da Bruxelles
A parole è una «riunione tecnica».
Nei fatti è un vertice in versione ristretta, quello che il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker ha convocato per domenica 25 ottobre 2015, scavalcando ufficialmente, per la prima volta nella storia, il presidente del Consiglio Ue, Donald Tusk, al quale spetta l'organizzazione del summit dei 28 capi di Stato e di governo dell'Ue.
Un mini-vertice con i leader dei Paesi dei Balcani occidentali, che stanno affrontando l'emergenza profughi sempre più grave.
Con la decisione dell’Ungheria di chiudere il confine con la Serbia e poi con la Croazia, il percorso di migrazione è stato completamente modificato negli ultimi due mesi.
MIGRANTI, FLUSSO CONTINUO. Da metà settembre la Croazia ha registrato il transito di 224 mila migranti.
Dopo varie tensioni con la Serbia, i due Paesi hanno raggiunto un accordo sull'accoglienza e il passaggio dei profughi che vogliono raggiungere l'Austria e la Germania.
Solo il 21 ottobre dalla Serbia sono entrate in Croazia circa 7 mila persone.
Più di 3 mila provenienti dalla Slovenia sono state accolte il 23 ottobre in Austria, intanto in Slovenia ne sono arrivate altre 6 mila e il 22 ottobre è stata superata la quota dei 40 mila dall'inizio della seconda ondata migratoria, iniziata il 17 ottobre.
BERLINO E BRUXELLES ALLARMATE. La Slovenia, un piccolo Paese di 2 milioni di persone, sta affrontando un flusso migratorio di circa 10 mila persone ogni giorno.
L'aumento delle tensioni tra tutte queste capitali dei Balcani sta preoccupando non poco Bruxelles e Berlino, vista la storia violenta della regione dopo lo scioglimento dell'ex Jugoslavia.
Juncker: «Guardando i rifugiati mi capita di piangere»
A fare i conti con questa situazione devono dunque essere i capi di Stato e di governo di Austria, Bulgaria, Croazia, Macedonia, Germania, Grecia, Ungheria, Romania, Serbia e Slovenia che Juncker ha voluto riunire domenica attorno a un tavolo.
Sperando di eliminare ogni tensione e «concordare su conclusioni operative comuni che possano essere immediatamente implementate», si legge nella convocazione.
COME A FINE GUERRA. «Non mi capita spesso di piangere, ma guardando sera dopo sera le immagini di questo lungo corteo di rifugiati che mi ricorda le immagini in bianco e nero della fine della Seconda guerra mondiale, che ho visto quando ero giovane, ho pianto», ha detto il lussemburghese Juncker a Madrid.
«So bene che non possiamo accogliere sul nostro territorio tutta la miseria del mondo, ma dobbiamo almeno guardare la miseria del mondo prima di agire».
Ed è quella che ha guardato Juncker prima di convocare il mini-vertice, mettendo in un angolo Tusk.
TRAVOLTO DALLA CRISI. Vuole lasciare il segno Juncker.
Quello a capo dell'esecutivo europeo sarà forse il suo ultimo incarico da big.
Primo presidente a essere eletto secondo il trattato di Lisbona (che prevede la sua nomina tenendo conto delle elezioni europee), Juncker ha cercato sin dall'inizio di rafforzare il ruolo di palazzo Berlaymont come vera guida dell'Ue.
Ma più che Luxleaks (lo scandalo delle agevolazioni fiscali per le multinazionali in Lussemburgo), è la crisi rifugiati ad aver travolto tutto e tutti.
PIANO DI RIDISTRIBUZIONE. Sin da aprile Juncker ha spinto per la ridistribuzione obbligatoria di 40 mila migranti, e poi altre 120 mila arrivate in Italia e in Grecia. Relocation approvate a malincuore, su base volontaria, dagli Stati membri e contro la volontà di 4 Paesi.
Nonostante i niet, Juncker ha presentato anche un 'meccanismo permanente' per distribuire le persone automaticamente da un Paese interessato da un massiccio afflusso, come per esempio la Germania, che quest'anno conta di ricevere 800 mila richiedenti asilo di quest'anno.
TUSK VICINO AL VISEGRAD GROUP. Ma davanti alle problematiche della Germania, dell'Italia o della Grecia, davanti ai richiami all'unità e alla solidarietà del lussemburghese Juncker, il polacco Tusk è stato invece più attento ad ascoltare i veti del Visegrad group (Repubblica ceca, Ungheria, Polonia e Slovacchia).
Il 15 ottobre, durante la conferenza stampa del vertice Ue sull'immigrazione, Tusk ha infatti sottolineato l'importanza della protezione delle frontiere esterne, sollecitata più volte dall'Ungheria, lasciando cadere la richiesta della Merkel per una redistribuzione automatica dei migranti in tutto il blocco Ue.
Così se sinora Juncker ha lasciato fare senza interferire - «sei tu il padrone di casa», aveva ribadito a Tusk nella conferenza stampa dopo il primo summit Ue della legislatura - ora che la casa brucia sembra aver cambiato idea.
Mini-summit: la vera padrona di casa è Angela Merkel
Il 25 ottobre è lui che deve fare gli onori di casa aprendo le porte di palazzo Berlaymont ai leader dei Paesi dei Balcani occidentali.
Anche se la padrona di casa è, anche questa volta, Angela Merkel, la vera ispiratrice del mini-summit.
Secondo quanto ha riportato il
Wall street journal, è stata la cancelliera tedesca a chiedere a Juncker di organizzare a Bruxelles la riunione inizialmente pensata a Berlino, proprio per dare una connotazione comunitaria maggiore.
Merkel non ha infatti nessun intenzione di gestire l'emergenza da sola, ma di coordinarla sì.
IPOTESI QUOTE OBBLIGATORIE. Il quotdiano britannico
Guardian riferisce di un progetto tedesco che parte proprio dalla proposta della Commissione europea sul ricollocamento obbligatorio dei rifugiati per introdurre quote «obbligatorie e permanenti» di migranti da accogliere nei Paesi Ue.
Secondo il quotidiano britannico la proposta è di far arrivare probabilmente centinaia di migliaia di rifugiati direttamente in Europa dai campi profughi in Medio Oriente.
Un'opzione sinora respinta prima di tutto dai Paesi Baltici e dell'Est, ma che Merkel non intende abbandonare e che metterà di nuovo sul tavolo domenica.
ROTTA POLITICA A LUNGO TERMINE. Insomma quella del 25 ottobre non è solo una riunione per decidere quanti finanziamenti stanziare per aiutare i Paesi in difficoltà o coordinare la fornitura di coperte, tende riscaldate e altri aiuti umanitari immediati.
Quello di Juncker e di Merkel è un mini-vertice che vuole segnare una grande rotta politica a lungo termine, che va ben oltre quella dei Balcani.
ALTRO CHE DECADENZA TEDESCA. Così, per quanto proprio in questi giorni
l'economista Daniel Gros abbia pronosticato la fine dell'egemonia tedesca assoluta «a partire dalla crisi finanziaria del 2008», il rallentamento della locomotiva per ora non si vede. Merkel è ancora ben salda al comando.