18 numeri per spiegare l’articolo 18
Cos’è e che impatto ha sul mondo del lavoro, ora che di nuovo si riparla di abolirlo
29 (agosto): è il giorno in cui in Consiglio dei Ministri arriverà la proposta del Ministro degli Interni Angelino Alfano di abolire l’articolo 18 per i neo – assunti. Una misura, secondo Alfano, necessaria per combattere la disoccupazione giovanile.
70: quando il ministro Alfano parla di «Totem degli anni settanta da superare» lo fa perché in effetti lo Statuto dei Lavoratori, di cui l’articolo 18 fa parte, diventò legge il 20 maggio del 1970. Fu quello il frutto di una lunga gestazione per regolamentare in modo omnicomprensivo i rapporti di lavoro subordinato in Italia.
15: la soglia sotto la quale l’articolo 18 non si applica è com’è noto, quella dei quindici dipendenti per azienda. In altre parole: se lavori a tempo indeterminato in un’impresa privata che ha più di 15 dipendenti e vieni licenziato, puoi fare causa e se la vinci, ottieni il reintegro sul posto di lavoro. In qualunque altro caso, questa possibilità è preclusa.
3.000.000 (circa): sono le persone che hanno riempito il Circo Massimo il 23 marzo del 2002 per protestare contro la proposta del Governo Berlusconi, del suo Ministro del Lavoro Maroni e del suo sottosegretario Sacconi, di abrogare l’articolo 18 nel contesto della riforma del lavoro che stavano preparando. La forte opposizione dei sindacati, fa tuttavia recedere l’esecutivo. Quando la legge 40/2003 – la cosiddetta Legge Biagi, dal nome del giuslavorista consulente del governo assassinato sei giorni prima dalle nuove Br - viene approvata definitivamente, il 26 Ottobre dello stesso anno, l’abolizione dell’articolo 18 non ne fa parte.
3: è il numero di anni per i quali, secondo Alfano, l’articolo 18dovrebbe essere sospeso per poi tornare a essere una tutela del lavoratore assunto a tempo indeterminato.
3 (ancora): è anche il numero chiave del contratto a tutele crescenti, proposto dal Pd di Renzi, che è attualmente sotto i ferri della Commissione Lavoro del Senato. Anche in questa bozza c’è una riforma dell’articolo 18. O meglio, tra le ipotesi, c’è anche quella di mantenere la reintegra obbligatoria giudiziale solo per i licenziamenti discriminatori, sostituendo il giudizio del magistrato su quelli economici con una indennità proporzionata all’anzianità di lavoro maturata.
105.500 (circa): sono le imprese italiane sopra i 15 dipendenti, il 2,5% del totale
6.507.000 (circa): sono i dipendenti che lavorano in quelle 105mila imprese, pari a circa il 57% dei lavoratori dipendenti totali – impiegati o operai – che lavorano nel settore privato con un contratto a tempo indeterminato.
4.320.500 (circa): sono le imprese italiane sotto i 15 dipendenti: il 97,5 del totale
3.529.000 (circa): sono i dipendenti che lavorano in quei 4 milioni e rotti d’imprese, pari a circa il 43% dei lavoratori dipendenti totali – impiegati o operai – che lavorano nel settore privato con un contratto a tempo indeterminato.
89,1%: è la percentuale di lavoratori a tempo indeterminato nelle imprese con più di 15 addetti in cui c’è l’articolo 18.
88,2%: è la percentuale di lavoratori a tempo indeterminato nelle imprese con meno di 15 addetti in cui non si applica l’articolo 18.
1,3%: è la diminuzione dei contratti a tempo indeterminato complessivi tra il 2012 e il 2013
9,7%: è la diminuzione dei contratti a tempo determinato tra i giovani lavoratori nel medesimo periodo.
18 (ogni cento): sono le persone che tra il 2010 e il 2014 sono state assunte con un contratto a tempo indeterminato, laddove invece il 67% è stato assunto con un contratto di lavoro a tempo determinato.
12,6%: è il tasso di disoccupazione misurato a giugno 2014.
43,7%: è il tasso di disoccupazione giovanile misurato a giugno 2014.
0: sono le volte in cui l’attuale Presidente del Consiglio si è sentito chiedere dell’articolo 18 da un ventenne o da un imprenditore: «Non ho mai trovato un ventenne che mi chiedesse la conservazione dell’articolo 18 o un imprenditore che me ne chiedesse l’abolizione». Non stentiamo a credergli.
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