venerdì 15 agosto 2014

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10/08/2014

Il paziente tedesco: anche in Germania torna la crisi?

Rallenta l’economia tedesca, inevitabili le conseguenze negative su Italia ed Eurozona. Ecco perché

TIM BRAKEMEIER / Getty Images

 

Aggiornamento del 14 agosto 2014. Come riferisce l’Ansa, il Pil tedesco arretra dello 0,2% nel secondo trimestre 2014 rispetto al trimestre precedente. Il dato è peggiore delle attese che indicavano una possibile flessione del -0,1%. La crescita del primo trimestre rispetto all’ultimo del 2013 è stata rivista dal +0,8 al +0,7%. Con il dato del secondo trimestre diffuso oggi dall’istituto di statistica tedesco, l’economia in Germania arretra per la prima volta dal 2012. Aziende come la Now Casting avevano già previsto in anticipo il rallentamento tedesco, e ve ne avevamo parlato in questo articolo, in cui evidenziavamo anche le conseguenze negative sull’Italia.
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È di pochi giorni fa la notizia che l’Italia è tornata in recessione, con il  Pil giù di 0,2 punti percentuali nel secondo trimestre del 2014, che segue il -0,1% del primo. Il nostro Paese, tuttavia, potrebbe essere presto in buona compagnia. In una breve intervista apparsa su la Stampa di giovedì 7 agosto, Domenico Giannone, economista con una cattedra alla Luiss e un passato da membro della divisione Ricerche di politica monetaria alla Banca centrale europea, ha detto che «la Germania potrebbe presto trovarsi in una situazione anche peggiore dell’Italia». 
Avviso ai naviganti: i dati ufficiali sono attesi per domani giovedi 14 agosto e prima di allora ogni previsione è quantomeno aleatoria. Di Giannone, tuttavia, si fidano in parecchi. Insieme all’economista Lucrezia Reichlin,  ha infatti fondato la Now Casting, azienda che fornisce a clienti privati previsioni statistiche in tempo reale sulle condizioni macroeconomiche delle principali economie mondiali (qui un articolo dell’Economist che ne parla). Se i dati ufficiali riescono a fornire i numeri solo a un mese e mezzo circa di distanza dal termine del periodo di riferimento, piattaforme come la Now Casting (o come Markit) “prevedono il presente”. Riescono cioé ad aggiornare continuamente le stime sul Prodotto interno lordo di un Paese man mano che vengono rilasciati nuovi dati come la produzione industriale, l’export, l’import, il clima di fiducia di consumatori e imprese. Si tratta, peraltro, di elaborazioni completamente automatiche, spiega Domenico Giannone, senza intervento di esperti che potrebbero lasciarsi influenzare dal clima politico e da quel che altri analisti vanno dicendo. Per i dati relativi all’area euro, la deviazione standard (il dato che misura la precisione delle stime) è dello 0,5, assicura Giannone, mentre «gli stessi dati forniti dalla Commissione Ue due volte l’anno hanno una deviazione pari a 0,61»
I numeri della frenata
«Ci sono segni evidenti di un rallentamento dell’economia tedesca già dall’inizio dell’anno», afferma il professore a Linkiesta, e «nei prossimi mesi, fino a fine 2014, la crescita del Pil tedesco sarà molto vicina allo zero»Fossero confermati, sono numeri che - anche se positivi e non tali da definire la Germania in recessione - divergono parecchio dalle previsioni della Bundesbank dello scorso giugno, che annunciavano una crescita pari all’1,9% nel 2014 e al 2% nel 2015. Nel dettaglio, Giannone prevede che il Pil tedesco avrà una crescita pari a zero nel secondo trimestre, risalendo la china fino allo 0,1% nel secondo e dello 0,15%. Se non di recessione, quindi, si può parlare di un deciso rallentamento. Di quelli che succedono quando qualcosa non ha funzionato.
Cosa non ha funzionato? 
Domenico Giannone parla di «dati economici con indicazioni contrastanti» e fa bene. In effetti il rallentamento tedesco è la sommatoria di forze opposte, un po’ come quando si guida col freno a mano tirato. Il segnale più negativo è indubbiamente quello relativo alla produzione industriale, calata a maggio di1,8 punti percentuali, quando tutti gli analisti prevedevano un risultato sostanzialmente invariato rispetto al mese precedente, e cresciuta di solo 0,3 punti a giugno, quando tutti pensavano sarebbe rimbalzato più velocemente: «L’evidenza di stagnazione dell’economia tedesca è resa molto evidente dalla caduta della produzione industriale - aggiunge Giannone - ma nel settore delle costruzioni la caduta è ancora più marcata, con una perdita di più del 5%. Per il settore dei servizi non sono ancora disponibili indicatori altrettanto affidabili. L’opinione generale è che comunque la situazione nei servizi sia meno drastica». Anche l’export, sebbene continui a crescere, accusa il colpo: nel primo trimestre è infatti cresciuto di 1,4 punti percentuali, laddove tuttavia nell’analogo periodo dell’anno precedente la crescita era stata dell’8,7%. Anche a giugno, secondo i dati di Giannone, l’export è cresciuto attorno al punto percentuale: un segnale «non negativo», lo definisce, che tuttavia non è in grado di controbilanciare i dati negativi della produzione manifatturiera». 
Alle radici della malattia
Che questa stagnazione sia piuttosto sorpendente è anche sottolineato dal fatto che non sia stata catturata dagli indicatori del clima di fiducia, come ad eempio l’indicatore PMI di Markit (vedi articolo dell’Economist). Eppure, sempre secondo Giannone, i segnali del rallentamento erano già visibili da tempo.
La prima causa, secondo Giannone, sta nell’interdipendenza dell’economia tedesca con realtà in difficoltà come quella italiana: «Era inevitabile che accadesse», spiega: «Tutte le economie europee sono storicamente legate da un destino comune: negli ultimi 40 e passa anni, i Paesi europei hanno condiviso le espansioni e le recessioni. È successo in passato e non c’è nessuna ragione di pensare che qualcosa sia cambiato». Quella attuale sarebbe, per Giannone, non sarebbe nient’altro che la continuazione della recessione iniziata, in Europa, nell’estate del 2011. Una recessione che «coinvolge tutti i Paesi».
In un simile scenario, la crisi tra Usa-Europa e Russia, su cui peseranno anche le misure commerciali introdotte da Mosca in risposta alle ultime sanzioni europee, non ha certo aiutato. «La situazione - continua il professore - potrebbe rivelarsi peggiore del previsto a causa dei rischi geo-politici, che possono avere conseguenze sia per effetto diretto sul commercio, sia attraverso la riduzione di fiducia e l’aumento di incertezza». In questo articolo, Stefano Grazioli raccontava gli stretti legami economici tra Berlino e Mosca, e la difficoltà per Angela Merkel di supportare le sanzioni che Usa e Ue avevano già allora in programma di introdurre ai danni di Putin dopo l’annessione della Crimea alla Federazione Russa. Solo che mentre gli Stati Uniti, in piena espansione - ci si aspetta un tasso di crescita al di sopra del 2% per il 2014 - possono sopprtare una sfida muscolare con Mosca, per una nazione europea, anche per una potenza come la Germania, è molto più dura.
Se le esportazioni frenano, dovrebbe pensarci la domanda interna a rimettere la barra a dritta.  La Germania tuttavia ha scelto da tempo di puntare tutto sul commercio estero: salari bassi, inflazione sotto controllo, alta produttività competitività  alle stelle. Questa le ricetta di Merkelandia, in merito alla quale, già in un precedente articolo avevamo messo in luce le potenziali criticità. Da giovedì, forse, anche in Germania comincerà a levarsi qualche voce a sostegno di politiche espansive che facciano crescere salari e prezzi. Come ha ben raccontato Stefano Cingolani in questo articolo apparso su Linkiesta tre giorni fa, «la Germania ha usufruito di alcuni fattori anomali che hanno spiazzato gli altri partner: per esempio essere considerata paese rifugio per i capitali soprattutto dal 2010 quando scoppia la crisi greca; un mercantilismo ai limiti del dumping che ha gonfiato l’export e la bilancia estera, superando la soglia indicata dalla stessa Ue (6% pil); una compressione della domanda interna durata oltre il necessario». Tuttavia, continua, «Ora anche i tedeschi cominciano a preoccuparsi e incitano il governo e gli industriali ad aumentare i salari, i consumi e i prezzi. Un po’ d’inflazione fa bene. Meglio tardi che mai».
Mal comune mezzo gaudio. O no?
La frenata del secondo trimestre porterà la Germania di Angela Merkel a condividere gli stessi interessi di Italia e altri Paesi in crisi? Secondo Giannone sì, e per noi sarebbe una bella notizia: «Il fatto che l’intera area dell’euro sia in una fase di stagnazione potrebbe indurre la Bce e Draghi a mantenere le promesse fatte ed adottare una politica monetaria più espansiva, per controbilanciare gli effetti recessivi».  Rincarano la dose gli economisti  di Bloomberg David Powell e Niraj Shahsecondo cui i dati della Germania, se confermati, sono «munizioni nelle mani di chi chiede un intervento di stimolo all’economia alla Bce». Nel frattempo, tuttavia, il rallentamento dell’economia tedesca è per noi una pessima notizia. O meglio, spiega le nostre difficoltà sui mercati esteri: secondo il Rapporto Ice 2012-2013l’interscambio tra Roma e Berlino vale circa 104 miliardi di euro, pari al 13,5% sul totale. Abbastanza per non godere (troppo) delle disgrazie altrui.

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