamo fatta", esultavano via mail le future deputate di 5 stelle. Erano riuscite nel "miracolo": raccogliere e far certificare, in poco più di 12 ore, 1.200 firme necessarie a presentare la lista. "Abbiamo battuto ogni record", dice Claudia La Rocca, oggi rappresentante di M5S all'Ars, e si riferisce a se stessa e a "Clod": quest'ultima è Claudia Mannino, eletta alla Camera. Di lì a poco, un altro attivista le omaggerà tutte, le protagoniste dell'impresa: "Un sincero grazie alle due grazie e a Samantha Busalacchi per essere rimaste in sede fino alle 4 per finire questo estenuante lavoro". Eccoli, i messaggi di posta elettronica che aggravano la situazione dei portavoce palermitani di 5 stelle nel caso delle firme false. Due di loro, Mannino e Busalacchi, sono proprio le attiviste indicate dal grande accusatore, Vincenzo Pintagro, che dice di averle viste ricopiare di proprio pugno decine di firme per rimediare a un precedente errore materiale. Alcuni sottoscrittori della lista - presentata per le Comunali del 2012) hanno disconosciuto le proprie firme e due periti hanno attestato la falsità di gran parte degli elenchi.
L'emergenza, per i 5 stelle, scattò nella notte del 3 aprile 2012, con una mail inviata proprio da Samantha Busalacchi a una trentina di colleghi: "Dobbiamo raccogliere subito quante più firme possibile, richiamo di non poterci candidare, non è uno scherzo, datevi una mossa". E, a un altro attivista che chiedeva spiegazioni ("Come ci siamo ridotti così?"), ecco la risposta di un altro deputato palermitano all'Ars, Giorgio Ciaccio: "Non facciamo polemiche, risolviamo questo problema urgentissimo e poi ne discutiamo". Ma come hanno fatto in un solo giorno i 5 stelle a raccogliere 1.200 firme in più rispetto alle 850 che già avevavno? Come hanno potuto farle autenticare da un solo pubblico ufficiale, Giovanni Scarpello?  Quesiti che si pone anche Giuseppe Marchese, un candidato del 2012 che ha fatto vedere queste mail agli inviati de "Le Iene": "In 13 ore di fila hanno sistemato chissà che cosa. Sarà la magistratura ad accertarlo".

Ma a tagliare la testa al toro potrebbe essere la data delle mail: la ricerca delle firme, stando ai messaggi, risale al 3 aprile.  Ma le autentiche sugli elenchi recano, per lo più, la data di marzo. Secondo robuste indiscrezioni che giungono dal quartier generale di 5 stelle, i vertici del movimento avrebbero chiesto al gruppo di Palermo - fra cui Mannino, Busalacchi ma anche l'ex capogruppo Riccardo Nuti e altri parlamentari - di autosospendersi, ma loro si sarebbero rifiutati scegliendo anzi la strada della querela. I deputati interessati, ma non i vertici, smentiscono la circostanza. Ma chissà se questi nuovi elementi muteranno lo scenario, mentre le Comunarie - le selezioni per i candidati alle amministrative dell'anno prossimo -   sono state sospese. Sul caso interviene anche il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio: "Spero che la magistratura faccia luce prima possibile. La cosa migliore da fare è trasferire tutto alla Procura e la Procura accerterà. Tra l'altro - ha aggiunto - la Digos aveva già indagato nel 2013 e archiviato, ora ci sono nuove evidenze. E i colleghi che vengono citati in questa vicenda hanno già querelato colui che li accusa. Se ci saranno delle prove che danno delle
 responsabilità in capo a qualcuno, M5S ha sempre agito prima della magistratura".

Il clima, a Palermo, è reso caldo anche dall'inchiesta per mobbing che coinvolge il sindaco grillino di Bagheria Patrizio Cinque, accusato di avere vessato - con sospensioni e dinieghi di trasferimenti in un altro Comune -  una dipendente che ne contestava l'operato e aveva denunciato ai carabinieri irregolarità nella gestione dei rifiuti.

dipocheparole     venerdì 27 ottobre 2017 20:42  82 Facebook Twitter Google Filippo Nogarin indagato e...