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Grillo e Di Battista lanciano la proposta-provocazione dicendo che il Parlamento così decadrebbe e il governo non avrebbe la maggioranza. In realtà le cose stanno diversamente. Molto diversamente
Lo ha annunciato Beppe Grillo nel suo post mattutino, lo ha confermato oggiAlessandro Di Battista: il MoVimento 5 Stelle è pronto a far dimettere tutti i suoi parlamentari. «Vanno create le precondizioni per uno scioglimento attraverso una richiesta congiunta di tutte le opposizioni eventualmente supportata dalle dimissioni dei parlamentari di minoranza (e vediamo se anche quelli della sinistra Pd ci stanno, almeno in parte). Se anche in uno solo dei dure rami del Parlamento (ad esempio al Senato) si raggiungesse la metà più uno dei dimissionari (tenendo conto solo di quelli elettivi e non dei senatori a vita), sarebbe pressoché automatico lo scioglimento di quella Camera ed, a ricaduta, dell’altra», ha scritto oggi Grillo. I 5 stelle sono pronti a dimettersi? «Assolutamente sì – ha risposto Di Battista in un’intervista al TG3 – e lo diciamo già da quando la Corte Costituzionale ha detto che il Porcellum è incostituzionale e che questo Parlamento è incostituzionale”. In realtà, la Corte Costituzionale ha detto il contrario di quello che sostiene Di Battista riguardo il parlamento e la sua legittimazione. Ma andiamo nel merito: cosa succede se si dimettono i parlamentari dell’opposizione?
COSA SUCCEDE SE SI DIMETTONO I PARLAMENTARI DELL’OPPOSIZIONE
In primo luogo bisogna sottolineare che in base all’articolo 67 della Costituzione (quello che a Grillo prima piaceva e oggi no), le dimissioni sono una scelta individuale e non del partito di appartenenza. Questo significa che nessun partito può dare ordine a un parlamentare di dimettersi, e la scelta deve essere fatta dal parlamentare. C’è poi un precedente storico importante, quello (mancato) del 5 ottobre 2013. All’epoca il PdL disse che i suoi parlamentari si sarebbero dimessi in massa se il 4 si fosse votato per la decadenza di Berlusconi da senatore dopo la sentenza Fininvest. Le dimissioni poi non vennero mai date. Anche perché all’epoca si chiarì che le dimissioni andavano in primo luogo accolte con una delibera dell’aula, a scrutinio segreto e caso per caso. Quando le dimissioni vengono presentate, la prima richiesta viene per prassi respinta, così come la seconda. Attenzione, però. Dal momento in cui le dimissioni sono accettate al parlamentare dimissionario subentra il primo dei non eletti nella sua lista, che però deve accettare la nomina e insediarsi.
Per prassi consolidata, una prima richiesta di dimissioni viene respinta, come gesto di cortesia. Stessa cosa può accadere anche al secondo voto. Spesso l’accettazione avviene solo in terza battuta, con tempi che possono arrivare anche ad alcuni mesi. A dimissioni accettate dall’Aula, per regolamento subentra al parlamentare dimissionario il primo dei non eletti della sua lista: tempi lunghi anche per accettazione della nomina e successivo insediamento. Sempre che la scelta non sia quella di dimettersi anche per i neo nominati. Comunque le dimissioni, proprio per il meccanismo del subentro dei non eletti, consentirebbero alle Camere di proseguire l’attività e dunque non provocherebbero la crisi di governo (Corriere.it).
Spiegava Roberto Zaccaria, che all’epoca era onorevole PD ma è professore di diritto e insegna diritto costituzionale all’università di Firenze (all’epoca – 2011 – parlava di una proposta analoga arrivata dai deputati PD) :
COSA SUCCEDE SE SI DIMETTONO PARLAMENTARI NELLA MAGGIORANZA?
Ma Grillo ha detto qualcosa di più. Ha detto che a dimettersi non sarebbero solo parlamentari dell’opposizione ma anche della maggioranza ma critici, e questo farebbe cadere il governo. In realtà anche questo non è esatto. Se si dimettesse un onorevole o un senatore della minoranza PD, infatti, verrebbe sostituito da uno dei non eletti, con la differenza che è probabile che il nuovo arrivato sostenga l’attuale segretario, e quindi l’esecutivo. Se i parlamentari della minoranza PD oggi si dimettessero rischierebbero semplicemente di dover (ri)cominciare a fare politica senza i privilegi dello status di parlamentare. La stessa cosa vale per i primi dei non eletti di Forza Italia, Lega, SEL e persino MoVimento 5 Stelle: il nuovo arrivato potrebbe decidere di rimpinguare le fila della maggioranza invece che continuare la battaglia del dimissionario che lo precedeva all’opposizione (e può farlo in base all’articolo 67), generando, per assurdo, una maggioranza più forte per il governo in carica. Insomma, quella delle dimissioni di massa non sembra esattamente un’ideona.