Lavoratori e sinistra, duello Landini-Renzi
Il premier alla minoranza Pd: «Scissione? Facciano pure. Ma la gente non capirebbe». Affondo del leader della Fiom: «Il governo non rappresenta gli interessi dei lavoratori»
ANSA
Il premier Matteo Renzi insieme a Bruno Vespa (foto d’archivio)
02/11/2014
«La modifica dell’articolo 18 preoccupa più qualche dirigente e qualche parlamentare che la nostra base», dice Matteo Renzi. «Il governo non rappresenta gli interessi dei lavoratori», replica Maurizio Landini. Il duello a distanza tra il premier e il leader della Fiom continua e inaugura un mese chiave per la riforma del lavoro.
Il premier questa settimana sarà in campo a Brescia, Savona, Trieste e Taranto, con un occhio attento anche alla difficile partita di Terni. E gli ultimi dati Istat che certificano la creazione di 82 mila nuovi posti di lavoro inducono a procedere spediti con la madre di tutte le riforme: il Jobs act. Tema su cui Landini conferma lo sciopero generale della Fiom e su cui la minoranza Pd è pronta a dare battaglia.
Ma, come scrive oggi Carlo Bertini su La Stampa, Renzi sa che il cammino del jobs act può assumere pure un peso dirimente nel confronto con Bruxelles. Ecco spiegato perché il premier sta valutando che potrebbe essere conveniente “sminare” il percorso alla Camera, dando un segnale distensivo alla sinistra. E il segnale sarebbe questo: inserire nella nuova legge il reintegro con l’articolo 18 per i licenziamenti disciplinari. Uno scalpo da offrire alla sinistra Pd e alla Cgil, che servirebbe a portare a casa il jobs act in tempi brevi e soprattutto certi.
La Fiom intanto alza il tiro. «L’unico modo per far cambiare l’idea al governo è di convincerlo che noi abbiamo la maggioranza dei consensi. Bisogna convincere Renzi che contro il lavoro non va da nessuna parte», tuona Maurizio Landini ospite di Lucia Annunziata a “In mezz’ora”. Il leader delle tute blu della Cgil conferma poi le iniziative contro il Jobs act: sciopero generale di 8 ore articolato con «due manifestazioni», il 14 novembre a Milano e il 21 a Napoli. Il giudizio di Landini è duro: «Su Renzi ho cambiato idea quando ho capito che lui scelse le politiche di Confindustria».
A sinistra in tanti sperano in una discesa in campo del leader della Fiom, forse l’unico leader in grado di raccogliere consensi rilevanti. Ma il diretto interessato frena. «Oggi non voglio impegnarmi in politica, voglio rappresentare i lavoratori», dice Landini. E sull’ipotesi di una scissione a sinistra dice la sua (con toni perentori) anche Renzi: «A differenza del passato io non ho il complesso del “nessun nemico a sinistra”», spiega intervistato nell’ultimo libro di Bruno Vespa, «Italiani voltagabbana». «Non accetto la logica dello spostarci a sinistra anche noi per impedirlo. Se qualcuno dei nostri vuole andare con la sinistra radicale faccia pure: non mi interessa. È un progetto identitario fine a se stesso e certo non destinato a cambiare l’Italia. Lo rispetto, ma non mi toglie il sonno».
Guarda in casa il premier e parla alla minoranza del Pd: «Ho grandissimo rispetto per la piazza della Cgil e per i parlamentari che hanno partecipato a quella manifestazione. Ma io sono per il cambiamento che è nel dna della sinistra. E a casa mia la sinistra che non si trasforma si chiama destra». Quella, aggiunge, «non era la piazza del Pd, ma c’era anche gente del Pd. Se penso di perderla? È più facile perdere qualche parlamentare che qualche voto. La modifica dell’articolo 18 preoccupa più qualche dirigente e qualche parlamentare che la nostra base. Se si arrivasse a una scissione, ma non ci si arriverà, la nostra gente sarebbe la prima a chiedere: che state facendo?». Alla domanda se il fallimento del rapporto con Susanna Camusso sia anche frutto della mancanza di feeling personale, il premier risponde: «Non è una questione di feeling personale, ci mancherebbe. È un’idea del paese, della sua modernizzazione, del ruolo di governo e della rappresentanza civile, non un fatto umano o interpersonale».
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