Ho letto, Pierluigi,
la tua lettera all'Huffington Post, che riprende e argomenta temi da te già espressi nella riunione della Direzione del Pd e con cui è giusto fare i conti, perché evidenziano questioni vere che nessuno può eludere.
Il confronto tra noi è reso più necessario per la lunga comune storia che ci ha visto camminare insieme per tanti anni e, in particolare, nei sette anni in cui sei stato al mio fianco nella guida dei Ds e poi negli anni della tua segreteria a capo del Pd. Insieme abbiamo concorso con Romano Prodi a creare l'Ulivo. Insieme abbiamo guidato i Ds a fondare il Partito Democratico. Vi sono dunque buone ragioni perché noi si agisca per evitare scelte da cui né l'Italia, né il Pd trarrebbero beneficio
Vengo ai tuoi argomenti.
Giustamente sottolinei quanto stia mutando il mondo intorno a noi, richiamando la necessità di non affrontare sfide nuove con arnesi vecchi. Tanto più quando le sirene del populismo penetrano con le loro melodie narcotizzanti anche nei territori sociali storicamente rappresentati dalla sinistra. Condivido, ma se c'è una cosa che non può essere rimproverata a Renzi è di avere nostalgie per il passato. Se mai dubbi sono stati sollevati sulla radicalità della sua carica riformatrice. E quando dici che occorre correggere le riforme fatte in questi ultimi anni, vorrei capire in che direzione. Tu da ministro hai messo in campo riforme e sai quanto ogni cambiamento si scontri con interessi radicati, abitudini consolidate, rendite di posizione, istinti corporativi. Nessuna riforma è indolore e sempre suscita resistenze. Talora giustificate da limiti di impostazione o di applicazione (che vanno corretti), ma spesso no. Per stare ad un passaggio travagliato degli scorsi mesi, la riforma della scuola, mi chiedo: ma se da vent'anni ogni riforma della scuola - da qualsiasi governo e da qualsiasi ministro sia proposta - viene sempre contestata, è solo per limiti di quelle riforme o c'è quella che Steinmeier - un socialdemocratico che le riforme le ha fatte - ha definito "l'insofferenza alla riformabilità"? E questo non richiama la necessità di perseguire con chiarezza una strategia riformista, facendola crescere ogni giorno e rifiutando la comoda scorciatoia di assecondare ogni resistenza al cambiamento in nome di un consenso che, se fondato sulla conservazione, va nella direzione opposta a una politica di giustizia e di progresso?
Ancora richiami la necessità di non smarrire le radici popolari, uliviste e plurali con cui nacque il Pd. Essendo stato il segretario dei Ds che ha guidato quel partito alla costruzione del Pd, non posso che essere d'accordo. Ma anche in questo caso guardiamo a quel che è successo nel sistema politico italiano, investito in pochi anni da una crisi che ha travolto gran parte delle formazioni politiche che si collocavano nel centrosinistra. Io non ho mai creduto che la vocazione maggioritaria volesse dire autosufficienza. Così come non ho mai creduto che il bipolarismo - per il quale abbiamo lavorato per anni - significasse bipartitismo. In tutta Europa il bipolarismo è di coalizioni, incardinate su un partito "maggioritario" affiancato da alleati. È così non può che essere anche in Italia. Ma questo richiede un percorso di ricostruzione politica che sarà tanto più possibile in quanto esista un Pd forte. Con Pd mutilato da una scissione anche la costruzione di un'alleanza di centrosinistra sarebbe assai più difficile.
E vengo al Congresso. Condivido che ce ne sia bisogno e sia di vera discussione. Peraltro tu ed io di Congressi ne abbiamo fatti molti. E sappiamo che Congressi finti non esistono, per la semplice ragione che ogni Congresso mobilita centinaia di migliaia di persone che vi partecipano con generosità, idee, proposte. Un Congresso non si esaurisce nei suoi riti formali o burocratici, ma vive dei sentimenti, delle emozioni, delle passioni di chi vi partecipa. Ai Congressi si sviluppa una discussione e un confronto che coinvolgono non solo iscritti e militanti, ma i tanti mondi della società civile, quel "civismo" a cui giustamente tu spesso ti richiami. E sarà così anche per questo Congresso, in qualsiasi tempo lo si svolga. Nessuno ha davvero interesse a "strozzare" la discussione. Ma anche in politica il tempo conta. E avendo di fronte a noi scadenze impegnative - il referendum su voucher e appalti, le elezioni amministrative, la legge di stabilità per il 2018 - mi chiedo: serve un Congresso che si svolga "dopo" che tutto è avvenuto o non è indispensabile una messa a punto di linea e di strategia prima di quelle scadenze? E comunque, poiché siamo tutti interessati a svolgere il Congresso, davvero è impossibile convenire su un percorso congressuale condiviso?
In ogni caso una diversa valutazione sui tempi congressuali e anche le critiche che, del tutto legittimamente, possono essere avanzate all'attuale conduzione del Pd, giustificano un atto di così radicale e irreversibile rottura quale una scissione? Non ti sfuggono certamente le conseguenze: mutilato di una sua parte il Pd è più debole; si precarizza il governo e la sua maggioranza (proprio mentre si dice che li si vuole rafforzare); si rende più difficile la costruzione di un campo di centrosinistra; si offre alla destra e a M5S la opportunità di vincere i prossimi appuntamenti elettorali. E se guardiamo a ciò che accade in Europa, un scissione del Pd rappresenterebbe un altro duro colpo ad un campo progressista in forte affanno in tutto il continente. Ma soprattutto si compromette irrimediabilmente l'unico progetto politico in grado di dare all'Italia un futuro. Un progetto su cui abbiamo investito per vent'anni il destino delle forze progressiste e che oggi rischia di dissolversi, consegnando l'Italia a forze che non hanno né progetto, né classe dirigente.
Nessuno, nessuno davvero ci perdonerà di aver deluso e tradito le speranze di quei tanti italiani che hanno creduto nella possibilità di fare dell'Italia un Paese più moderno e più giusto. E allora il tuo appello "fermatevi", vale anche per chi pensa che la scissione sia ormai inevitabile. Nulla è inevitabile. Di ogni scelta solo noi siamo arbitri e artefici. E pur se i margini sono stretti abbiamo il dovere politico - e anche morale - di verificare se c'è ancora una strada. E se c'è di percorrerla senza reticenze e con determinazione. E questa, per tutti, è l'ora della responsabilità: verso l'Italia che non merita di essere gettata nel baratro e verso la nostra gente che in queste ore, con angoscia, ci chiede unita'.