Liberi cittadini contro il regime partitocratico, i privilegi della casta sindacale della triplice, la dittatura grillina e leghista, la casta dei giornalisti
sabato 21 settembre 2013
Guardate che cosa scrive il generale Pound sui grillini in Friuli. E' proprio come Berlusconi.
Grillo: "In Friuli state lavorando bene". Zero leggi presentate e pochissime interrogazioni...
(ASCA) - Trieste, 21 set - ''In Friuli Venezia Giulia state lavorando bene. L'importante e' portare le nostre battaglie, le vostre battaglie, anche fuori dal Palazzo - dove sarete sempre minoranza - con nuove iniziative sul territorio, con i banchetti e le manifestazioni. La vera natura del MoVimento siete voi, la base, Adesso inizia la lotta vera. Dobbiamo andare a governare l'Italia. Dalle macerie, creeremo finalmente un Paese diverso. Andiamo avanti cosi', ce la faremo sicuramente''.
Così Beppe Grillo ai militanti del Movimento 5 Stelle riuniti a Palmanova con gli eletti in Regione e negli enti locali.Applaude la lotta contro gli OGM (...) e attacca la presidente della Regione: "La Serracchiani e' stata messa li' per far finta di fare qualcosa. Fa solo un po' di marketing. E' carina ma nulla piu''
A dire la verità, basta prendere un giornale locale ("Il Piccolo" ) per scoprire che, in data 5 settembre 2013, riguardo l'operato dei grillini in FVG si scriveva:
"TRIESTE. Falliscono l’operazione “scatoletta di tonno” (ad oggi zero leggi presentate, poche le interrogazioni e le interpellanze rispetto agli altri partiti)[...] I pentastellati hanno colto l’occasione per chiarire l’attività legislativa svolta. Lo hanno fatto portando in sala una maglia nera, così da ironizzare sulla scarsità della propria produzionedocumentata dal Piccolo nei giorni scorsi. «È vero che in questi mesi non abbiamo presentato nessuna legge – ha confermato Sergo – ma, sui costi della politica, avevamo preparato una proposta di legge, poi non portata in aula, con l’obiettivo di arrivare a un provvedimento condiviso da tutti i gruppi. Questo, anche per non sovrapporre le leggi in commissione e per non allungare i tempi». M5S ha garantito un costante impegno «sulla lotta agli Ogm, lo studio della carte sulla Tav, crisi dell’Ideal Standard, centri commerciali, Cie di Gradisca e Ferriera”. E poi, ha concluso la capogruppo Bianchi, “siamo sicuri che servono altre leggi? Di nostre comunque ne arriveranno, anche se mancano i piani come quello energetico e della tutela delle acque che però spettano alla giunta»."
Lo ammettono anche che non fanno nulla. Altro che la Serracchiani!! Certo, hanno restituito la paga extra e ovviamente siamo favorevolissimi a questa iniziativa però, considerando il loro operato, è più che mai un taglio doveroso e più che meritato. Se poi si impegnano a combattere gli Ogm, direi che anche quel poco che prendono è immeritato, ma è una mia considerazione personale.
Forse Grillo, prima di parlare, dovrebbe informarsi un po' meglio....
Proprio come a Voghera. I grillini sono proprio come il PDL. Anzi sono il PDL. E quando governano lo fanno come tutti i sindaci del PDL.
“Autovelox irregolari a Parma, 50mila multe ingiuste. Comune restituisca i soldi”
Il Movimento Nuovi Consumatori ha radunato centinaia di persone per una conferenza stampa durante la quale ha chiesto le dimissioni del primo cittadino: "L'amministrazione ha ricevuto soltanto il nulla osta per posizionare sulla tangenziale il box in cui sistemare i rilevatori di velocità, ma non per installare i dispositivi. Sono illegittimi"
“Gli autovelox in tangenziale sono irregolari, il sindaco Federico Pizzarotti e la sua giunta devono dimettersi e restituire ai cittadini i soldi delle multe”. L’attacco frontale al Comune Cinque stelle di Parma arriva dal Movimento Nuovi consumatori, che da mesi si batte contro i due autovelox posizionati a inizio gennaio in un tratto della tangenziale a sud della città, che impongono un limite di velocità di 70 chilometri orari.
Secondo l’associazione, Anas non ha mai autorizzato i dispositivi, che nel frattempo hanno mietutooltre 40mila vittime, per un importo milionario in multe finito nelle casse del Comune. Il Movimento guidato dal presidente nazionale Filippo Greci aveva subito contestato l’irregolarità del provvedimento, impugnando le contravvenzioni di fronte al giudice di pace. Dalla parte di Greci e dei suoi, c’è una sentenza dell’11 luglio, destinata a non rimanere un caso isolato, che afferma che i velox non sono stati installati nella conformità della normativa vigente. E ora anche Anas sembra confermare le accuse dell’associazione. “Anas ci ha riferito che al 31 luglio l’autorizzazione per l’installazione degli autovelox non è stata ancora perfezionata” ha spiegato Greci di fronte a una platea di centinaia di persone riunite per ripercorrere insieme quello che il Movimento ha definito “il grande inganno”.
Secondo il Movimento infatti quei velox non hanno alcun valore: “Il Comune ha ricevuto soltanto il nulla osta per posizionare sulla tangenziale il box in cui sistemare i rilevatori di velocità, ma non per installare i dispositivi – continua Greci – ne deriva che gli autovelox sono illegittimi, così come lo sono tutti i verbali recapitati ai cittadini”. Non si tratta di poca cosa: da gennaio le contravvenzioni sono state quasi 50mila, le somme da pagare al Comune si aggirano in media intorno ai 100 euro per multa. “Ma quei soldi ora vanno ridati ai cittadini – aggiunge Greci – Per questo chiediamo le dimissioni del sindaco e della giunta e diamo da oggi dieci giorni di tempo per restituire le somme versate”.
Il Movimento Nuovi consumatori punta anche il dito contro l’assessore alla Sicurezza Cristiano Casa e il comandante di polizia municipale Patrizia Verrusio, che nei mesi scorsi, di fronte agli attacchi sul caso, avevano assicurato la regolarità dei dispositivi. Per questo l’associazione ha chiesto il sequestro preventivo degli autovelox e depositato in Procura un esposto denuncia contro il sindaco e la giunta Cinque stelle. Tra i reati ipotizzati ci sono l’associazione a delinquere finalizzata alla truffa aggravata e continuata, falso ideologico, abuso della credulità popolare e abuso d’ufficio.
Tutte accuse a cui il sindaco Pizzarotti e l’assessore Casa, interpellati da ilfattoquotidiano.it, hanno preferito non rispondere, trincerandosi dietro a un “no comment”.
Riceviamo e pubblichiamo
Il mito della stabilità
Le tre subalternità che governano l’Italia
Salvatore Merlo
Nessuno appare padrone delle proprie azioni né del destino del Paese, tanto meno chi lo governa
(Timothy A. Clary/Afp)
10 shares1 sharestampapdf
È la subalternità la cifra immateriale della grande coalizione, lo spirito del tempo che avvolge, caratterizza e determina i rapporti tra il Pd e il Pdl, tra la maggioranza e l’opposizione, tra Silvio Berlusconi e Giorgio Napolitano, tra Matteo Renzi ed Enrico Letta, tra l’Italia e l’Europa, il principio astratto che agita le baruffe parlamentari senza orizzonte, l’alterno accordarsi e scornarsi del ceto politico in un gioco infinito e senza soluzione.
Così il Pdl, il suo personale politico e i suoi ministri, sono tutti subalterni alla volontà e agli umori mutevoli del Cavaliere di Arcore; proprio come il Partito democratico, e i suoi troppi signori della guerra, correggono e modificano la loro posizione sul confuso scacchiere del governo a seconda delle novità, e delle convenienze che di volta in volta si affacciano sul sanguinoso proscenio del loro congresso, subalterni come sono, tutti loro, ai rovesci e alle vittorie della lunga guerra che contrappone Renzi ai suoi nemici post-comunisti. E dunque un giorno è la crisi e poi è la pace, un giorno è la stabilità ad accendere ogni cuore politico d’Italia, un altro è invece l’urgenza delle elezioni. Ma non c’è davvero logica, né coerenza, in questo minuetto che impegna più le televisioni e i giornali che il Parlamento, il rito stanco dei talk show, la rissa nelle gabbie e nelle arene televisive.
Gli uomini dell’Italia politica si immergono in questo dibattito estenuante come i personaggi d’una commedia degli equivoci, ciascuno pronto a cambiare ruolo, volto e maschera. «Un voto contro Berlusconi in giunta sarebbe come una camera a gas», diceva qualche giorno fa Renato Schifani, il capogruppo del Pdl in Senato, fedele a quel pregiudizio mediterraneo secondo cui l’interiezione e l’enfasi – “camera a gas” – aggiungono alle parole non solo opulenza ma credito. Eppure qualche giorno dopo, lo stesso Schifani, ha dichiarato che anche qualora il Cavaliere fosse espulso dal Senato, quel voto «sarebbe irrilevante». Possibile? Sì. Ed è una prammatica senza deroghe che torna a celebrarsi ogni ventiquattr’ore. Ciascuno degli uomini del Pdl, dentro e fuori del governo, insegue la scia degli umori di Berlusconi, il Cavaliere che spesso cambia idea, pencola, oscilla sempre incerto sul da farsi: rompere o non rompere l’architettura di Giorgio Napolitano?
E loro, i cortigiani di Arcore, ne interpretano le contrazioni muscolari, coccolano ciascuno dei contraddittori umori del Sovrano, agitandosi in un teatro che finisce con l’umiliarli. Come s’umiliano anche gli uomini del Pd, Pier Luigi Bersani e Guglielmo Epifani, Massimo D’Alema e Piero Fassino. Fateci caso, non appena sembra possibile un accordo di spartizione con l’arrembante Matteo Renzi – “a noi il partito a te Palazzo Chigi” – allora la vecchia guardia del Pds appare d’un tratto disposta ad assecondare i venti di crisi, a rovesciare il tavolo, e con esso anche Enrico Letta e l’intero Palazzo del Quirinale, d’improvviso scoprono che Berlusconi ha il conflitto d’interessi, è un condannato, è una pietanza indigesta; e tutti corrono da Renzi, persino Fassino siede umile a terra, per ascoltarlo con la diligenza d’uno scolaro. Ma all’improvviso, quando il faccione tondo del ragazzino di Firenze si gonfia in una pernacchia a loro rivolta, «io mi prendo il partito e anche Palazzo Chigi», ecco che quello stesso Epifani prima disposto a maneggiare incautamente la parola “crisi”, ritorna invece cauto e carezzevole con il governo e il suo capo, prudente, malgrado Berlusconi, malgrado le nozze col diavolo; persino Fassino s’alza in piedi e se ne va. E insomma non esiste libertà d’azione nel dibattito falso e involuto, ma tutto s’attorciglia comprimendo la fantasia di ciascuno e anche gli spazi per manovre alternative, per orizzonti, chissà, sorprendenti, quelle idee che sempre salvano i Paesi dalla stagnazione, che non è mai soltanto economica ma sempre sociale e culturale. Si può morire a rate, o librarsi in volo con un balzo a nervi tesi. È in definitiva la subalternità lo spirito del tempo, la torpida forza decisa a trattenere l’intera legislatura soffiando il suo alito ottundente su ciascuna delle spire di questo caos calmo che in Italia chiamiamo politica.
E così anche Enrico Letta, con il suo ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni, e chissà, pure Giorgio Napolitano, vivono in una logica di subalternità, a ciascuno la sua. La loro è una grammatica curva e prudente, per loro soprattutto vale l’Europa, il vincolo di bilancio, l’establishment bancario con i suoi traballanti interessi. Il governo s’appresta ad avviare le dismissioni del patrimonio pubblico, la proprietà di alcune grandi aziende passerà di mano, e le privatizzazioni interessano le banche d’affari, quella trama di potere finanziario che per sua natura in Italia non intraprende, non rischia, non produce nulla, ma possiede ogni cosa, a cominciare dai giornali. «Stabilità, stabilità, stabilità», ripete l’establishment. E se la ripresa non arriva, dipende infatti “dalle minacce d’instabilità”, dice Enrico Letta, ed è ormai una cantilena nasale che svela un principio ossessivamente coltivato, una subalternità appunto, ma del presidente del Consiglio al sistema bancario che annaspa e agli interesse sovranazionali che tentano di regolare alla meglio la rotazione del mondo in crisi. E c’è dunque Mario Draghi assiso sul trono della Bce, Angela Merkel che osserva severa, ci sono gli istituti di credito italiani in difficoltà, e un diffuso – profondissimo – interesse alla fissità di governo, al pantano persino, se necessario; stabilità a ogni costo, anche se il prezzo fosse l’inerzia assoluta e la palude totale: oggi un solo punto di spread in più, per le piccole banche d’Italia, significa una fontana di milioni pronti a scivolare fuori da già precari bilanci. E dunque è nell’affermarsi del principio di subalternità che si consuma lo spasmo finale della seconda repubblica, nessuno appare fino in fondo padrone delle proprie azioni né del destino del Paese che pure governa. E l’attesa della morte è una noia come un’altra.
Leggi il resto: http://www.linkiesta.it/subalternita#ixzz2fYJwEtg6
Le tre subalternità che governano l’Italia
Salvatore Merlo
Nessuno appare padrone delle proprie azioni né del destino del Paese, tanto meno chi lo governa
(Timothy A. Clary/Afp)
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È la subalternità la cifra immateriale della grande coalizione, lo spirito del tempo che avvolge, caratterizza e determina i rapporti tra il Pd e il Pdl, tra la maggioranza e l’opposizione, tra Silvio Berlusconi e Giorgio Napolitano, tra Matteo Renzi ed Enrico Letta, tra l’Italia e l’Europa, il principio astratto che agita le baruffe parlamentari senza orizzonte, l’alterno accordarsi e scornarsi del ceto politico in un gioco infinito e senza soluzione.
Così il Pdl, il suo personale politico e i suoi ministri, sono tutti subalterni alla volontà e agli umori mutevoli del Cavaliere di Arcore; proprio come il Partito democratico, e i suoi troppi signori della guerra, correggono e modificano la loro posizione sul confuso scacchiere del governo a seconda delle novità, e delle convenienze che di volta in volta si affacciano sul sanguinoso proscenio del loro congresso, subalterni come sono, tutti loro, ai rovesci e alle vittorie della lunga guerra che contrappone Renzi ai suoi nemici post-comunisti. E dunque un giorno è la crisi e poi è la pace, un giorno è la stabilità ad accendere ogni cuore politico d’Italia, un altro è invece l’urgenza delle elezioni. Ma non c’è davvero logica, né coerenza, in questo minuetto che impegna più le televisioni e i giornali che il Parlamento, il rito stanco dei talk show, la rissa nelle gabbie e nelle arene televisive.
Gli uomini dell’Italia politica si immergono in questo dibattito estenuante come i personaggi d’una commedia degli equivoci, ciascuno pronto a cambiare ruolo, volto e maschera. «Un voto contro Berlusconi in giunta sarebbe come una camera a gas», diceva qualche giorno fa Renato Schifani, il capogruppo del Pdl in Senato, fedele a quel pregiudizio mediterraneo secondo cui l’interiezione e l’enfasi – “camera a gas” – aggiungono alle parole non solo opulenza ma credito. Eppure qualche giorno dopo, lo stesso Schifani, ha dichiarato che anche qualora il Cavaliere fosse espulso dal Senato, quel voto «sarebbe irrilevante». Possibile? Sì. Ed è una prammatica senza deroghe che torna a celebrarsi ogni ventiquattr’ore. Ciascuno degli uomini del Pdl, dentro e fuori del governo, insegue la scia degli umori di Berlusconi, il Cavaliere che spesso cambia idea, pencola, oscilla sempre incerto sul da farsi: rompere o non rompere l’architettura di Giorgio Napolitano?
E loro, i cortigiani di Arcore, ne interpretano le contrazioni muscolari, coccolano ciascuno dei contraddittori umori del Sovrano, agitandosi in un teatro che finisce con l’umiliarli. Come s’umiliano anche gli uomini del Pd, Pier Luigi Bersani e Guglielmo Epifani, Massimo D’Alema e Piero Fassino. Fateci caso, non appena sembra possibile un accordo di spartizione con l’arrembante Matteo Renzi – “a noi il partito a te Palazzo Chigi” – allora la vecchia guardia del Pds appare d’un tratto disposta ad assecondare i venti di crisi, a rovesciare il tavolo, e con esso anche Enrico Letta e l’intero Palazzo del Quirinale, d’improvviso scoprono che Berlusconi ha il conflitto d’interessi, è un condannato, è una pietanza indigesta; e tutti corrono da Renzi, persino Fassino siede umile a terra, per ascoltarlo con la diligenza d’uno scolaro. Ma all’improvviso, quando il faccione tondo del ragazzino di Firenze si gonfia in una pernacchia a loro rivolta, «io mi prendo il partito e anche Palazzo Chigi», ecco che quello stesso Epifani prima disposto a maneggiare incautamente la parola “crisi”, ritorna invece cauto e carezzevole con il governo e il suo capo, prudente, malgrado Berlusconi, malgrado le nozze col diavolo; persino Fassino s’alza in piedi e se ne va. E insomma non esiste libertà d’azione nel dibattito falso e involuto, ma tutto s’attorciglia comprimendo la fantasia di ciascuno e anche gli spazi per manovre alternative, per orizzonti, chissà, sorprendenti, quelle idee che sempre salvano i Paesi dalla stagnazione, che non è mai soltanto economica ma sempre sociale e culturale. Si può morire a rate, o librarsi in volo con un balzo a nervi tesi. È in definitiva la subalternità lo spirito del tempo, la torpida forza decisa a trattenere l’intera legislatura soffiando il suo alito ottundente su ciascuna delle spire di questo caos calmo che in Italia chiamiamo politica.
E così anche Enrico Letta, con il suo ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni, e chissà, pure Giorgio Napolitano, vivono in una logica di subalternità, a ciascuno la sua. La loro è una grammatica curva e prudente, per loro soprattutto vale l’Europa, il vincolo di bilancio, l’establishment bancario con i suoi traballanti interessi. Il governo s’appresta ad avviare le dismissioni del patrimonio pubblico, la proprietà di alcune grandi aziende passerà di mano, e le privatizzazioni interessano le banche d’affari, quella trama di potere finanziario che per sua natura in Italia non intraprende, non rischia, non produce nulla, ma possiede ogni cosa, a cominciare dai giornali. «Stabilità, stabilità, stabilità», ripete l’establishment. E se la ripresa non arriva, dipende infatti “dalle minacce d’instabilità”, dice Enrico Letta, ed è ormai una cantilena nasale che svela un principio ossessivamente coltivato, una subalternità appunto, ma del presidente del Consiglio al sistema bancario che annaspa e agli interesse sovranazionali che tentano di regolare alla meglio la rotazione del mondo in crisi. E c’è dunque Mario Draghi assiso sul trono della Bce, Angela Merkel che osserva severa, ci sono gli istituti di credito italiani in difficoltà, e un diffuso – profondissimo – interesse alla fissità di governo, al pantano persino, se necessario; stabilità a ogni costo, anche se il prezzo fosse l’inerzia assoluta e la palude totale: oggi un solo punto di spread in più, per le piccole banche d’Italia, significa una fontana di milioni pronti a scivolare fuori da già precari bilanci. E dunque è nell’affermarsi del principio di subalternità che si consuma lo spasmo finale della seconda repubblica, nessuno appare fino in fondo padrone delle proprie azioni né del destino del Paese che pure governa. E l’attesa della morte è una noia come un’altra.
Leggi il resto: http://www.linkiesta.it/subalternita#ixzz2fYJwEtg6
Lo statista che parla di libertà. Lo statista che ha rifondato Forza Italia. Lo statista che ha eliminato le tasse, aumentato la crescita, diminuito la disoccupazione. Quello che intercettato sembra un malato di sesso. Quella persona gli italiani voteranno ancora. Che tristezza un paese che muore e vota il proprio carnefice.
Secondo voi in un paese civile permetterebbero a delle navi di queste dimensioni di entrare nel posto più bello del mondo facendo rischiare la vita della gente e il degrado dell'ambiente?
Grandi Navi: Venezia invasa dai "giganti del mare" (FOTO)
L'Huffington Post | Pubblicato: 21/09/2013 13:37 CEST | Aggiornato: 21/09/2013 17:51 CEST
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Gli attivisti del comitato "No grandi navi" hanno nuotato per alcune centinaia di metri e ora stanno formando una sorta di cerchio al centro del canale della Giudecca. Sono circondati da imbarcazioni di polizia e carabinieri, ma al momento non si sono registrati incidenti. Dal molo della Marittima, intanto, le navi crociera previste in partenza dopo le 16 sono ancora ferme in attesa.
(da La Nuova Venezia e Mestre) Il giorno della protesta contro le grandi navi: da tutto il mondo i fari sono puntati su Venezia per il "fine settimana dell'ingorgo", quello con 13 navi da crociera in due giorni all'interno della città più bella e più fragile del mondo. Prima mobilitazione in mattinata all'aeroporto Marco Polo di Tessera: un centinaio di attivisti hanno letteralmente "smontato" la welcome aerea per i croceristi. Nel pomeriggio mobilitazione non stop alle Zattere: musica, slogan, volantini, iniziative per contestare il passaggio in laguna delle grandi navi.
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Ansa
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PDl e Cisl: che coppia. Stesso stile, stesse tecniche di eliminazione dell'avversario politico, stessa ignoranza, stessa resenza di funzionari corrotti.
Def, Pil rivisto in calo dell'1,7%.
Deficit al 3,1%, "impegno" a rientrare
Il governo aggiorna il Documento di finanza pubblica, il disavanzo supera il tetto indicato dall'Europa in rapporto al Pil. Ma il premier Letta rassicura: "Impegno a stare sotto il 3% alla fine dell'anno". Il ministro Saccomanni: "Servirà manovra di fine anno, ma non avrà grande impatto". Lo sforamento "colpa dell'instabilità politica". Il Def prevede manovre da 20 miliardi nel periodo 2015-2017. Brunetta: "O l'Iva non aumenta, o non c'è più il governo"
Il governo ha rivisto in negativo il Pil 2013 a -1,7% e ha previsto uno sforamento "tendenziale" del tetto del deficit: il suo rapporto con il Pil dovrebbe salire al 3,1%. "L'interruzione della discesa dei tassi e la ripresa dell'instabilità politica pesa sui conti e per questo non siamo stati in grado di grado di scrivere oggi 3%" nel Def, ha spiegato il premier Enrico Letta.
Come nei giorni passati, dal governo sono arrivate rassicurazioni: "C'è l'impegno a stare sotto il 3% alla fine dell'anno. C'è l'impegno confermato di mantenere i patti presi con i partner europei e con l'Unione europea", ha detto Letta.
In serata, parlando al Tg1, il ministro dell'Economia Fabrizio Saccomanni si è allineato ai toni rassicuranti del premier, ma ha chiarito che per rientrare nel tetto del 3% di deficit-pil sarà necessaria una "normale manovra di fine anno, che possiamo fare senza ricorrere a particolari misure e che non avrà particolare impatto sulla situazione economica". Il messaggio di Saccomanni si è arricchito di una connotazione positiva con un preciso riferimento alla crescita: "E' iniziata in questo terzo trimestre e il quarto sarà positivo. La crescita continuerà nel 2014 e contiamo, nell'arco di 2 anni, di arrivare ad un tasso di crescita del 2%".
E la Commissione Ue ha risposto subito "accogliendo con favore il fermo impegno da parte del premier Letta per assicurare il rispetto degli obiettivi di bilancio per quest'anno", ha detto il portavoce del commissario agli affari economici Olli Rehn.
Al tema del deficit si lega a doppio filo anche la decisione di far salire o meno l'Iva, che da ottobre dovrebbe salire al 22%. Le difficoltà di reperire i fondi necessari a evitare l'aumento si accompagnano alla tensione politica: Brunetta ha dichiarato che "o l'Iva non aumenta a ottobre o non c'è più il governo", chiudendo di fatto lo spazio per ripensamenti o revisioni. "Chiedo al governo che non scatti l'aumento dell'Iva", lo ha detto anche il segretario del Pd Guglielmo Epifani all'Assemblea del partito. "Troverei - ha sottolineato - fortemente sbagliato che dopo aver tolto l'Imu si vada ad aumentare un punto dell'Iva" andando a pesare sui ceti popolari.
E' bene ricordare che l'Italia è da poco riuscita ad uscire dalla procedura per deficit eccessivo e l'Unione europea ha più volte lanciato i propri moniti per ricordare a Roma che deve rimanere sotto il tetto del 3% del rapporto tra disavanzo e prodotto nazionale lordo. Le ultime indicazioni emerse dagli ambienti comunitari hanno poi sottolineato come il governo debba prendere i necessari accorgimenti per compensare gli scostamenti da quel tetto. Le raccomandazioni europee hanno scatenato le reazioni piccate del ministro Maurizio Lupi, che ha risposto a Olli Rehn dicendo: "Decidiamo da soli".
Quanto invece alle previsioni economiche, quelle odierne peggiorano le precedenti che indicavano un andamento del -1,3% per quest'anno e +1,3% per il prossimo. L'Ocse ha stimato per l'Italia un ribasso del prodotto interno lordo nell'ordine dell'1,8% per quest'anno, collocando il Belpaese tra gli unici in recessione nell'ambito dei G7. Nella Nota di Aggiornamento al Def, ha spiegato Letta, "emerge un quadro che vogliamo indicare come positivo per il futuro. Ci sono elementi che ci consentono l'anno prossimo di avere stabilmente il segno più per la crescita e di avere a fine anno segnali già postivi". Il premier ha inoltre replicato a chi accusava "di non aver fatto nulla" che le misure in campo comportano interventi da 12 miliardi.
Tabelle: le previsioni economiche
Il ministro dell'Economia, Fabrizio Saccomanni, ha aggiunto che l'anno prossimo la crescita sarà dell'1% e già nel quarto trimestre del 2013 il segno davanti all'andamento dell'economia sarà positivo. La previsione del dicastero delle Finanze è che "a fine periodo lo spread con i Bund tedeschi scenderà a 100 punti base". Saccomanni ha aggiornato il conteggio dei rimborsi della Pubblica Amministrazione, spiegando che "i pagamenti ai creditori sono saliti a 11,3 miliardi". Il ministro ha sottolineato che è stato versato "il 63% dei crediti previsti nella seconda metà dell'anno". Focus infine sulle tasse: con le riforme strutturali in atto e la spending review "ci sono ampi spazi di manovra per la riduzione del carico fiscale, spostandolo a favore del lavoro e delle imprese".
Le previsioni economiche inserite nel Def non lasciano comunque tranquilli. 'Il quadro programmatico traccia un percorso di avvicinamento all'obiettivo del pareggio strutturale di bilancio che in linea con le regole nazionali ed europee verrebbe conseguito a partire dal 2015". Il governo nel Def prevede un deficit netto strutturale allo 0,4% quest'anno e allo 0,3% nel 2014, prima di scendere allo zero. Ma anche il 2013 e il 2014, in base ai criteri europei per il pareggio di bilancio, sono considerati un "close to balance" perché interni ad una flessibilità dello 0,5%.
Dalle tabelle diffuse da Palazzo Chigi emerge che l'anno prossimo 3,2 miliardi di maggiore spesa per finanziare, tra l'altro, Cig e missioni di pace. Dal 2015, invece, serviranno manovre per complessivi 20 miliardi in tre anni, da realizzare con la riduzione della spesa pubblica. "Le manovre correttive prefigurate dal 2015 in poi - scrive il governo - dovranno fare perno sulla riduzione della spesa pubblica". E' previsto che il deficit 2015 debba ridursi dall'1,8% 'a legislazione vigente' all'1,6% programmatico. E' un taglio di due decimali che vale 3,2 miliardi. Per le infrastrutture, come emerge dal documento consegnato dal ministero guidato da Maurizio Lupi, servono 11 miliardi.
Il debito pubblico si attesterà quest'anno a 132,9% per poi calare al 132,8%. L'andamento tendenziale è però più alto: al 133% nel 2013 e al 133,2% nel 2014. La spesa per interessi sul debito pubblico è stimata, quest'anno, in 84 miliardi e sostanzialmente costante nei prossimi anni.
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