Lo scontro tra Italia e Europa non si ferma neanche nella vigilia di Natale. Ad alimentare le tensioni ci ha pensato la Commissione, che interpellata dall'Adnkronosha voluto puntualizzare come l'esecutivo Ue agisca in modo "imparziale" e applicando le stesse regole "ad ogni Paese, e allo stesso modo all'Italia e alla Germania". Una precisione cui è arrivata la risposta acida del sottosegretario per gli Affari Europei Sandro Gozi: "Noi speriamo e ci aspettiamo un cambio di comportamento verso l'Italia da parte della Commissione europea e di altri paesi, e se questo non avvenisse tutto diventerebbe più difficile".
Banalità, se la precisazione e la controrisposta non arrivassero all'indomani
del botta a risposta a distanza sul tema dei salvataggi bancari e al culmine di un conflitto che rimasto sotterraneo per molto tempo, è destinato a venire definitivamente allo scoperto il prossimo anno. Un conflitto che arriva peraltro alla vigilia di un momento - come
ha ricordato Lionel Barber sul Financial Times - di grande fragilità per l'Europa, minacciata su molteplici fronti, dall'immigrazione al terrorismo fino ai rischi di una ripresa più lenta del previsto. "Come lo Stato immaginario di Cavafy, o il Sacro Romano Impero che durò per mille anni prima che Napoleone ponesse fine alla sua agonia nel 1806, la Ue potrebbe anche non disintegrarsi ma piuttosto scivolare in un declino glaciale", ha scritto il direttore de
Financial Times.
Pier Carlo Padoan, uno che è abituato a dosare le parole con il contagocce, soprattutto quando si parla di Europa, nell’intervista concessa ieri al
Foglio è stato insolitamente netto nel descrivere il livello di tensione che si registra negli ultimi tempi tra Roma e Bruxelles:
“In questi mesi i costi delle scelte europee, per il nostro paese, stanno superando i benefici". Tradotte dal padoanese al lessico da battaglia di Palazzo Chigi, parole del genere suonano più o meno come un: “Ora basta, Bruxelles sta davvero esagerando”. Se non di più.
L’Italia si avvicina così alla fine dell’anno impostando sempre di più la linea dello scontro con l’Europa. Con la sostanziale novità che i malumori italiani non si incardinano più nel tradizionale schema poliziotto buono-poliziotto cattivo che il duo Renzi –Padoan interpreta da diversi mesi in tutte le sedi europee. A Renzi le roboanti invettive contro Bruxelles, a Padoan il compito puntuale di ricucitore.
Roba del passato. Ora anche le colombe giocano da falchi, e tutto il governo è schierato compatto contro le rigidità della Ue e dei suoi principali interpreti, Germania in testa. Un cambio di passo che si era avvertito già la scorsa settimana con
lo scontro tra Matteo Renzi e Angela Merkel e che ora prosegue sui vari dossier che infiammano i rapporti con la Ue.
Ultima in ordine di tempo, la polemica sul salvataggio delle quattro banche italiane poste sotto la procedura di risoluzione. Da una parte l’Europa che ribadisce all’Italia di averci lasciato sostanzialmente campo libero, pur con paletti anche stringenti, nella scelta degli strumenti per salvare gli istituti, dall’altro il governo e Banca d’Italia che accusano l’Ue di non avere dato scampo al nostro Paese, “imponendo” il coinvolgimento dei risparmiatori nel salvataggio. In mezzo,
la lettera che secondo l’esecutivo italiano testimonierebbe il diktat di Bruxelles e che per la Ue proverebbe invece la libertà di scelta concessa all’Europa. Lettera che, in ogni caso, per la rigida policy comunitaria i funzionari Ue avrebbero preferito tenere riservata.
Il braccio di ferro con l’Europa in materia di banche ha origini ben più lontane. Da oltre un anno il governo sta cercando di mettere a punto una soluzione per la vera bomba a orologeria nascosta in pancia agli istituti italiani: i 200 miliardi di crediti deteriorati che gravano come macigni sui bilanci delle banche. Prima dell’unione bancaria, lo Stato avrebbe avuto ampi margini di manovra nella costituzione di una bad bank per la gestione di questi crediti. Ora, con le maglie più strette, le soluzioni prospettate dal governo hanno sempre incontrato l’altolà dell’Europa. E il tutto si è risolto, ad oggi, un grande nulla di fatto, al netto di misure minori che non hanno aggredito il problema nella sua sostanza.
All’incandescente dossier bancario si è aggiunto – scrive oggi
Repubblica –
anche quello dell’Ilva di Taranto. Sotto la lente di ingrandimento della Direzione Concorrenza della Commissione sono finiti i decreti che, con il supporto delle banche, hanno garantito nuovi finanziamenti dopo che un groviglio inestricabile di decreti targati Monti, Letta e ora Renzi, ha cercato di assicurare la continuità aziendale e produttiva della più grande acciaieria d’Italia senza interferire con l’attività dei magistrati che indagano sul siderurgico. Per questo, secondo il quotidiano di Largo Fochetti sarebbe in arrivo una procedura d’infrazione nei confronti del nostro Paese. Un nuovo tassello dell’escalation che potrebbe spingere il governo – riferisce il quotidiano - ad usare un’arma nuova e insolita, il ricorso alla Corte di Giustizia contro le decisioni della Commissione. Non esattamente il modo migliore per abbassare i toni. "Tutte le nostre decisioni sono soggette allo scrutinio della Corte Ue", ha puntualizzato oggi la Commissione con un certo disappunto.
Sullo sfondo resta la battaglia delle battaglie, quella che Renzi ha provato a giocare prima alle regole di Bruxelles e che ora ha visto un netto cambio di strategia: la
flessibilità sui conti. Dopo avere sventolato come un successo della presidenza italiana
la comunicazione pubblicata dalla Commissione a gennaio che concedeva un’interpretazione delle rigide regole di bilancio dal
Six Pack, con la legge di stabilità il governo ha deciso di premere più nettamente sull’acceleratore, prendendosi tutta la flessibilità possibile, anche quella che non era ancora stata autorizzata, e spingendosi persino oltre.
Così Renzi ha deciso di forzare al massimo, fino all’ultimo decimale possibile, la leva del deficit. Aggiungendo alla scommessa di una manovra espansiva che ha rinviato le misure più drastiche di risanamento agli anni a venire, nella speranza che la fase positiva dell’economia non si arresti, il rischio che in primavera la Commissione non mandi in frantumi un parte della manovra appena varata, bocciando il ricorso all’extra indebitamento che l’Italia ha approvato per finanziare molte misure previste nella legge di stabilità. Alcune, storcono il naso a Bruxelles, più assimilabili a mance elettorali che ai costi per implementare le riforme strutturali, gli investimenti o per fronteggiate emergenze eccezionali, come invece previsto dalle clausole europee.
Sarà questo il nodo del duello tra Italia e Europa nel 2016. E un’eventuale bocciatura della manovra italiana potrebbe diventare a questo punto il detonatore definitivo di un ordigno innescato già dalle tensioni degli ultimi mesi. Pronto ad esplodere la prossima primavera.