sabato 24 settembre 2016

I sindaci di Latina, Frosinone, Viterbo e Rieti: Le Olimpiadi le organizziamo noi

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damiano-coletta-piazza-popolo-sindaco-2016Le quattro città capoluogo di provincia del Lazio stanno elaborando un documento comune per evitare che il parere contrario del sindaco di Roma, possa chiudere definitivamente il capitolo delle Olimpiadi da celebrarsi in Italia, nell’estate del 2024. I sindaci di Rieti, Viterbo, Latina e Frosinone, rispettivamente Simone Petrangeli, Leonardo Michelini, Damiano Coletta e Nicola Ottaviani sono convinti che il ritorno economico e sociale delle Olimpiadi a Roma possa generare un circuito virtuoso per tutto il Lazio, partendo proprio dall’area metropolitana.
La formula delle Olimpiadi di «Roma Capitale 2024», al posto di « Roma 2024», infatti, potrebbe superare la contrarietà che il Consiglio Comunale di Roma si appresta a votare, dopo la decisione assunta dalla Raggi nelle ultime ore.
«L’articolo 114 della Costituzione – ha dichiarato il Sindaco di Frosinone Nicola Ottaviani – individua in Roma non uno dei tanti comuni Italiani, ma la Capitale dell’intero Paese. Un Consiglio Comunale può decidere quello che avviene sul proprio territorio, ma quando sono in gioco le linee di sviluppo di una Capitale, gli investimenti di quell’ambito territoriale coincidono con gli investimenti dell’intero Paese. Tenendo presente, dunque che l’organizzazione dell’evento può essere assunta direttamente dal Governo, con il supporto delle città contigue all’area metropolitana romana, alla Raggi si chiede soltanto di non opporsi a questa soluzione che permetterebbe, da un lato, la realizzazione dei nuovi impianti su Roma, e dall’altro eviterebbe il ricadere degli oneri e delle problematiche amministrative sul comune di Roma. I comuni del Lazio, ad iniziare dalle città capoluogo, fornirebbero l’eventuale supporto istituzionale, considerando il fatto che altri impianti sarebbero realizzati anche all’esterno della Capitale, con evidenti riflessi positivi sotto il profilo economico e sociale».

E i meet up, lea democrazia diretta, e lo streaming, e la trasparenza, e uno vale uno, e la partecipazione diretta, e il potere ai cittadini, e il voto in rete.............Bugiardi ma bugiardi che più bugiardi non si può.

Beppe Grillo: «Io sono il capo»

Lo ha detto ai giornalisti che gli chiedevano del suo famoso «passo di lato», prima della manifestazione del Movimento 5 Stelle a Palermo

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 (ANSA / MICHELE NACCARI)
Oggi e domani al Foro Italico di Palermo è in programma il raduno nazionale del Movimento 5 Stelle. Prima dell’inizio degli interventi sul palco, Beppe Grillo ha risposto ad alcune domande dei giornalisti. A uno di loro, che gli domandava della sua passata decisione di farsi da parte nella guida del partito, Grillo ha risposto lasciando intuire che quella strategia non ha funzionato, aggiungendo:
«Io sono il capo»
Poco dopo, Grillo ha aggiunto:
«Io farò il capo politico, prenderò delle decisioni, perché alla fine qualcuno deve prendere delle decisioni, prima le prendeva Casaleggio e le prendevamo insieme, era diverso. Adesso sono da solo. Ci sono a tempo pieno, nessun passo di lato. Vogliamo dimostrare che possiamo governare Torino, Roma, Palermo, Genova, Livorno anche con gli sbagli che abbiamo fatto. Questa storia ci serve e ci dà degli anticorpi»
Lo scorso gennaio Grillo aveva annunciato diverse volte un suo “passo di lato”, cioè un disimpegno dalla guida del Movimento 5 Stelle. Nello stesso periodo aveva nominato un direttorio formato da cinque parlamentari del Movimento incaricati di coordinarne l’attività. In seguito a una serie di problemi interni al Movimento, iniziati con la vittoria di Virginia Raggi, in molti avevano ipotizzato un suo ritorno alla politica e un depotenziamento del direttorio.

Meglio di Zucconi.


Italia 5 Stelle: a Palermo spuntano manifesti antigrillini

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Come riportato anche dal sito LiveSicilia.it, sono apparsi questa mattina a Palermo, nella zona del Foro Umberto I e nei pressi dello stadio Barbera, una dozzina di manifesti anonimi che prendono di mira il Movimento Cinque Stelle, proprio nel giorno in cui si apre la kermesse con Beppe Grillo e i deputati grillini.
Dopo ParmaBagheriaRoma a Palermo San Lorenzo non si festeggia più il 10 agosto ma il 24 settembre… Movimento cinque stelle CADENTI!”, recita il manifesto che riporta un logo del M5S da cui cadono le stelle e il nome del Movimento.
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E' inutile ripetersi all'infinito. Zucconi grandissimo e unico. Travaglio più che mediocre.


La corsa del gambero del M5S verso il proporzionale

ControVerso
Porcellum: il Parlamento italiano è illegittimo?
Certo i grillini sono fantastici. Chiedono il proporzionale e dichiarano che non si alleeranno mai con nessuno
 
I Cinquestelle sul proporzionale fanno solo da battistrada. Altri seguiranno. Certo i grillini sono fantastici. Chiedono il proporzionale e dichiarano che non si alleeranno mai con nessuno. Escluso quindi che possano raggiungere il 51% dei votanti è come se dicessero «mettetevi d’accordo fra di voi che noi restiamo a l l’opposizione tutta la vita. Da dove potremo passare il tempo a insultarvi senza alcuna responsabilità».
Una volta c’era la “conventio ad excludendum”nei confronti del PCI. I 5 Stelle sembra la vogliano imitare, ma al contrario. Facendo la conventio ad “auto excludendum”. Si mettono il veto da soli. Senza contare l’amore per le preferenze e la bocciatura della democrazia referendaria, che all’epoca, secondo il principio dell’1 che vale 1, bocciò le preferenze. Ma la voglia di proporzionale è forte. Perché il proporzionale ha due vantaggi evidenti.
Assicura un posto al sole praticamente a tutti e consegna a ciascuna forza un discreto potere di interdizione e di ricatto. Forse per questo i grillini sono favorevoli. Col proporzionale in effetti 1 vale 1.
Nel senso che anche se prendi il 40% dei voti devi metterti d’accordo con quello che ha preso il 2% e il Parlamento diventa un’enorme e continua stanza di compensazione. Ora che la democrazia debba essere rappresentativa della volontà popolare siamo tutti d’accordo. Ma essa deve anche produrre un sistema di governo efficace.
I paragoni con la prima Repubblica valgono assai poco. Perché non c’è più il PCI e la famosa conventio e perché il mondo si è messo a correre a velocità doppia. Anche i grillini corrono a velocità doppia. Ma nella direzione dei gamberi

«Il tesserino non serve a niente, il vero giornalismo si fa con coraggio e onestà»

Una chiacchierata con Claudio Fava, giornalista, politico, vice presidente della Commissione d'inchiesta sulla mafia e autore del libro Comprati e venduti (Add Editore), un viaggio nella storia torbida del giornalismo siciliano, tra editori senza scrupoli e piccoli grandi giornalisti abbandonati

AFP PHOTO / GIULIO NAPOLITANO

23 Settembre 2016 - 11:40
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“Non esiste luogo d'Europa i cui siano stati uccisi tanti giornalisti come in Sicilia. Otto in poco meno di vent'anni: tutti per mano mafiosa”. Inizia così, levandosi subito un bel macigno dalla scarpa e sbattendolo in faccia al lettore, l'ultimo pamphlet di Claudio Fava, giornalista e politico italiano, figlio di Giuseppe, detto Pippo, giornalista anche lui, ucciso da Cosa Nostra il 5 gennaio del 1984. pubblicato da Add Editore. A dire la verità già con la scelta del titolo — Comprati e venduti. Storie di giornalisti, editori, padrini e padroni — Fava non fa nulla per addolcire la pillola, un'amarissima pillola che in un centinaio scarso di pagine ci dà l'esatto sapore della solitudine di chi il lavoro del giornalista lo fa in terra di Mafia senza contratti e senza nemmeno l'ordine a riconoscerne la professionalità.
È un giornalismo difficile, pericoloso, che troppo spesso è costato la vita di chi lo ha portato avanti e che, anche ora che la Mafia ha smesso di uccidere, richiede troppo spesso a chi lo fa un prezzo altissimo: la solitudine, l'isolamento, la marginalità. Il viaggio in cui Fava accompagna il lettore, tra editori collusi senza scrupoli e giornalisti tanto impegnati quanto emarginati, non è né semplice né piacevole. Si parla di un giornalismo che è quasi sparito, seppellito dalle convenienze e dalla pavidità di alcuni, ma anche dalla cappa della cosiddetta Oggettività che qualcuno ha infilato a forza addosso a un mestiere che, al contrario, neutrale non è per niente.
Perché il giornalismo non può essere considerato neutrale?
Perché il giornalismo è un mestiere in cui ti devi schierare rispetto alla verità. Devi fare una scelta di campo, devi farlo con onestà intellettuale e devi saperlo che non sei mai al di sopra dei fatti che racconti».
Che significa?
«Che è sempre espressione di un tempo, di un luogo, di una società. Nessun giornalista si può considerare alla stregua di un notaio o di un passacarte. Le cose che scrivi passano per forza attraverso la tua esperienza, la tua vita. Purtroppo a volte l'errore di considerarlo un lavoro da amanuensi è stato fatto. È stato considerato un lavoro come tanti altri, rischiando di rimanere astratto, distante, privo di empatia e, in fondo, senza capire che spesso il nostro lavoro e i nostri racconti hanno una importanza sociale straordinaria. Certo, parlo soprattutto di luoghi e tempi in cui il giornalismo è stato di frontiera, ma vale per ogni campo.
Chi ha interesse a che sia considerato neutrale?
Chi ha paura della buona informazione, chi ha bisogno di avere intorno a sé un giornalismo impigrito, distratto, benedicente e benevolente. E quindi anche privo di autorevolezza. E non vuol dire per forza che ci debbano essere peccati da nascondere o segreti da tacere. Solo che ci sono dei contesti sociali, politici o civili in cui l'assenza di buona informazione è una garanzia di impunità a tutti i livelli. Per cui si lavora con meno controlli, con più spregiudicatezza. Ci sono campi in cui, in Italia, si costruiscono carriere senza doversi mostrare agli occhi dell'opinione pubblica. Per questo un giornalismo impigrito certamente fa comodo.
Quanto è pigro il giornalismo di oggi rispetto a quello di trent'anni fa?
Certamente di più. Un po' perché da parte dei giornalisti ho l'impressione che si sia perso il piacere dell'indagine, della scoperta e del racconto, anche perché l'informazione in tempo reale prodotta attraverso i nuovi media ha almeno in parte tolto ai lettori il vecchio gusto di un'informazione che non si fermava alla superficie delle cose, alla prima domanda, ma che voleva andare oltre. In parte anche perché in passato l'informazione si è nutrita di eventi emotivi che oggi mancano.
Dal suo libro emerge un mestiere diviso profondamente in due: da una parte i giornalisti inquadrati nelle redazioni, dall'altra i precari...
Sì, è così. Non è soltanto un problema di regole dell'Ordine o di regole d'ingaggio del mestiere, è anche un problema dei giornalisti. È innegabile infatti che quella parte di giornalisti che stanno dentro un sistema di riconoscimenti e di formalità si sentono di far parte di una casta. E lo dico venendo da questo mondo. In tanti considerano tutto ciò che sta fuori frutto di improvvisazione, precarietà e, per così dire, periferia della professione. Ma è proprio lì, nelle periferie dell'Italia e della professione stessa, che sta venendo il miglior giornalismo. Il miglior giornalismo oggi lo produce chi non ha un contratto sicuro in tasca, chi non ha quindici mensilità garantite. Lo produce gente che mette a rischio la propria faccia, la propria pelle, ma anche il proprio lavoro. Perché lavorare in stato di precarietà assoluta vuol dire non avere difese, vuol dire avere molte più difficoltà ad andare avanti. Ma spesso sono proprio questi giornalisti ad aver tirato fuori le storie più dure e dolorose.
Perché quasi tutte le vittime delle mafie di cui parla nel suo libro fanno parte di questa categoria?
Perché sono più deboli e più soli. Ma per essere un buon giornalista, per fare bene questo mestiere non occorrono tesserini rossi, né esami dell'ordine. Puoi essere un pessimo giornalista ed avere il tesserino da professionista e puoi essere uno straordinario narratore e cronista e non essere nemmeno iscritto all'albo.
Come Impastato e Rostagno?
Sì, ragazzi che sono stati uccisi perché facevano giornalismo di altissimo impatto, qualità e valore civile. Questo atteggiamento della mafia è anche un po' il segno della maturità dei nostri nemici, laggiù in Sicilia.
In che senso?
Nel senso che Cosa Nostra non si è mai posta il problema del fatto che chi scriveva fosse o meno iscritto all'ordine. Il problema è sempre stato se davano fastidio o meno. Per un assurdo e grottesco paradosso, quindi, ci sono giornalisti il cui valore è stato riconosciuto solo dopo il loro assassinio, come se il patentino glielo avesse dato la mafia uccidendoli.
Un giornalismo precario può essere libero?
Un giornalismo precario è un giornalismo a rischio, sia professionale che personale. Da un canto il bisogno di fatturare e di scrivere per guadagnare portano ad abbassare la qualità, a scrivere di più, peggio, e a non poter rischiare di pestare i piedi dei potenti. Dall'altra, il fatto di essere fondamentalmente da soli, espone certamente a pericoli più grossi. Se il prezzo di un giornalismo realmente libero è il fatto che sia un giornalismo senza padroni, ma anche senza soldi, allora forse è un prezzo troppo alto da pagare. Poi, chiariamo, esistono anche grandi storie di giornalismo che non sono corsare e precarie, ma sono sempre di meno. È per questo che in commissione antimafia ci stiamo battendo da anni per rendere più tutelata la figura del freelance.
In parlamento c'è la volontà effettiva di cambiare lo stato della professione?
Direi che in parlamento c'è una buona sensibilità, ma non posso dire che ci sia una straordinaria volontà a cambiare la situazione.
Perché?
Perché, in fondo, alla politica fa comodo una stampa di questo tipo. Perché consente di non sentire il suo fiato sul collo troppo spesso.
L'ultimo giornalista ucciso dalla mafia che lei cita nel libro è Beppe Alfano, morto l'8 gennaio del 1993. Non ce ne sono stati altri nel frattempo? Significa che la mafia ha cambiato strategia o che il giornalismo non le dà più alcun fastidio?
Il giornalismo c'è. Ce ne sono tanti di giornalisti che, anche contro le difficoltà di cui abbiamo parlato prima, continuano a fare egregiamente il lavoro di quelli che non ci sono più. È la mafia che ha cambiato strategia. Ha capito che il prezzo che ha pagato per aver ucciso magistrati, politici e giornalisti è stato troppo alto in confronto ai benefici. Ora cerca vie diverse, che non è detto che siano meno dolorose degli omicidi
Perché ci ricordiamo di coloro che combattono la mafia quando quando sono morti e li lasciamo soli da vivi?
È più semplice parlare dei morti. Perché parlare di vivi significa anche esporsi e parlare di se stessi. I morti fanno meno male. I martiri fanno più comodo degli eroi.

M5s, la trasformazione da Imola a Palermo

Tutto pronto per la convention siciliana. Dopo le faide, gli scivoloni, le liti, il M5s fa un passo indietro. Archivia la linea di Di Maio e spera nel potere del Vaffa.

24 Settembre 2016
Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio.
(© Imagoeconomica) Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio.
«Non passiamo il testimone a nessuno», disse Gianroberto Casaleggio. «Perché candidare gente per mezzo della tivù? Senza di me non eravate niente, siete dei miracolati», gli fece eco Grillo rivolto alle 'pentastar' riunite intorno a Luigi Di Maio.
Era il 19 ottobre scorso, alla chiusura della Festa M5s di Imola.
LA PROFEZIA DI IMOLA. È passato un anno e quelle parole, che allora parevano boutade sibilline e battute da cabaret, assumono ora un significato più circoscritto, quasi profetico.
Le carte sul tavolo pentastellato, i rapporti di forza e le faide, sono cambiati. O, meglio, sono venuti alla luce grazie alla cartina di tornasole del caos romano.
La Capitale che un anno fa doveva essere una delle tappe della corsa stellata e la dimostrazione che il Movimento era diventato grande abbastanza per ambire con credibilità a Palazzo Chigi si è trasformata nella forza e insieme nella debolezza dei cinque stelle.

Palermo, festa a rischio gelata

Beppe Grillo e Luigi Di Maio.
(© Ansa) Beppe Grillo e Luigi Di Maio.
Ora il palcoscenico si sposta a Palermo per la due giorni di dibattiti, tavole rotonde e gazebo. Una festa a metà, però.
Le cronache raccontano di un Beppe Grillo sempre più isolato, tenuto all'oscuro dal Direttorio.
DIRETTORIO SPACCATO. Solo Carla Ruocco e Roberto Fico sono rimasti fedeli allo spirito delle origini. Difficile immaginarli sul palco abbracciati a Di Maio e Alessandro Di Battista.
E che dire di Paola Taverna e Roberta Lombardi, le due sabotatrici di Virginia Raggi? L'ex Faraona ha addirittura lasciato il mini-direttorio capitolino per dedicarsi, questa la spiegazione ufficiale, proprio all'organizzazione della manifestazione siciliana. Mentre la sindaca di Roma ha scelto di rinviare di un giorno la sua partecipazione alla kermesse, trattenuta nella capitale dal crollo di una palazzina a Ponte Milvio.
Beppe Grillo e Davide Casaleggio sono presenti. Anche se tra i due, come svelato dal libro Supernova di Marco Canestrari e Nicola Biondo, i rapporti non sarebbero idilliaci. Anzi.
LA RESISTENZA DI BEPPE. Il comico per ora non molla. Resta sempre proprietario del simbolo. E non intende abdicare ai nuovi capetti che, tra l'altro, stanno perdendo smalto.
Di Maio, leader in pectore acclamato dalla folla ai funerali di Casaleggio, dopo le mail non comprese, i silenzi sull'affaire Muraro e le confusioni tra Cile e Venezuela si è indebolito. A favore, apparente, di Di Battista che sta raccogliendo i frutti del suo movimentismo per il No al referendum costituzionale.

Pizzarotti e le altre grane locali

Imola non è stata l'ultima festa solo per Gianroberto Casaleggio, ma anche per Federico Pizzarotti.
Sospeso e dimenticato (volontariamente), il sindaco di Parma su Facebook ha lanciato l'ennesimo J'accuse.
IL J'ACCUSE DI PARMA. «I vertici del Movimento hanno negato a Parma, ai suoi consiglieri comunali e agli attivisti la possibilità di installare il gazebo informativo, al contrario di quello che è avvenuto nelle edizioni precedenti», ha scritto venerdì. «Il gazebo non è soltanto un tendone e quattro aste, ma rappresenta e simboleggia l’esistenza del Movimento 5 Stelle nei vari territori».
Poi l'affondo: «Non si rispettano le poche regole che ci sono, mentre alcune vengono palesemente inventate per far fuori chi non è allineato. L’indifferenza non rende piccolo chi la subisce, ma chi la attua. Per quanto mi riguarda, e al contrario dei vertici, io posso guardare le persone negli occhi senza provare vergogna».
In molti tra gli ex e gli espulsi sperano in una mossa del sindaco. Sono pronti, almeno a parole, a seguirlo in una nuova impresa politica.
Lo stesso Pizzarotti accarezza l'idea di una sua candidatura anti-Di Maio. Ma in ballo ci soino le Amministrative a Parma, e l'ipotesi di ripresentarsi in caso di espulsione con una lista civica resta in piedi.


In questo anno, poi, il Movimento è scivolato maldestramente sul caso Quarto e si è riscoperto improvvisamente garantista a Livorno. Due pesi e due misure che hanno disturbato la fetta più ortodossa degli attivisti.
Ha dovuto poi riammettere, previa sentenza, una piccola frotta di espulsi a Napoli e Roma.
LA PROMESSA TRADITA. E rivedere la scelta online dei candidati sindaco promessa dallo stesso Casaleggio a Imola. «A ridosso delle elezioni, anche quelle Comunali, saranno gli iscritti a decidere i candidati con le votazioni online», aveva detto il fondatore-ideologo.
Così non è stato. A Torino, Chiara Appendino è stata proclamata senza consultazioni. A Bologna, il fedelissimo Max Bugani invece è stato calato dall'alto e dopo non aver centrato l'obiettivo del ballottaggio col Pd nominato nella dirigenza di Rousseau. A Milano, le primarie cartacee effettuate col metodo Condorcet che avevano incoronato la sconosciuta Patrizia Bedori sono state stravolte dopo il passo di lato della candidata a favore, tra mille polemiche, di Gianluca Corrado che col suo 10% non  è riuscito a sfondare. A Napoli, il monzese Matteo Brambilla ha fatto flop.
IL CAOS DI ROMA. Ma è a Roma, come prevedibile, che sono puntati i riflettori.
A quasi tre mesi dalla sua proclamazione, Raggi è ancora in cerca di due assessori: alle Partecipate e al Bilancio, dopo le dimissioni di Marcello Minenna (voluto da Di Maio) e dell'ex procuratore regionale della Corte dei Conti Raffaele De Dominicis.
Il no alla candidatura alle Olimpiadi del 2024, ma soprattutto lo sgarbo istituzionale con i vertici Coni rientrerebbero nell'operazione di restaurazione pentastellata.
Ritorno alle origini, insomma, al Vaffa perduto dopo il feeling con lobbisti e poteri forti portato avanti da Di Maio. L'obiettivo è recuperare consensi, dare un segnale agli attivisti duri e puri. Fare dimenticare il polverone suscitato dalla nomina di Paola Muraro e dall'avviso di garanzia. E archiviare, almeeno per il momento, la rivoluzione normalizzatrice di Di Maio.
L'«onestà-onestà-onestà» e l'attacco al Pd renziano al momento devono bastare come assicurazione per il popolo pentastellato.
Se a Imola la parola d'ordine era siamo pronti a comandare, oggi l'aria sembra cambiata.
Il rilancio in questi giorni del sistema proporzionale contro l'Italicum, viatico per un'eventuale vittoria del Movimento alle urne, può essere un indizio. E il dubbio a pensar male viene: paura di vincere?



Twitter. @franzic76

dipocheparole     venerdì 27 ottobre 2017 20:42  82 Facebook Twitter Google Filippo Nogarin indagato e...