sabato 18 febbraio 2017

Il grande Travaglio a febbraio del 2016. Proprio coerente!!!!!!


giovedì 18 febbraio 2016

Travaglio e quel “testimone” preso da Berlusconi 

Il Fattone
Antonio_Ingroia_1
Il Fatto Quotidiano, ex organo della Procure arrembanti, ora si scaglia contro la magistratura 
 
Da quando Silvio Berlusconi s’è dato una calmata, limitando gli attacchi alla magistratura al minimo sindacale, Marco Travaglio ne ha raccolto il testimone. Ormai nella sacrosanta battaglia contro le toghe rosse, anzi rosa, anzi renziane, c’è in prima fila il Fatto: a riprova del ben noto fenomeno dell’epurazione dei puri ad opera dei più puri.
Ieri il direttore dell’ormai ex organo della Procure arrembanti si era scagliato nel suo editoriale contro “la magistratura che ha deciso di collaborare festosamente con i politici a nascondere le loro vergogne”. Sul banco degli imputati il procuratore di Torino, Armando Spataro, reo di aver diramato una circolare in cui invita i suoi sostituti a chiedere al giudice la distruzione delle intercettazioni irrilevanti e che violano la privacy dell’imputato, previa visione da parte dei difensori. Difficile immaginare qualcosa di più ovvio in uno stato di diritto: ma nello stato di polizia vagheggiato da Travaglio si tratta di una resa incondizionata alla criminalità.
Oggi tocca al prode Antonio Ingroia, reduce dai grandi successi riscossi in magistratura (il 30 luglio 2013 il Csm all’unanimità lo ha dichiarato decaduto “per essere rimasto assente dall’ufficio ingiustificatamente per un periodo superiore ai 15 giorni”), in politica (2,2% alle ultime elezioni) e in Sicilia (è sotto inchiesta per 75 assunzioni irregolari a “Sicilia e-Servizi”, di cui è amministratore su nomina di Crocetta). Chi pensava che la Santanché fosse una belva pronta a sbranare chiunque difendesse i giudici, deve oggi ricredersi: la Pitonessa è un agnellino al confronto del prode Ingroia.
Sentite che cosa scrive il Santanché di Travaglio: “Possibile che dove non è riuscita la politica riesca la magistratura con atti di autocensura?”. E poi:“La magistratura, dopo anni di resistenza costituzionale, è diventata più conformista e omologata”. E ancora: “Sembrerebbe che il Partito della Nazione abbia occupato i vertici delle Procure di mezz’Italia. Come se la magistratura più irriducibile si fosse consegnata al ‘nemico’”. Che sarebbe poi la Repubblica italiana, il suo governo e il Parlamento democraticamente eletto che lo sostiene. Aridatece Berlusconi.

venerdì 17 febbraio 2017

Video da vedere integralmente per comprendere la completa incapacità politica di Speranza.

Morvillo : SMS Di Maio manipolato dalla Raggi e girato a Marra , non m...

Morvillo : SMS Di Maio manipolato dalla Raggi e girato a Marra , non m...

Una vera vergogna queste mezze tacche politiche grilline. Non è colpa loro. Non sia arrivano proprio.

Patatone Di Maio , il taglia cuci lo ha fatto la Raggi non i giornalist...

Fake news 5 stelle : la Lezzi stavolta la spara grossa

Onorato smonta punto per punto i successi bufala che i 5 stelle sono co...

Crisi di nervi della casaleggese allo psico raduno 5 stelle pro Raggi al... Questi sono gli elettori del M5S. Altro che giovani. Tutti vecchi.

Gianrusso dove lo mettiamo in un governo? Agli esteri?

Fassino sempre corretto e grande politico. ma come hanno fatto i torinesi a votare una mezza cartuccia politica rispetto allo spessore politico di Fassino?

Piero Fassino, lettera a Pierluigi Bersani: "Fermatevi anche voi, nessuno ci perdonerebbe una scissione nel Pd "

Pubblicato: Aggiornato: 
PIERO FASSINO
Stampa
Ho letto, Pierluigi, la tua lettera all'Huffington Post, che riprende e argomenta temi da te già espressi nella riunione della Direzione del Pd e con cui è giusto fare i conti, perché evidenziano questioni vere che nessuno può eludere.
Il confronto tra noi è reso più necessario per la lunga comune storia che ci ha visto camminare insieme per tanti anni e, in particolare, nei sette anni in cui sei stato al mio fianco nella guida dei Ds e poi negli anni della tua segreteria a capo del Pd. Insieme abbiamo concorso con Romano Prodi a creare l'Ulivo. Insieme abbiamo guidato i Ds a fondare il Partito Democratico. Vi sono dunque buone ragioni perché noi si agisca per evitare scelte da cui né l'Italia, né il Pd trarrebbero beneficio
Vengo ai tuoi argomenti.
Giustamente sottolinei quanto stia mutando il mondo intorno a noi, richiamando la necessità di non affrontare sfide nuove con arnesi vecchi. Tanto più quando le sirene del populismo penetrano con le loro melodie narcotizzanti anche nei territori sociali storicamente rappresentati dalla sinistra. Condivido, ma se c'è una cosa che non può essere rimproverata a Renzi è di avere nostalgie per il passato. Se mai dubbi sono stati sollevati sulla radicalità della sua carica riformatrice. E quando dici che occorre correggere le riforme fatte in questi ultimi anni, vorrei capire in che direzione. Tu da ministro hai messo in campo riforme e sai quanto ogni cambiamento si scontri con interessi radicati, abitudini consolidate, rendite di posizione, istinti corporativi. Nessuna riforma è indolore e sempre suscita resistenze. Talora giustificate da limiti di impostazione o di applicazione (che vanno corretti), ma spesso no. Per stare ad un passaggio travagliato degli scorsi mesi, la riforma della scuola, mi chiedo: ma se da vent'anni ogni riforma della scuola - da qualsiasi governo e da qualsiasi ministro sia proposta - viene sempre contestata, è solo per limiti di quelle riforme o c'è quella che Steinmeier - un socialdemocratico che le riforme le ha fatte - ha definito "l'insofferenza alla riformabilità"? E questo non richiama la necessità di perseguire con chiarezza una strategia riformista, facendola crescere ogni giorno e rifiutando la comoda scorciatoia di assecondare ogni resistenza al cambiamento in nome di un consenso che, se fondato sulla conservazione, va nella direzione opposta a una politica di giustizia e di progresso?
Ancora richiami la necessità di non smarrire le radici popolari, uliviste e plurali con cui nacque il Pd. Essendo stato il segretario dei Ds che ha guidato quel partito alla costruzione del Pd, non posso che essere d'accordo. Ma anche in questo caso guardiamo a quel che è successo nel sistema politico italiano, investito in pochi anni da una crisi che ha travolto gran parte delle formazioni politiche che si collocavano nel centrosinistra. Io non ho mai creduto che la vocazione maggioritaria volesse dire autosufficienza. Così come non ho mai creduto che il bipolarismo - per il quale abbiamo lavorato per anni - significasse bipartitismo. In tutta Europa il bipolarismo è di coalizioni, incardinate su un partito "maggioritario" affiancato da alleati. È così non può che essere anche in Italia. Ma questo richiede un percorso di ricostruzione politica che sarà tanto più possibile in quanto esista un Pd forte. Con Pd mutilato da una scissione anche la costruzione di un'alleanza di centrosinistra sarebbe assai più difficile.
E vengo al Congresso. Condivido che ce ne sia bisogno e sia di vera discussione. Peraltro tu ed io di Congressi ne abbiamo fatti molti. E sappiamo che Congressi finti non esistono, per la semplice ragione che ogni Congresso mobilita centinaia di migliaia di persone che vi partecipano con generosità, idee, proposte. Un Congresso non si esaurisce nei suoi riti formali o burocratici, ma vive dei sentimenti, delle emozioni, delle passioni di chi vi partecipa. Ai Congressi si sviluppa una discussione e un confronto che coinvolgono non solo iscritti e militanti, ma i tanti mondi della società civile, quel "civismo" a cui giustamente tu spesso ti richiami. E sarà così anche per questo Congresso, in qualsiasi tempo lo si svolga. Nessuno ha davvero interesse a "strozzare" la discussione. Ma anche in politica il tempo conta. E avendo di fronte a noi scadenze impegnative - il referendum su voucher e appalti, le elezioni amministrative, la legge di stabilità per il 2018 - mi chiedo: serve un Congresso che si svolga "dopo" che tutto è avvenuto o non è indispensabile una messa a punto di linea e di strategia prima di quelle scadenze? E comunque, poiché siamo tutti interessati a svolgere il Congresso, davvero è impossibile convenire su un percorso congressuale condiviso?
In ogni caso una diversa valutazione sui tempi congressuali e anche le critiche che, del tutto legittimamente, possono essere avanzate all'attuale conduzione del Pd, giustificano un atto di così radicale e irreversibile rottura quale una scissione? Non ti sfuggono certamente le conseguenze: mutilato di una sua parte il Pd è più debole; si precarizza il governo e la sua maggioranza (proprio mentre si dice che li si vuole rafforzare); si rende più difficile la costruzione di un campo di centrosinistra; si offre alla destra e a M5S la opportunità di vincere i prossimi appuntamenti elettorali. E se guardiamo a ciò che accade in Europa, un scissione del Pd rappresenterebbe un altro duro colpo ad un campo progressista in forte affanno in tutto il continente. Ma soprattutto si compromette irrimediabilmente l'unico progetto politico in grado di dare all'Italia un futuro. Un progetto su cui abbiamo investito per vent'anni il destino delle forze progressiste e che oggi rischia di dissolversi, consegnando l'Italia a forze che non hanno né progetto, né classe dirigente. 
Nessuno, nessuno davvero ci perdonerà di aver deluso e tradito le speranze di quei tanti italiani che hanno creduto nella possibilità di fare dell'Italia un Paese più moderno e più giusto. E allora il tuo appello "fermatevi", vale anche per chi pensa che la scissione sia ormai inevitabile. Nulla è inevitabile. Di ogni scelta solo noi siamo arbitri e artefici. E pur se i margini sono stretti abbiamo il dovere politico - e anche morale - di verificare se c'è ancora una strada. E se c'è di percorrerla senza reticenze e con determinazione. E questa, per tutti, è l'ora della responsabilità: verso l'Italia che non merita di essere gettata nel baratro e verso la nostra gente che in queste ore, con angoscia, ci chiede unita'.

Stadio Roma, M5S diviso. Lombardi: «No a questo progetto». Grillo: «Non decidono i parlamentari»

stadio roma

Ancora un botta e risposta tra pentastellati

L’ennesima prova della frattura interna al Movimento 5 Stelle sul nuovo stadio della Roma arriva dalle ultime dichiarazioni di alcuni tra i massimi esponenti del partito di Beppe Grillo. Emergono due linee diverse: da una parte c’è chi boccia il progetto attuale, dall’altra chi difende le scelte del Campidoglio e preferisce dare tempo per ogni valutazione alla giunta guidata dalla sindaca Virginia Raggi.

PUBBLICITÀ

LEGGI ANCHE > Virginia Raggi e il complotto di Salvatore Romeo contro di lei



STADIO ROMA, LOMBARDI: «COLATA DI CEMENTO, NO A QUESTO PROGETTO»

«Questo – ha scritto stamattina la deputata Roberta Lombardi su Facebook sposando le istanze avanzate dall’ex assessore all’Urbanistica Paolo Berdini – non è un progetto per la realizzazione di uno stadio, questo è un piano di speculazione immobiliare che una società statunitense vuole portare avanti ad ogni costo in deroga al nostro piano regolatore, nell’esclusivo interesse di fare profitto sulle nostre spalle». Lombardi parla dunque di progetto «non realizzabile». Il M5S «non può permetterlo», dice riferendosi alla «speculazione». «Per anni – spiega ancora la parlamentare – i costruttori a Roma hanno fatto così: compravano terreni e poi si accomodavano le destinazioni, rendendole edificabili, grazie alla compiacenza della politica».

STADIO ROMA, LOMBARDI: «DECIDONO GIUNTA E CONSIGLIERI»

«Sullo stadio della Roma – ha scritto invece Beppe Grillo in un post scriptum rispondendo alla denuncia della Lombardi – decidono la Giunta e i consiglieri. I parlamentari pensino al loro lavoro».
Già ieri il blog del leader aveva zittito il coordinatore del tavolo urbanistica del M5S Roma, Francesco Sanvitto, anche lui favorevole ad un annullamento della delibera comunale che sancisce il pubblico interesse per il progetto dello stadio. «Per le questioni inerenti le amministrazioni guidate dal Movimento 5 Stelle – scriveva il sito del comico genovese – gli unici titolati a parlare, in nome e per conto del M5S, sono gli eletti. Chiunque altro si esprime solo a titolo personale e come tale devono essere prese le sue dichiarazioni». Sanvitto aveva preannunciato per il 21 febbraio una lettera alla sindaca Virginia Raggi a nome del coordinamento romano per chiederle l’annullamento della delibera.
(Foto: ANSA / GIUSEPPE LAMI)

Vengo dal PCI di Berlinguer: sono per la scissione, via loro, Renzi mi dà una speranza

Riceviamo e volentieri pubblichiamo alla vigilia della fuoriuscita della minoranza Pd, la testimonianza di un iscritto che viene da lontano. 
Portos - Franco Portinari www.portoscomic.org




Dico la mia perché un battito d'ali di una farfalla, con i relativi spostamenti d'aria, può provocare un uragano in un'altra parte della terra.

Vengo dal PCI di Berlinguer. Vengo da tempi in cui non potevi andare in chiesa per il tuo funerale perché scomunicato, eri segnalato nei servizi segreti come comunista, anche senza Trump, dovevi avere il visto per andare negli Stati Uniti.

Dopo Berlinguer in questo partito é successo di tutto, nel bene e nel male, ed io non mi sono più tesserato. Sono arrivati tangentopoli, Berlusconi, nuovi nomi dl partito (PDS, DS, PD) ma la sostanza era sempre quella: incapacità di vedere il futuro. Finalmente arrivò una persona che convinse, Walter Veltroni, 3.500.000 voti alle primarie. 


Povero Walter, spazzato via dai soliti, entro poco tempo, fagocitato per impedire i cambiamenti e quindi salvare gli interessi di una casta ormai consolidata. Siamo ai giorni nostri, abbiamo finalmente una persona che entusiasma, che fa sperare, onesta e capace, anche se poco riguardosa per il " vecchio". 

É cominciata la solita guerra per preservare i privilegi, il tiro al piccione, conflitto esasperato dal "via lui o andiamo via noi". Per questo sono per la scissione, via loro, lui mi dà una speranza.
 

Dopo tanti anni, come Rondolino, mi sono ritesserato al Partito per non lasciare nulla d'intentato.

Giorgio Marchesini 

La storia dell'(eco)mostro e il bacio della principessa Virginia

Roma
113909998-fbab26e2-e46d-48b4-8008-f236705cb61b
La sindaca Raggi si ascrive il merito di aver migliorato il progetto. Le cose non stanno affatto così, anzi
 
Mostri orripilanti che diventano improvvisamente bellissimi principi. Accade anche questo nel fantastico mondo a cinque stelle. Un ecomostro, addirittura un “pericolo” per l’incolumità pubblica tale da dover ricorre alla Procura della Repubblica, “la più grande speculazione edilizia in Europa” che diventa nell’arco di pochi giorni un meraviglioso progetto ecosostenibile, perfettamente in linea con le regole urbanistiche, ecologicamente immacolato, esempio di buona architettura. È quanto è accaduto allo Stadio della Roma che, una volta baciato dalla Principessa Virginia, ha cambiato natura.
La sindaca Raggi si ascrive il merito di aver migliorato il progetto. Le cose non stanno affatto così, anzi, alcune richieste di ulteriori modifiche, come la cancellazione di alcune opere pubbliche previste, lo peggiorerebbero. La verità è un’altra, come ha ricordato oggi su Repubblica l’ex-sindaco Ignazio Marino: il progetto dello Stadio era già stato reso assolutamente compatibile sia dal punto di vista ambientale che urbanistico grazie al lavoro svolto dalla giunta Marino che impose ai proponenti l’onere di circa 400 milioni di interventi in infrastrutture pubbliche, soprattutto trasportistiche, che serviranno lo stadio ma che miglioreranno tutta la viabilità di quel quadrante di città, come nel caso delle risorse da investire sui treni della Roma-Lido; oppure gli investimenti per eliminare il rischio esondazione cui è esposta l’intera zona. O il grande parco fluviale. Tutti investimenti che riqualificheranno quel pezzo di città e che il Comune non avrebbe mai potuto fare. In cambio il privato può edificare cubature che vanno al di là delle previsioni del piano regolatore, per costruire sia strutture legate allo stadio sia uffici. Non edilizia residenziale dunque. I famosi ecomostri sarebbero le tre torri, tre grattacieli, disegnati da Libeskind, uno dei più grandi architetti del mondo.
Quindi il Mostro è diventato principe perché ha perso il 20% delle cubature. Questa è una barzelletta che, giustamente dal loro punto di vista, i talebani alla Berdini non mandano giù: se era Mostro tale rimane; se non lo è non è grazie a interventi dell’ultima ora, ma perché non lo era neppure prima, quando Virginia Raggi si opponeva in Consiglio Comunale e presentava esposti in Procura con il pieno sostegno di Beppe Grillo. Dire il contrario è solo una presa in giro. 
Dal suo punto di vista ha perfettamente ragione a protestare l’ormai ex-assessore Paolo Berdini: le modifiche apportate sono veramente minime. Secondo l’accordo che sarebbe stato raggiunto in Campidoglio i tre grattacieli che dovrebbero ospitare uffici, definiti gli eco-mostri da Virginia nella sua vita precedente, resteranno ma perdendo qualche piano, sicché si avrà una riduzione delle cubature di circa il 20%. Si dice poi che vengono introdotti nuovi sistemi di costruzione ecosostenibili ma anche in questo caso non è una novità arrivata adesso per la pressione della nuova giunta: è una caratteristica di tutti i progetti del costruttore Luca Parnasi, compreso questo.
Il piccolo problema è che la giunta Raggi non se la caverà con l’accordo raggiunto nel chiuso di una stanza, grazie alla mediazione di un avvocato genovese che ha scavalcato gli uffici comunali su incarico (di che tipo?) della sindaca.
Infatti ora sono necessari passi ufficiali che andranno compiuti entro il 3 marzo, data nella quale si riunisce la conferenza dei servizi che dovrà dire l’ultima parola. Il primo dei quali è il ritiro del parere negativo formulato dagli uffici di Berdini. Il secondo è il passaggio in consiglio comunale dove la maggioranza pentastellata dovrebbe approvare una variante del piano regolatore che aveva descritto come la sentina di tutti i mali e che è stata resa solo leggermente meno pesante dal punto di vista delle cubature edificabili.
E infatti l’ala dura e pura del movimento, guidata dal martire Berdini, promette battaglia durissima, fino ai ricorsi in tribunale. In un anno che è praticamente una campagna elettorale permanente possono Grillo e i suoi reggere l’accusa, già chiaramente contenuta nelle parole di Berdini, di Enzo Scandurra e di Francesco Sanvitto, responsabile del tavolo sull’urbanistica del meet-up romano, di essere diventati gli amici dei palazzinari? Potranno sopportare le manifestazioni (ieri ce n’è stata una e un’altra è convocata per martedì) contro la “colata di cemento”? E infatti ora si affaccia l’ipotesi che potrebbero essere chieste ulteriori riduzioni delle cubature, fino al 50%, il che farebbe venire venir meno la sostenibilità economica di tutta l’operazione e spingerebbe Parnasi e la Roma a intentare proprio quella causa milionaria (resa possibile dal fatto che il Campidoglio verrebbe meno agli impegni presi) che la sindaca agita come spauracchio per convincere i suoi a ingoiare il rospo fingendo che sia un Principe. Senza contare il fatto che qualora, per compensare i minori spazi di business derivanti dalla diminuzione delle cubature, dovessero essere cancellate talune opere pubbliche  a carico del privato, come hanno ricordato ieri sia Marino che l’ex-assessore all’urbanistica della sua giunta, Giovanni Caudo, cadrebbe la qualifica di interesse pubblico che è legato alla realizzazione di tutte quelle opere: simul stabunt, simul cadent. E quindi l’iter dovrebbe ricominciare da capo.
Ecco perché sulla tranquilla conclusione dell’iter in questo momento non c’è alcuna certezza.

Travaglio peggiora giorno dopo giorno. Il giornalista più conformista mai vissuto in Italia.

Repubblica all'attacco del direttore del Fatto e del sito, che avrebbe "alimentato un sabba di odio on line" nei confronti dei giornalisti. Travaglio ricorda il "Molto fetore per nulla di ieri". Riparte la rissa?
ALESSANDRO D'AMATO
Nel 2008 una lite sanguinaria tra Giuseppe D’Avanzo e Marco Travaglio fece sorridere e insegnò tantissimo ai giornalisti italiani. Quel “Ciuro che non te lo spiego più” che concluse il dibattito non faceva certo pensare a una recrudescenza, eppure Carlo Bonini, che di D’Avanzo fu collaboratore e insieme firmarono grandissime inchieste che segnarono quel decennio, oggi torna sulla vicenda Di Maio per attaccare proprio Travaglio, il quale, invece, va all’attacco di Repubblica sul Fatto. Sarà il preludio di una nuova spremuta di sangue con lezioni deontologiche certo più preziose di un corso di giornalismo dell’Ordine? Intanto leggiamo Bonini, che ricorda come, dopo lo scambio di sms tra Di Maio e Raggi e dopo la risposta della procura sulle indagini su Marra (Pignatone, alla richiesta del comune, replicò che non c’era nulla di cui si potesse dare conto: formula ambigua che poteva prefigurare anche la presenza di indagini coperte da segreto istruttorio), il MoVimento 5 Stelle non fece nulla per spostare Marra anche perché c’era chi lo difendeva a spada tratta:
Di più, a settembre, dopo l’inchiesta con cui il settimanale l’Espresso, a firma Emiliano Fittipaldi (anche di lui Di Maio ha chiesto il processo disciplinare all’Ordine), svela la vicenda della casa di Marra acquistata a prezzo di favore dal costruttore Scarpellini (circostanza che lo porterà in carcere il 16 dicembre successivo per corruzione), Marra viene promosso a capo del Personale del Campidoglio. Un incarico nevralgico nella vita dell’amministrazione.
Benedetto da una narrazione, allora, come oggi, identica a se stessa, per la quale arriva in soccorso Marco Travaglio, direttore del Fatto, che scrive: «Marra invece è incensurato, e questo forse è il problema: però il Messaggero assicura che, siccome comprò casa dal costruttore Scarpellini allo stesso prezzo stimato da una perizia della banca Barclays che gli erogò il mutuo, senza mai firmare un atto riguardante Scarpellini (all’epoca si occupava di incremento delle razze equine), “la Procura sembra voler fare chiarezza”. Ergo, è il mostro di Lochness». Sappiamo come è andata.
marco travaglio carlo bonini
L’accusa di Bonini, che in un altro punto dell’articolo sostiene che la risposta di Grillo ha animato “un sabba di odio online alimentato per l’intera giornata dal sito del Fatto Quotidiano” (diretto da Peter Gomez) viene in un certo modo rintuzzata proprio da Travaglionell’editoriale di oggi intitolato “Molto fetore per nulla”, dove prima si segnala en passant che l’indagine su Marra è iniziata a novembre – e quindi la risposta di Pignatone non sottintendeva nessuna indagine coperta da segreto istruttorio – e poi si va all’attacco di Corriere, Messaggero e Repubblica:
Ma, oltre alle false deduzione, c’è di più e di peggio: la manipolazione dei messaggi di Di Maio alla Raggi. Un taglia e cuci che si spera sia opera della fonte avvelenata, e non dei giornalisti che se la sono bevuta senza verificarla. Basta leggerli completi, i messaggi, per capire che Di Maio sta dicendo in privato ciò che ha sempre detto in pubblico. Di Maio a Raggi: “Pignatone cosa ti ha detto dopo che gli hai inoltrato il suo nominativo (di Marra,ndr)?In ogni caso nella riunione con me, Marra non mi ha mai chiesto se andare in aspettativa o meno. Semplicemente mi ha raccontato i fatti. Io l’ho ascoltato. Perché tu me lo avevi chiesto. Sono rimasto a tua disposizione non sua. E penso che nel gabinetto non possa stare, perché ci eravamo accordati così”. Raggi a Di Maio: “Pignatone mi risponderà quanto prima…”. Di Maio a Raggi: “Quanto alle ragioni di Marra. Aspettiamo Pignatone. Poi insieme allo staff decidete/ decidiamo. Lui non si senta umiliato. È un servitore dello Stato. Sui miei il Movimento fa accertamenti ogni mese. L’importante è non trovare nulla”.
Traduzione: Di Maio voleva Marra fuori dal gabinetto della sindaca e si informava sulle verifiche della Raggi in Procura sull’illibatezza penale dei suoi. Risultato: chi era partito per suonare è finito suonato, come i pifferi di montagna. Perché alla fine della storiaccia resta un solo dato: i pasticcioni a 5Stelle, quando fanno una nomina, non si accontentano della fedina penale pulita del candidato, ma vogliono pure esser sicuri che non sia indagato. Il che, vedi il successivo arresto di Marra, non li mette al riparo dai guai. Ma, nel Paese dove il governo conferma un ministro e quattro sottosegretari indagati o imputati, è già qualcosa.
C’è da segnalare che Travaglio continua ad accusare i colleghi di aver manipolato i messaggi di Di Maio quando è stato spiegato ieri, ma era evidente fin dall’inizio, che il messaggio era stato “trovato” nel cellulare (o per meglio dire: dato dall’avvocato) di Raffaele Marra. Non solo: nell’articolo di Lillo e Pacelli pubblicato sul Fatto questa versione è confermata, visto che scrivono: “Versione smentita dal messaggio pubblicato, secondo i quotidiani di ieri. Versione confermata invece dall’intera chat pubblicata dal blog M5S e ignorata, va detto, dai tre quotidiani perché non girata dalla Raggi allora a Marra, Frongia e Romeo”. Forse Travaglio non legge il Fatto? Visto il carattere leggermente incazzoso dei protagonisti questo potrebbe costituire la scintilla che fa scattare una nuova guerra. Preparate i popcorn.

dipocheparole     venerdì 27 ottobre 2017 20:42  82 Facebook Twitter Google Filippo Nogarin indagato e...