sabato 10 dicembre 2016

Caro SEL, Caro Fassina, Caro Civati, Caro Bersani, Caro D'Alema, Cara Rifondazione Comunista, Cara CGIL, Carissimi statisti del NO, mentre voi, in malafede e per invidia evocavate la svolta totalitaria non vi ho sentito dire una sola parola sullo stipendio della francescana Raggi. Ma quando mai capitava ad una incompetente così di prendere più del Presidente del Consiglio contro il quale avete vomitato tutto l'odio possibile. Avete rotto gli "zibidei" come direbbe il commissario Montalbano per mesi e adesso non dite neanche una parola per questi reddito zero prima? Andate a ...........lasciamo perdere.

Virginia Raggi, lo stipendio da sindaca? Guadagna più di Matteo Renzi

Virginia Raggi, come sindaco di Roma, guadagna più del presidente del Consiglio. Riporta il Tempo che Matteo Renzi percepisce 114.792 euro l'anno. Mentre la Raggi 117.144 euro, ovvero 9.762 euro al mese. A scoprire lo stipendio della prima cittadina grillina è stato il segretario Aduc, Primo Mastrantoni: "È stato piuttosto difficile, ma lo abbiamo trovato. Le indennità di funzione e i gettoni di presenza possono essere incrementati o diminuiti con delibera di Giunta e di Consiglio per i rispettivi componenti. Il Movimento 5 Stelle, ha fatto della trasparenza uno degli elementi fondamentali della propria attività politica e, come cittadino romano, mi sarei aspettato di leggere sul portale del Comune, alla voce "Sindaco", oltre a "chi sono" anche "quale è la mia indennità".
Tant'è, si chiede il quotidiano, è coerente che la Raggi non si sia tagliata lo stipendio mentre il Movimento Cinque stelle (in primis Roberta Lombardi) propone di dimezzare le indennità dei parlamentari a cinquemila euro? E ancora: è giusto che prenda quasi diecimila euro al mese mentre la città è ancora paralizzata tra smaltimento dei rifiuti, Atac vicina al fallimento, corse di bus e metro soppresse e strade piene di buche? Non sono tanti diecimila euro per dire solo dei No?

Serra : i poteri forti della finanza non vedono l'ora che l' Italia esca...

Sgarbi difende De Luca a Matrix: "De Luca ha fatto solo una battuta, la ...

venerdì 9 dicembre 2016

Signore Santissimo, come siamo arrivati così in basso in Italia?

Ignazio Corrao, l’europarlamentare M5S che non conosce le consultazioni al Quirinale

ignazio corrao consultazioni

Il grillino su Twitter: «Qualcuno mi spiega in modo semplice qual è il ruolo e cosa rappresenta Napolitano nelle consultazioni?»

«Qualcuno mi spiega in modo semplice qual è il ruolo e cosa rappresenta Napolitano nelle consultazioni?». Ignazio Corrao, europarlamentare del Movimento 5 stelle, si chiede come mai Mattarella consulti il suo predecessore. Lo fa con un tweet, tristemente diventato virale, in cui il grillino mostra lacune sulla prassi presidenziale che prevede di consultare, in crisi di governo, prima le più alte cariche dello Stato incluso l’ex Presidente della Repubblica.
ignazio corrao consultazioni
Tante le repliche sotto al tweet. «Da chi difende la Costituzione a spada tratta, questa domanda non me l’aspettavo… È prassi costituzionale. Da sempre», replica Elvira Terranova, giornalista. «Nelle consultazioni si inizia sempre dai presidenti emeriti della Repubblica, ma da un grillino mi aspetto questa ignoranza», aggiunge un altro utente. Lui controreplica: «Non lo sapevo così come non lo sapeva il 99.99% di voi prima di oggi. Ignorante è chi ignora di ignorare fratello…».
guarda la gallery: 

Rosato: “Governo Monti pagato caro, tutti insieme o stavolta si vota”

Crisi di governo
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Il capogruppo dem alla Camera domani al Quirinale: “Si può andare alle urne con il Consultellum al Senato e l’Italicum corretto dalla Consulta alla Camera”
 
Poche altre volte si è visto un Ettore Rosato così ultimativo. «O si fa un governo istituzionale con tutti dentro o andiamo al voto con il Consultellum al Senato e l’Italicum corretto dalla Consulta alla Camera». Perché, spiega, il capogruppo Pd alla Camera che domani salirà in delegazione al Quirinale, il Pd ha pagato un prezzo altissimo già con il governo Monti e non intende fare due volte lo stesso errore. Il punto è che tra il dire e il fare c’è di mezzo il Colle. E il Capo dello Stato ha detto in modo chiaro come la pensa sulle due leggi elettorali disomogenee. Ci vuole una nuova legge elettorale, per Sergio Mattarella.
Rosato, quanto è verosimile l’ipotesi di un reincarico a Matteo Renzi?
«La nostra posizione è piuttosto chiara: si faccia un governo con dentro tutti i partiti, dal M5s alla Lega, per fare la legge elettorale e attraversare questa fase. Non poniamo condizioni né sui nomi né sulla data di scadenza».
Finora è arrivata una valanga di No a questa proposta. Dunque? 
«Io non sono così pessimista. Vedo che tutti quelli che oggi dicono di non andare al governo sono gli stessi che hanno in mente una proposta di legge elettorale. Vorrei ricordare a tutti, soprattutto al M5s, che il parlamento può legiferare, tranne che per i decreti legge, solo se c’è un governo in carica. Dunque, per fare la legge elettorale ci vuole un governo e tutti coloro che intendono farla devono dare disponibilità a partecipare alla nascita di un esecutivo».
In molti vi dicono che è il Pd il partito di maggioranza relativa e che spetta a voi.
«Il Pd da solo non ha la maggioranza, come ha giustamente dichiarato la sera del referendum Maurizio Lupi, ricordando che il governo è nato per fare le riforme. Dal momento che le riforme sono state bocciate, la maggioranza non c’è più. La nostra disponibilità a questo punto è soltanto per un governo istituzionale».
Ma se non si riuscirà a formarlo, come sembra chiaro sin da ora, quale è il piano B? 
«Lavoriamo perché ciò accada e perché il Paese non debba subire un periodo confuso, ma la responsabilità deve essere di tutti».
Le ripeto: se non accade, che succede? 
«Naturalmente decide il presidente Mattarella. Il rischio è che non ci si assuma tutti la responsabilità che compete alle forze politiche. Se così fosse, si aspetta la sentenza della Consulta e si va al voto. Non vedo alternative».
In queste ore nel Pd tutti guardano tutti con sospetto. È vero che c’è chi sta lavorando per un governo che arrivi a fine legislatura, visto come fumo negli occhi da Renzi? 
«Io vedo grande lealtà e senso di condivisione per le decisioni da prendere. Abbiamo un segretario che è legittimato e che si è assunto gli oneri della sconfitta che sono collettivi e non soltanto suoi. Poi è chiaro che essendo un partito democratico davvero c’è un confronto tra di noi. Ma alla fine la maggioranza prenderà, come sempre, una decisione e su quella si andrà avanti».
Il suo collega al Senato, Luigi Zanda, ritiene si debba arrivare al 2018.
«Noi speriamo che tutti i gruppi parlamentari accettino un governo di responsabilità a cui non diamo una scadenza e che potrebbe utilmente occuparsi anche di tutti gli appuntamenti internazionali in agenda nel 2017».
Ha sbagliato Renzi, come molti gli rimproverano, a dimettersi la notte del voto? 
«Non solo ha fatto bene, ma ha dato il segnale di una politica che si assume le proprie responsabilità. Immaginiamo cosa sarebbe successo se avesse fatto finta di niente, cosa peraltro che non è nel suo carattere: avremmo avuto l’ennesima delegittimazione della politica».
Da dove ricomincia il Pd dopo questo referendum? Brindisi e abbracci davanti alla sconfitta, accuse reciproche… Sembrate due, forse tre, partiti nel partito. 
«Mi sarei aspettato meno festeggiamenti il giorno che il nostro segretario si è dimesso da presidente del Consiglio. Poi, per quanto ci riguarda tutto quello che serve per ricostruire un clima di lealtà con la segreteria e dialogo tra tutti, sarà fatto».
Il verdiniano Francesco D’Anna invita Renzi a fare il Partito della Nazione, Giuliano Pisapia invece, lancia una piattaforma progressista. A chi deve guardare il Pd? 
«Le sollecitazioni che arrivano da Pisapia sono utili non solo al centrosinistra ma al Paese. Rappresenta una sinistra che nella diversità rispetto al Pd ha in mente un governo del Paese e le sue priorità»
A bocciarlo, tra gli altri, è stata anche la minoranza Pd.
«Chi ha solo in mente le battaglie del Pd, anziché l’interesse generale è naturale che guardi con fastidio a Pisapia».
Sta quindi dicendo è ufficialmente morto il Pdn? 
«Non è mai nato e per quanto ci riguarda non è mai stato un progetto politico. Il Pd con la segreteria di Matteo Renzi è finalmente entrato nel partito socialista europeo ed è diventato il più grande partito della sinistra europea».

Di maio reddito zero prima ripete a pappardella tutto quello che scrive Grillo sul blog. Così per non sbagliarsi.

A Di Maio Renzi fa orrore ma vuole che resti in carica

M5S
di maio
E Di Battista vuole il referendum sull’Euro che la Costituzione, da lui difesa strenuamente,impedisce di fare
 
“Il 4 dicembre gli italiani manderanno a casa Matteo Renzi”: era questo uno dei punti forti della campagna del No, in particolar modo del M5s e della Lega. Ma si sa le situazioni cambiano e anche le parole dette in campagna elettorale il giorno dopo non hanno più valore.
Il No ha vinto e il premier, come promesso, ha rassegnato le sue dimissioni. Contenti, almeno quelli del fronte del No? Nemmeno per sogno, infatti ormai da 5 giorni i giornali, le Tv e il web sono invasi da dichiarazioni che dicono tutto e il contrario di tutto. Ad esempio Luigi Di Maio, uno dei più agguerriti nella campagna contro Matteo Renzi ora ha cambiato idea. Per il vice presidente della Camera il premier dovrebbe rimanere a Palazzo Chigi e guidare il periodo di transizione per portare il Paese alle elezioni: “Non serve un governo per fare una legge elettorale. Renzi si è dimesso: resta in carica per forza per gli affari correnti, il Parlamento mette in calendario la legge elettorale, si fa, si aspetta la sentenza della Consulta e si va a votare. Renzi non potrebbe fare danni perché potrebbe fare solo ordinaria amministrazione. Il nostro obiettivo è non mettere altri governi nelle piene disponibilità dei loro poteri”.
Una posizione del tutto opposta a quella tenuta fino alla notte tra il 4 e 5 dicembre quando tra i grillini si gridava “Renzi a casa”. Una posizione di comodo, volta a indebolire l’unico avversario credibile del Movimento – che già sente la vittoria in tasca – e che logorerebbe il premier.
Ma in questi giorni anche Alessandro Di Battista è molto loquace, in un’intervista al quotidiano tedesco Die Welt, delinea la linea di governo grillina. Per il deputato uno dei punti cardine è il referendum sull’euro: “Noi vogliamo solo che siano gli italiani a decidere sulla moneta”, non una novità visto che anche Salvini chiede lo stesso. Fa specie, però che due strenui difensori della Costituzione come Salvini e Di Battista, dopo mesi di campagna elettorale sul “merito” non abbiano capito che questo referendum non può essere svolto. Forse si saranno dimenticati di leggere l’articolo 75 della Costituzione “Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali”.
Alla domanda del giornalista tedesco: “Ha calcolato le conseguenze dell’eventuale uscita dall’euro?” il deputato grillino risponde: “Conosco bene quali sono le conseguenze dell’introduzione dell’euro, la perdita di potere d’acquisto, il calo delle retribuzioni, la riduzione della capacità di concorrenza delle imprese, il degrado sociale, la disoccupazione”. Una non risposta che indica la sottovalutazione dei drammatici effetti di un’eventuale, quanto improbabile, uscita dall’euro.
Dunque nel cielo grillino vige la confusione, tra marce indietro e referendum incostituzionali. Da qui alle elezioni sarà un’escalation di dichiarazioni fatte e smentite, di accelerazioni e frenate.

Guardate come è rappresentato Renzi tra i parlamentari del PD. A questo punto si vada alle elezioni e vediamo se questi parlamentari sono rieletti.

Renzi? Sì e no: perché le tante correnti che finora hanno appoggiato il segretario lo hanno stoppato sulle elezioni anticipate. I veri numeri che contano oggi nel PD sono questi
ALESSANDRO D'AMATO
«C’è una brutta corrente», dicevano ne Il Divo per presentare quella andreottiana. Il Partito Democratico invece di correnti ne ha talmente tante che qualcuna bella ce ne dev’essere di sicuro. In attesa di individuarla, questa infografica di Repubblica le riepiloga mentre La Stampa ci spiega che la vittoria del no rischia di innescare un big-bang nel partito, le tante correnti, anche quelle che sostengono Matteo Renzi, hanno ripreso a muoversi. In ordine sparso, ma con un obiettivo comune: frenare la corsa al voto che Matteo Renzi e i suoi avevano immaginato, a caldo, per ripartire dopo la sconfitta di domenica. Come accadeva nella Dc, ieri è stata una giornata di riunioni di “area”, di colloqui a quattr’occhi nei corridoi del Parlamento tra gli ambasciatori delle varie anime, con Lorenzo Guerini impegnato a tessere la tela di un partito frantumato.
chi comanda nel pd
Chi comanda nel PD: le correnti nel partito (La Repubblica, 7 dicembre 2016)
Nel quale, racconta ancora La Stampa, le truppe si scaldano in attesa della pugna che avverrà platealmente alle 17,30 in direzione, e surrettiziamente fino alla risoluzione della crisi di governo. Ci sono i renziani doc:
La galassia dei renziani doc è composita: c’è il ‘giglio magico’ dei toscani, Luca Lotti, Maria Elena Boschi, David Ermini, tutti convinti che a questo punto si debba tornare a elezioni al più presto, forzando le resistenze del resto del partito. L’idea di fondo è: capitalizzare i 13,5 milioni di sì ottenuti domenica, nonostante la sconfitta. «Nessuno – ragiona un renziano doc – può contare su un bacino di voti simile». Ma a gridare ‘al voto al voto’ sono anche parlamentari come Alessia Morani, ex Ds, che non era tra i renziani della prima ora, ma che ora è con il premier senza dubbi, come Anna Ascani o Simona Malpezzi. Ci sono poi i “cattorenziani” di Graziano Delrio, Matteo Richetti e Angelo Rughetti. E c’è il mediatore Lorenzo Guerini. Un’area che condivida l’idea del voto anticipato, ma che suggerisce di evitare strappi con il resto della maggioranza renziana nel Pd. L’idea di appoggiare un governo istituzionale può essere accettata solo se non diventa un «bis di Monti», ovvero niente governi che durino fino al 2018, con M5s e la Lega che sparano contro.
I primi pronti a tradire sono Areadem, ovvero i seguaci di Franceschini:
Di fatto, è l’area Pd con la più consistente pattuglia di parlamentari e della quale fanno parte anche i capogruppo alla Camera e al Senato Ettore Rosato e Luigi Zanda. Senza contare il fatto che Franceschini e Francesco Garofani, altro deputato di spicco della corrente, hanno ottimi rapporti con il capo dello Stato Sergio Mattarella. Proprio Franceschini e i suoi, in queste ore, hanno lavorato a fondo per convincere Renzi: «Va bene andare presto al voto, è ovvio che la legislatura è ormai esaurita. Ma bisogna fare prima una legge elettorale e per riuscirci serve un governo con pieni poteri, non un premier dimissionario», come invece sostenevano i renziani. Se eviti strappi, è il ragionamento fatto a Renzi, tu sei ancora il nostro candidato al congresso Pd e alla presidenza del consiglio per le prossime elezioni, che sarebbero comunque a breve. Ma, ammette più d’uno a nell’anonimato, «quando poi nasce un governo, nessuno può porgli un limite temporale». Renzi è avvisato, il suo principale alleato potrebbe sfilarsi.
Poi ci sono gli altri, che debbono schierarsi. E decidere dove conviene di più stare. Con un occhio alle urne. O meglio: a come verranno stilate le liste elettorali per le urne.

giovedì 8 dicembre 2016

Il gatto e la volpe. Questi due mediocri politici di provincia dovrebbero sostituire Renzi. Ma mi faccia il piacere!!!!!!

Pd, Boccia incorona Emiliano
«È un leader, ora si fissi il congresso»

Il parlamentare, di nuovo molto vicino al governatore, si è smarcato da tempo da Renzi
«Ha fatto una scelta scellerata su Taranto. Molta parte della sua azione è da rivedere»

di Adriana Logroscino

Francesco Boccia con Emiliano in Comune nel 2006Francesco Boccia con Emiliano in Comune nel 2006
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Ulivista e lettiano, politicamente nato con Michele Emiliano, e all’attuale governatore rimasto vicino, nonostante periodici conflitti, poi accreditato di renzismo, ma con rivendicata autonomia, il parlamentare dem pugliese Francesco Boccia oggi ha una certezza: «Il Pd deve andare a congresso. Renzi deve dimettersi anche da segretario». 
Onorevole Boccia, lei era uno dei parlamentari per il Sì al referendum. O no?
«Io non ho votato la riforma costituzionale in aula per due volte su tre. Avevo alcune perplessità e ho sempre ritenuto non utile per il Paese spaccarlo con un insensato derby. Non ho partecipato a un solo dibattito per il Sì in giro per l’Italia. Tuttavia mi sono comportato da dirigente leale del mio partito».
E si è smarcato da Renzi a ridosso del voto.
«Invece con Renzi sono stato critico molte volte: sulla riforma delle Popolari, sulla cancellazione della web tax, sul jobs act che non ho votato. Poi ci eravamo riavvicinati».
Cosa è successo nelle ultime settimane?
«È stata fatta una scelta scellerata ai danni di Taranto, non riconoscendo, nella legge di stabilità, i 50 milioni che Emiliano aveva chiesto ottenendo garanzie. E, si badi, Emiliano aveva chiesto una cosa nobile: fondi per fronteggiare un’emergenza sanitaria. Non, come il presidente De Luca, poteri di gestione o fondi per coprire il disavanzo del trasporto pubblico campano. Ma i soldi sono stati negati dal governo. Era un tentativo maldestro di punire la Puglia. Non potevo stare zitto».
Ultimamente sembra di nuovo in grande sintonia con Emiliano.
«Con Emiliano ho sempre avuto un rapporto molto intenso». 
Lei l’ha accusato di comportarsi da proprietario del partito, quando ha accolto il centrista (ed ex centrodestra) sindaco di Bisceglie, Spina, nel Pd.
«Un rapporto intenso, come dicevo, in cui ci siamo detti di tutto più volte. Ma non dimentico che ho iniziato la mia esperienza politica come suo assessore, a Bari. E credo che il suo modello di governo, prima a Bari poi in Puglia, potrebbe essere mutuato a livello nazionale».
Il Pd alleato della sinistra, come rivendica il governatore?
«Sì, il cammino naturale del Pd. Che deve tornare a guardare a SI, certo. E al mondo dei movimenti civici, delle associazioni no profit. Allargandosi ma senza defenestrare la sua sinistra, come è invece successo. Quando dalla tua si schierano finanza, industria, mondi che non disprezzo, ci mancherebbe, e hai i giovani contro, qualcosa non va: non hai fatto una politica di sinistra. Per questo serve un congresso». 
E lei pensa sia il momento per Emiliano di tentare la scalata al Pd?
«Io, come tanti, da Chiamparino a Rossi, penso che nel Pd la leadership debba essere contendibile. Che il partito non possa essere cancellato, fagocitato dal governo. Ma debba sostenerlo e correggerlo. Non è stato così in questi anni, come dimostra la disastrosa gestione del rapporto con chi rappresenta la scuola, dopo la riforma. Politicamente un suicidio». 
Lo dice anche Emiliano. È il suo segretario ideale?
«Michele è una personalità straordinaria e un punto di riferimento per molti nel partito. Ora sta facendo il presidente della Regione e lo sta facendo bene. Si fissi la data del congresso, che non è una concessione di Renzi, è necessario: l’alleanza con Verdini e Alfano è nata per le riforme e ora dovrebbe diventare il destino ineluttabile del Pd? Solo dopo si valuterà il miglior interprete di chi ha creduto in un partito unico della sinistra italiana. Quanto a me, di certo non voterò per Renzi. Se si ricandiderà».

Questi si che sono giornalisti.

Referendum, ha vinto la accozzaglia, che ha unito la sinistra più estrema e Casa Pound, hanno vinto i nemici delle riforme. Ma, “senza riforme l’Italia va a fondo.La dieta vegana non basta”, avverte Giuseppe Turani, in questo articolo pubblicato anche su Uomini & Business. Ma ci può essere un punto di ripartenza, quel 40% che ha votato per le riforme.

Rimettere assieme i cocci non sarà tanto facile. Mai in Italia due diverse storie si si sono confrontate così direttamente: da una parte un’Italia che voleva cambiare, spezzando un po’ di lacci e lacciuoli (Renzi), dall’altra una vecchia Italia con un patrimonio genetico di fallimenti biblici.
Ha vinto ha seconda, ha vinto cioè l’Italia che non vuole cambiare, che non vuole diventare moderna. Ha vinto un’accozzaglia che va dagli eredi di un certo Pci (bandiere rosse e idee no) a quelli di casa Pound, passando per tutto quello che c’è in mezzo. Naturalmente, programmi zero e la mattina dopo la grande vittoria, tutti sciolti e tutti per le proprie strade. L’accozzaglia, come previsto, si è già sciolta.
I grillini vogliono solo elezioni immediate, con qualsiasi legge, convinti di poter andare al governo appena chiuse le votazioni. Gli altri si accontenterebbero di qualcosa di meno. Ignorando che i grillini vogliono tutto per loro: non fanno accordi, non imbarcano nessuno, e sono  pazzi. Ma sono anche i veri vincitori di questo confronto.
La partita, quindi, è difficile. La frattura è stata grossa. E non esistono mediazioni possibili.
La politica farà delle sue magie e alla fine un governo verrà partorito, ma sarà robetta, tanto per tirare a campare.
Se si legge il risultato non in termini di schieramenti politici, ma di strati sociali, è ancora peggio.
La media borghesia impoverita, unita a fasce di sottoproletariato eversivo, ha dato la vittoria ai grillini. La retorica degli scontrini e della quantità enorme di bugie e diffamazioni hanno fatto il resto. La borghesia italiana aveva una possibilità di rinnovamento e non l’ha colta. Ha pensato alle sue rendite: se sei un taxista ti tieni la licenza, se sei un dipendente dell’Atac puoi anche non lavorare, sei vai a piedi o in bicicletta spendi comunque meno, dal medico puoi evitare di andarci se diventi vegano.
La media borghesia italiana ha scelto queste cose qui. È disperante, ma è così.
E’ inutile girarci intorno. Le avevano offerto una straordinaria occasione di cambiamento, non l’ha colta, come sempre.
Allora la battaglia è già persa? Non resta che rassegnarsi e tirare a campare?
Forse no. La novità  più interessante di questo confronto sul referendum è che ha fatto emergere, raccolto intorno al si e a Matteo Renzi un blocco di 12 milioni italiani (il 40 per cento dei votanti) che invece è per le riforme. E forse sono anche di più.
Certo, il percorso per far contare questo 40 per cento in politica sarà lungo e tortuoso. Ma si può fare.
In parte Renzi ha già anticipato la strada: ai vincitori toccano gli onori e gli oneri. In sostanza, hanno vinto, hanno il 60 per cento dei voti, governino, se sono capaci.
Impresa complessa perché l’accozzaglia vincente si è già dissolta, fra quelli che vogliono andare subito al voto fino a quando hanno il vento nelle vele (grilloidi) e quelli che invece non hanno nessun vento (Berlusconi e sinistra dem), e che quindi vorrebbero bordeggiare sotto costa, a caccia di qualche poltrona e di qualche favore.
Sarà una guerra dura, che potrà diventare ancora più aspra se Renzi deciderà di sfidare di nuovo i suoi avversari, ad esempio dimettendosi da segretario e convocando un congresso straordinario.
In mezzo a tutto questo c’è il Paese. La Confindustria, prima delle votazioni, aveva diffuso un documento, a fini elettorali e quindi un po’ terroristico., nel quale prevedeva, con la vittoria del no,  il ritorno della recessione per almeno un paio d’anni.
Forse, ripeto, si trattava di un’ipotesi eccessiva, ma il momento è delicato e chiunque lo capirebbe. Con il ritorno della disoccupazione sopra il 12 per cento e una lenta fuga delle nostre imprese.
È stato spiegato mille volte: senza riforme questo Paese rimane fermo e il suo unico destino sono la decrescita e il commissariamento da parte di Bruxelles. Non può funzionare un Paese che ha un milione e 700 mila metalmeccanici e un milione di mezzo di persone che vivono di politica, senza produrre nemmeno una matita.
Insomma, non siamo messi bene. E solo ceti borghesi ubriachi possono pensare di venirsene fuori senza altri sacrifici. In Francia, dove le cose stanno persino un po’ meglio che in Italia, il candidato Fillon si presenta con un programma reaganiano: via 500 mila dipendenti pubblici, orario di lavoro da 35 a 39 ore (pagate solo 37), tagli allo stato sociale.
Qui in Italia, affidandosi a Grillo, pensate che possa finire meglio? Tempo un mese e arriva la troika. E la ricetta sarà quella di Fillon, mica le stronzate di Di Maio. Le preziose licenze dei taxi i taxisti se le potranno vendere a Porta Portese, come fanno a Mosca con i berretti da generale dell’Armata Rossa. I farmacisti idem. Gli autisti dell’Atac saranno licenziati in tronco dopo la seconda assenza dal lavoro.
In sostanza, questa brava borghesia che ha scelto di rifugiarsi, insieme al sottoproletariato urbano, nelle braccia dell’accozzaglia (cioè in sostanza di Grillo) pur di evitare le  riforme non sfuggirà al suo destino. Poteva scegliere da sé quali riforme fare e in quali tempi, le dovrà fare di corsa e sotto dettatura degli altri.
L’alternativa, come ho già spiegato, non è,  forse, quella tragica illustrata dalla Confindustria (tre anni di recessione anche abbastanza pesante). Si può scegliere anche una deriva lenta: ogni anno si fa una finta crescita dello 0,5 per cento e alla fine ci si ritrova morti senza nemmeno averlo deciso.
Ma forse non si potrà fare nemmeno questo: a insegnare a questa borghesia spocchiosa di protestatari protetti da contratti di ferro nel pubblico impiego come si sta al mondo penserà la troika. Un paio di finlandesi e un tedesco potrebbero andare bene.
Altro che Di Maio che vi dà  il reddito di cittadinanza con i soldi che stampa di notte. E le città vegane dove non si muore mai e si vive con quattro cavolfiori piantati sul balcone, poveri ma belli.
Comunque, la nostra borghesia riottosa deve ancora finire di bere le bottiglie di champagne che ha aperto ieri sera. Lasciamola fare. Si risveglierà in un altro mondo.

dipocheparole     venerdì 27 ottobre 2017 20:42  82 Facebook Twitter Google Filippo Nogarin indagato e...