sabato 16 luglio 2016

SFIDUCIATO IL “PICCOLO GRILLO” SINDACO DI BACOLI

della-ragioneL’avventura del «piccolo Grillo» di Bacoli arriva alla fine dopo un solo anno. Josi Gerardo Della Ragione, il 29enne blogger eletto sindaco al ballottaggio con oltre il 64% dei consensi il 14 giugno 2015, è stato sfiduciato da nove consiglieri comunali su quindici, portando il piccolo comune del napoletano – 26mila abitanti ma soprattutto un lungomare che ospita decine di stabilimenti balneari – a un inevitabile commissariamento.

È una storia emblematica quella di Della Ragione. Dal suo blog freebacoli.it – circa quattromila contatti al giorno – ha passato diversi anni a denunciare e documentare le malefatte della classe politica locale. Da qui l’idea di trasformare il portale internet in un’avventura politica, culminata in un’elezione a sindaco che un anno fa apparve sorprendente. Alla luce delle ultime amministrative, però, lo è molto meno. Della Ragione, infatti, ha interpretato con un anno di anticipo quello che sarebbe successo nel giugno del 2016, con candidati grillini o civici capaci di sconfiggere al ballottaggio forze politiche molto più strutturate sul territorio. E a segnalare le vicinanze con il Movimento 5 Stelle vi furono anche i numerosi endorsement di esponenti grillini, come Luigi Di Maio, che nel gennaio del 2015, ospite con Ferdinando Imposimato a un convegno di Freebacoli pronunciò un’indicazione di voto chiarissima: «Freebacoli è una realtà che tiene insieme i cittadini 365 giorni all’anno e non scompare il giorno dopo le elezioni. Josi è la punta di diamante di una squadra che fa tanto per il territorio, Bacoli può sognare un sindaco come Della Ragione».

Ma il contatto con la realtà amministrativa è stato molto complicato. Il sindaco ha visto diversi consiglieri lasciare il suo movimento per allearsi infine con pezzi del centrodestra e decretare la decadenza del primo cittadino. I «dissidenti» hanno puntato il dito contro la «disinvolta politica di alleanze opportunistiche, come quella col Pd» e «i casi di intolleranza e intimidazione dei dissenzienti sempre più numerosi e gravi, accompagnati da atti completamente al di fuori della legge». Versione opposta, ovviamente, quella dell’ormai ex sindaco: «Hanno traditola città, evidentemente abbiamo calpestato i piedi dei poteri forti. D’altrone, stavamo sottraendo la spiaggia libera assegnata abusivamente e poi era in corso un piano di riconversione turistica».

Quale che sia la verità, la vicenda campana è emblematica di come non sempre le avventure nate sul web finiscono in gloria. Talvolta il confronto con la realtà riserva amarezze, frenate e compromessi. E rappresenta un monito per chi, baciato dalla gloria dell’antipolitica passa rapidamente dalle (cinque) stelle alle stalle.

mader
Fonte: Il Tempo

VIENI AVANTI CRETINO.........

Ieri notte in Turchia i militari hanno tentato un colpo di stato. Tutti i maggiori politologi ed esperti di politica estera si sono scatenati su Facebook.
E' incredibile la faciloneria di chi ha scritto pagine su pagine sui fatti che stavano accadendo senza avere neanche un minimo di conoscenza della realtà politica e sociale della Turchia. 
Risulterò poco democratico, antiquato, radical chic, elitario: Prima o poi a chi scrive su Facebook occorrerà far sostenere un esame di cultura generale. 
Come occorre la terza media per potere prendere la patente. 
Gli ignoranti politologi qualunquisti grillini causano più danni agli elettori ignoranti che li votano di quanti ne abbiano potuti causare, negli ultimi dieci anni, una pletora di militanti sindacali e della sinistra radicale.
Entrambe le tipologie purtroppo contribuiscono a distruggere questo mio povero paese.

Io vorrei capire quale film ha visto il giornalista del Fatto Quotidiano. Ma in internet ci va ogni tanto questo grande giornalista? E lo sa che il M5S non ha diritto a quei fondi perché non ha lo statuto? Consiglio vivamente di non leggere Il Fatto Quotidiano. E prima delle elezioni che filma ha visto? tutti i giorni a tutte le ore c'era qualche grillino a parare sciocchezze in televisione.

Io vorrei capire quale film ha visto il giornalista del Fatto Quotidiano. Ma in internet ci va ogni tanto questo grande giornalista? E lo sa che il M5S non ha diritto a quei fondi perché non ha lo statuto? Consiglio vivamente di non leggere Il Fatto Quotidiano. E prima delle elezioni che filma ha visto? tutti i giorni a tutte le ore c'era qualche grillino a parare sciocchezze in televisione.

Quanto tempo ci vuole a quelli che votano i grillini per capire che questo è un partito di plastica e bit Forza Italia 3.0.

Si è dimesso il vicesindaco e assessore alle politiche del lavoro Sebastiano Sassu. Questa mattina l’esponente della giunta ha protocollato le dimissioni rimettendo al sindaco le deleghe al personale, Polizia locale e alle politiche sul lavoro
Il vicesindaco Sebastiano Sassu lascia l´incarico


PORTO TORRES - Si è dimesso il vicesindaco e assessore alle politiche del lavoro Sebastiano Sassu. Questa mattina l’esponente della giunta ha protocollato le dimissioni rimettendo al sindaco le deleghe al personale, Polizia locale e alle politiche sul lavoro. Le ragioni della scelta sarebbero di natura personale tale da impedire la prosecuzione del mandato.

Un gesto che ha lasciato sorpresi alcuni esponenti della maggioranza, impegnati questa mattina nella nomina dei presidenti delle commissioni consiliari rimodulate. Una decisione che però era nell’aria e che non esclude ragioni di natura politica dovute ad incomprensioni all’interno della maggioranza.

E così la giunta da qualche mese “perde pezzi”: il vicesindaco Sassu aveva rinunciato nei giorni scorsi alla delega alle politiche sociali, ora assegnata al nuovo assessore Rosella Nuvoli, e neanche un mese fa l’assessore al bilancio Donato Forcillo aveva rassegnato le dimissioni per motivi di lavoro, rimettendo la delega al sindaco. Un posto rimasto ancora vacante che verrà ricoperto con la nomina a breve di un nuovo assessore, come annunciato dal sindaco

Gli amministratori virtuali di Roma. Bravi a sparlare di tutto e di tutti slavo poi non sapere da che parte voltarsi quando amministrano. E se sindaco fosse stato eletto Grillo sarebbe stato anche peggio.

Roma, le opposizioni al M5s: "No al doppio incarico". E Minenna getta la spugna

L'assessore al Bilancio prenderà l’aspettativa dalla Consob. E Marra resta vicecapo di gabinetto. Ora vacilla anche la Taverna. Intanto, giunta paralizzata: dal suo insediamento non si è mai riunita
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Avrebbe voluto continuare a fare il doppio lavoro, Marcello Minenna, il dirigente Consob che la sindaca Virginia Raggi - grazie al pressing di Luigi Di Maio - è riuscita ad arruolare come super-assessore a Bilancio e Partecipate. Fino a dichiarare, al manifestarsi delle prime polemiche, che lui avrebbe rinunciato allo stipendio del Campidoglio.

Ma le opposizioni sono insorte, tre diverse interrogazioni parlamentari hanno sollevato dubbi circa il potenziale conflitto di interessi creato dal doppio ruolo, e Minenna alla fine ha dovuto cedere. Per evitare di scatenare l'ennesima bufera sulla giunta Raggi, ha rinunziato al suo ufficio, con relativo stipendio in Consob. E ieri la Commissione ha dato via libera.

Non senza qualche travaglio. "Spiace dover segnalare la totale incompetenza e insipienza su cui poggiano le noiose querelle sul mio incarico di assessore", diceva ieri l'alto funzionario in attesa del verdetto. "Sarà comunque Consob a decidere se lasciarmi completamente libero di andare, concedendomi la aspettativa che è atto dovuto, ovvero tenere conto della mia dichiarata disponibilità a continuare a collaborare con l'Autorità di vigilanza". Mentre Di Maio rincarava: "Che la Consob ostacoli Minenna per noi è medaglia al valore. Suggerisco di occuparsi dei risparmiatori truffati da Renzi".

Una impasse che, di fatto, ha paralizzato la giunta romana. Dall'atto di nomina, firmata ormai nove giorni fa, non è stata riunita neppure una volta. A oggi le delibere approvate stanno a zero. Caso più unico che raro. Il sindaco Marino, per dire, convocò il suo esecutivo il giorno dopo averlo presentato, per poi varare una sfilza di provvedimenti nella settimana successiva. Il precedessore Alemanno fece addirittura prima: gli bastarono 48 ore per indicare gli assessori e licenziare i primi atti di governo. L'esecutivo Raggi, invece, va avanti a colpi di ordinanze sindacali e determine dirigenziali.

Troppo presa, l'inquilina del Campidoglio, a sedare le turbolenze innescate dall'addio di Roberta Lombardi al mini-direttorio designato per affiancarla. Dove, in grande fibrillazione, sarebbe adesso la senatrice Paola Taverna. Pure lei uscita fortemente ridimensionata dal terremoto interno ai Cinquestelle.
Il filo diretto che la Raggi è riuscita a instaurare con Luigi Di Maio, anche mediante la nomina di un paio di assessori fedeli al vicepresidente della Camera, ha infatti reso superflui tutti gli "organismi" intermedi. L'ha cioè liberata dal tutoraggio esercitato, appunto, dallo staff romano, di cui Lombardi e Taverna erano le punte di diamante; l'eurodeputato Castaldo e il consigliere regionale Perilli nel ruolo di rincalzi. Manovra che avrebbe tra l'altro ricevuto la benedizione di Beppe Grillo, venuto a Roma proprio per decretare la fine di un modello giudicato dannoso per il Movimento.

Risultato?
 In Campidoglio si rafforza il cosidetto "Raggio magico", ovvero la stretta cerchia di fedelissimi che circonda la sindaca, capitanato dal vice Daniele Frongia. E di cui fa sempre parte l'alemanniano Raffaele Marra, l'uomo che ha scatenato lo scontro tra la sindaca e la Lombardi. L'avvocata pentastellata aveva fatto sapere di averlo revocato. Ma Marra è rimasto vice-capo di gabinetto. Sebbene senza le funzioni di vicario, affidate alla dirigente Virginia Proverbio.

Un altro grande sindacalista che ha campato sulle spalle dei contribuenti italiani. E gli ipocriti e farisei della minoranza PD, SEL, Rifondazione Comunista, Comunisti Italiani e assimilabili dovrebbero dirlo invece di fare gli schifiltosi con Renzi.

Il grande “Boh” di Sergio Cofferati

Il Fattone
Sergio Cofferati al teatro Palladium durante la manifestazione ''Scuola. lavoro, democrazia'', Roma 4 Luglio 2015, ANSA/GIUSEPPE LAMI
Oggi l’ex segretario della Cgil annuncia sul Fatto di aver abbandonato anche la nuova sigla della sinistra radicale, e adesso?
 
Forse non lo sapevate, ma Sergio Cofferati ha di nuovo cambiato partito. Dopo aver lasciato il Pd perché non era riuscito a vincere le primarie in Liguria, dopo aver flirtato con Possibile (il gruppo underground di Pippo Civati), dopo aver co-fondato qualche mese fa Sinistra italiana, oggi l’ex segretario della Cgil annuncia di aver abbandonato anche la nuova sigla della sinistra radicale. Il ferale annuncio è contenuto in un’intervista al Fatto che è già entrata nella storia gloriosa e complessa del movimento operaio italiano.
Non è chiaro se Cofferati abbia lasciato il partitino di Fratoianni e Fassina perché, come sostiene, “erano stati assunti impegni che poi sono stati disattesi” (quali impegni? chi li ha disattesi?), oppure, più banalmente, perché non è riuscito a diventarne il leader. E quando si ha una certa età, capite bene che non si può sempre ricominciare da zero.
Le speranze e le ambizioni deluse di Cofferati non gli impediscono tuttavia di continuare a recitare la favoletta stucchevole sulla sinistra che c’è, non c’è, è in crisi ma ha ragione, combatte ma perde, perde ma ha ragione… “Se la sinistra non è riuscita a raccogliere 500mila firme [per il referendum costituzionale, ndr], vuole dire che non ha un’identità con cui proporsi alla gente”, sentenzia severo il leader mancato. “Il problema – aggiunge con la consumata saggezza di chi la sa lunga – è chiarire cosa sei e cosa vuoi”.
E Cofferati cos’è, cosa vuole? Boh. “C’è un grande spazio libero in quell’area”, insiste il nostro topografo indicando la sinistra a sinistra del Pd – anzi, l’unica sinistra possibile, perché “non si può stare a sinistra se si vota Sì”, mentre invece se si vota No si è sicuramente di sinistra: i dubbiosi possono chiedere conferma a Brunetta o a Salvini.
Certo, concede preoccupato l’aspirante Corbyn, “quell’area” è insidiata dai grillini, ma la soluzione è semplice: sarà sufficiente “costruire un partito con idee chiare”. D’accordo, questa l’hai già detta. Quali idee? Boh. Però, aggiunge il mancato Sanders, “poi bisognerà trovare dei leader”. Ora sì che si capisce: prima le idee chiare, poi i leader. Perfetto.
E nel frattempo? “Continuerò il lavoro nel Parlamento europeo”, annuncia solenne Cofferati. Quale lavoro, per conto di chi? Boh.

Dedicato ai telecomandati e lobotizzati grillini. Ci voleva la magistratura per dire quello che vedono anche i ciechi? Solo una persona nata serva può accettare di stare o di votare un partito come il M5S. L'equivalente di Forza Italia 3.0.

«M5S deve garantire il dissenso»
E il giudice riammette gli espulsi

Accolto il ricorso a Napoli: i 5 Stelle un partito «nonostante nello statuto tendano a escludere di esserlo». Per le sanzioni non basta il blog 

La protesta con sciopero della fame degli attivisti del M5s
shado
NAPOLI Uno vale uno. Stavolta sono i giudici partenopei a ricordarlo al Movimento 5 Stelle. Venti espulsi napoletani dovranno infatti essere reintegrati. Non solo: il regolamento adottato dallo staff di Grillo in base al quale a febbraio venne decisa la loro esclusione «è illegittimo» giacché non è mai stato approvato dall’assemblea. Ancora: il movimento stesso «può essere definito un partito» perché si comporta come tale «nonostante nel suo statuto tenda a escludere di esserlo». Infine: il M5S deve garantire il dissenso al suo interno, come avviene in qualunque altra associazione, partiti compresi.
Ha del clamoroso l’ordinanza emessa tre giorni fa dai giudici della VII sezione del Tribunale di Napoli (Lucio Di Nosse, Stanislao De Matteis e Angelo Napolitano) con cui è stato accolto il reclamo presentato da venti ex pentastellati ai quali il direttorio aveva dato il benservito con la mail di rito. Erano accusati «di aver partecipato al gruppo segreto Napoli libera per manipolare il confronto per la formazione del metodo di scelta del candidato sindaco e della lista alle comunali di Napoli». Accuse, sempre sdegnosamente respinte dagli interessati. Di qui il ricorso al giudice. Mercoledì è arrivata la vittoria. Provvisoria, perché quasi certamente ora seguirà un giudizio di merito che richiederà mesi e il cui esito è incerto. Intanto però i venti sembrano intenzionati a chiedere la riammissione. L’avvocato Luca Capriello, uno dei ricorrenti, è tra i più decisi: «Faremo valere i nostri diritti, pretenderemo di rientrare nel movimento, speriamo solo non ci costringano a chiamare l’ufficiale giudiziario. In ogni caso il provvedimento è l’ulteriore dimostrazione di come a Napoli Roberto Fico abbia fallito, per noi dovrebbe dimettersi subito».
L’ordinanza della VII sezione del tribunale partenopeo, con le sue undici pagine, entra molto nel merito dell’organizzazione grillina e ne contesta la legittimità. Scrivono infatti i giudici: «Le norme contenute nel regolamento pubblicato sul portale del leader politico del Movimento (Beppe Grillo, ndr) non possono disciplinare le materie come l’esclusione degli associati, riservate dalla legge alla competenza assembleare, mancando una disposizione in tal senso dello statuto». 
Un paragrafo a parte è dedicato al dissenso, che deve far parte integrante della vita politica del movimento. Nei prossimi giorni i venti ricorrenti dovranno decidere se trasformarsi in una corrente di minoranza, la prima, all’interno della galassia pentastellata. Troveranno porte aperte nella casa madre o finirà con l’ufficiale giudiziario che bussa alla porta del movimento?

OPINIONI

Bruno ManfellottoBruno Manfellotto

Questa settimana

Si sono presi il Sud e ne hanno fatto un deserto 

La situazione del Mezzogiorno è disastrosa. 
Tutti i dati lo confermano. E la responsabilità  in gran parte pesa sulle classi dirigenti locali

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Si sono presi il Sud e ne hanno fatto un deserto
E del Mezzogiorno, ci avete fatto caso?, si parla sempre meno. Se si escludono i tristi riferimenti a mafie, omicidi, corruzioni e inquinamenti, di quel dibattito acceso e degli investimenti pubblici che ne hanno contrappuntato una lunga stagione, è rimasto poco o niente. Non sapendo più come descrivere questa metà del Paese dimenticata e abbandonata a se stessa, la Svimez, che da più di mezzo secolo monitora il Sud, ha coniato nel rapporto dell’anno scorso la definizione di «desertificazione umana e industriale». Ma nemmeno questo estremo grido d’allarme è valso a scuotere coscienze e governanti.

Tra qualche settimana la Svimez sfornerà analisi aggiornate al 2016 e dalle prime anticipazioni sembra per fortuna che segnali di svolta ci siano, ma ahimè non bastano - e dopo tanti anni di segni meno - a modificare una realtà da brividi. Dall’inizio della crisi, nel Sud le famiglie povere sono aumentate del 40 per cento; una su cinque denuncia difficoltà nel rifornirsi d’acqua; i consumi sono diminuiti del 13 per cento. La popolazione invecchia, e i morti sono più dei nuovi nati; quattro giovani su cinque non lavorano, in quindici anni se ne sono andati via in 500mila, il tasso di disoccupazione è doppio che nel resto del Paese. Quattro ragazzi su dieci non raggiungono un diploma superiore, crollate anche le iscrizioni nelle università del Sud, e qui pesa anche la scarsa qualità degli studi. In quanto a ricchezza prodotta, il divario nord-sud si allarga: lassù si compete con la Germania, quaggiù solo adesso si intravede una prima inversione di tendenza.

Si potrebbe continuare. Ma questi sono parametri economici e sociali, e lasciamo pure da parte la criminalità. Il gap riguarda, e questo è forse ancora più grave, anche le istituzioni pubbliche e il loro funzionamento. Qui tutti gli indici sono peggiori che al Nord: al Sud si spende di più per le pensioni di invalidità; sono più numerosi i dipendenti di Regioni, Province e Comuni e molto più alti i costi perfino delle Prefetture, e della politica in genere. Quasi a dimostrare che la stessa macchina, con le stesse caratteristiche, cammina in modo diverso a seconda del terreno in cui è costretta. Sono contesti in cui spesso latitano le garanzie essenziali: qui c’è corruzione diffusa, il governo è lontano, la proprietà privata non è ben tutelata.

Più o meno questo è il quadro: desolante. Resta da capire perché l’eterna questione meridionale sia rimasta irrisolta e perché anni e anni di finanziamento pubblico non abbiano lasciato il segno. A cosa si deve il fallimento? All’invasività delle mafie, allo sfascio delle istituzioni locali o, come vuole certa letteratura meridionale, a uno spietato sacco condotto dai poteri forti del nord? E ancora: la distanza tra un’Italia e l’altra si deve misurare solo con i parametri dell’industria e dell’occupazione, o si devono considerare anche le profonde diversità culturali?

Sono domande di cui siamo debitori a Sabino Cassese che per cercare risposte ha curato per il Mulino un saggio molto ricco che raccoglie le “Lezioni sul meridionalismo” tenute lo scorso anno da storici ed economisti al Centro Guido Dorso di Avellino. E proprio alla prima intuizione di Dorso, che vedeva il cuore del problema nel mancato completamento della costruzione dello Stato, sembra fare riferimento Cassese quando individua nel mal funzionamento delle istituzioni il male di fondo del Mezzogiorno. Sì, è vero, la questione meridionale è stata sepolta dal diffondersi prepotente del neoliberismo che ha demonizzato l’intervento pubblico, e dalla scomparsa dei partiti politici di massa che ponevano la rinascita del Sud al centro dei loro programmi (e pure dei loro interessi clientelari ed elettorali). Ma il processo era già cominciato.

Sostiene Cassese che il divario tra nord e sud nasce proprio, come dire?, dal diverso rendimento delle istituzioni, e degli uomini che le dirigono. Di fatto la macchina pubblica, giuridicamente simile a quella del resto del Paese, è stata consegnata alle classi dirigenti locali senza pretendere che esse rispondessero allo Stato, non alle camarille. È successo anche con le Regioni che prima hanno avocato a sé l’intervento straordinario, poi lo hanno di fatto vanificato con spietate logiche di potere. Si sono presi il Sud e ne hanno fatto un deserto.

dipocheparole     venerdì 27 ottobre 2017 20:42  82 Facebook Twitter Google Filippo Nogarin indagato e...