Fondi strutturali: cosa imparare dagli errori del passato e come "salvare" i 40 miliardi in arrivo
Nei due giorni di vigilia ferragostana (13-14 agosto) su La Repubblica c'è stata una vivace discussione sui Fondi Strutturali europei per l'Italia del corrente ciclo di programmazione (2014-2020) e di quello appena trascorso (2007-2013) I cui investimenti si chiuderanno a fine 2015. La discussione riguardante I Fondi del ciclo corrente si è necessariamente concentrata sulle difficoltà che l'Italia ha incontrato nella formulazione del piano generale per l'uso dei Fondi, il cosidetto Accordo di Partenariato, che infatti non è stato ancora finalizzato con Bruxelles, condizione in cui l'Italia si trova con pochi altri altri paesi dell'Unione. Per la chiusura della vecchia programmazione la discussione si è invece focalizzata sulle difficoltà riscontrate nel completamento dei programmi operativi sia nazionali (PON) che regionali (POR) e nella spesa scarsa dei fondi a disposizione. Ma ciò che è mancato nei due aspetti della discussione è l'analisi dei tagli di bilancio attribuiti alle strategie improduttive di spesa del ciclo precedente e dei contenuti insufficienti della bozza di Partenariato per il ciclo corrente.
Per quanto riguarda la spesa dei vecchi fondi 2007-2013 quella italiana è stata la più bassa a livello europeo e la sua riprogrammazione, effettuata dai governi Monti e Letta, ha migliorato di poco l'ammontare (quanto si è speso) e la velocità (tempi) della spesa. Ad esempio, il tasso di spesa (percentuale di spesa in relazione alla dotazione di bilancio) del Fondo FESR è migliorato quasi solo attraverso un drastico taglio del co-finanziamento nazionale che è stato ridotto dall'iniziale 50% al 25%, il che ha portato la dotazione del FESR dai 44 miliardi iniziali disponibili nel 2007 a 32,7 miliardi nel 2013. I programmi operativi che hanno subito I tagli maggiori dalla riprogrammazione sono stati I POR della Sicilia e della Campania, mentre al livello nazionale sono stati tagliati I fondi per Il PON Ricerca e Competitività e per il PON Reti Infrastrutturali. Il programma operativo stato-regioni denominato POI, che doveva investire sugli Attrattori Culturali nel sud per oltre un miliardo, è stato quasi completamente svuotato con spesa minima. Ne consegue che il miglioramento nel livello della spesa del FESR fra il 2011 ed il 2013 è da attribuire principalmente alla forte diminuzione del bilancio totale su cui si è calcolato il livello di spesa attuata.
La riprogrammazione non ha invece introdotto tagli per I fondi strutturali nelle regioni del centro-nord che peraltro, come si sa, hanno consistenza molto più ridotta che nelle regioni meridionali del cosiddetto 'obiettivo convergenza'. Tagli non sono avvenuti per la dotazione finanziaria dei programmi finanziati dal Fondo Sociale Europeo (FSE), cosi che il livello di finanziamento dei programmi operativi FSE non è stato ridotto né per le regioni del nord né per quelle del sud. Una prima conclusione su cui riflettere è che negli ultimi sei anni il sud ha subito un drastico taglio di investimenti pubblici. Ciò è avvenuto, come si è detto, attraverso la riduzione del co-finanziamento nazionale per I fondi strutturali comunitari. Ma è anche avvenuto per la mancata spesa dei fondi destinati alla politica di coesione nazionale che doveva essere finanziata con I FAS, i quali invece si sono trasformati in un fondo per interventi emergenziali sia al nord che al sud che hanno avuto poco a che fare con lo sviluppo economico o l'aumento di competitività, e quindi di convergenza, delle regioni del sud. Un'indicazione propositiva suggerita da questa prima conclusione è che il governo ora in carica dovrebbe riconsiderare seriamente l'opzione di diminuire il co-finanziamento nazionale per I programmi operativi delle regioni della convergenza nel corrente ciclo di programmazione, perché il risultato sarebbe di nuovo una diminuzione generale dei fondi disponibili per I progetti di sviluppo del sud.
Per quanto riguarda la discussione della programmazione dei fondi strutturali del ciclo corrente, è importante evidenziare che il ritardo nel condurre a termine le negoziazioni con Bruxelles per l'Accordo di Partenariato è dovuto al modo insufficiente in cui i contenuti delle bozze presentate dall'Italia traducono operativamente gli obiettivi espressi nei nuovi Regolamenti dei fondi strutturali. Infatti, per chi ha preso in visione le varie bozze è difficile sostenere, come fanno invece alcuni, che la bozza italiana manchi di una strategia globale che faccia riferimento agli obiettivi di sviluppo. È vero invece dato che le negoziazioni non sono state terminate perché gli aspetti operativi della proposta di Partenariato da Bruxelles sono stati considerati non sufficientemente chiari nei contenuti o del tutto mancanti in alcuni casi. Esempi, in quest'ultimo caso, sono la governance e le prospettive di sviluppo per le aree metropolitane ed I programmi per lo sviluppo locale. Ma va anche sottolineato che l'analisi delle varie bozze dell'Accordo di Partenariato preparate dai diversi governi negli ultimi tre anni, mostra variazioni significative nell'impostazione dell'Accordo e ciò che si nota è un sempre maggior aggancio ai Regolamenti comunitari.
Anche se la lettera ricevuta dal governo Renzi un mese fa conferma che l'aggancio non si è del tutto completato, c'è da parte del governo l'impegno che in autunno le negoziazioni saranno terminate e l'Accordo firmato. È un impegno assolutamente importante, visto che le regioni italiane che hanno già impostato I propri POR non sono in grado di finalizzarli, né quindi di spendere le risorse dei fondi, fino a quando non ci sarà l'Accordo; e che le regioni che sono in ritardo di preparazione dei propri POR possono giustificare il ritardo con la mancanza dell'Accordo nazionale.
È mia convinzione che la sfida dell'autunno per il governo Renzi sia di incorporare con prontezza I Fondi Strutturali del vecchio ciclo per l'anno che rimane a disposizione e quelli del ciclo corrente sia europei che nazionali in una strategia economica anticiclica basata su un impegno forte da parte del settore pubblico per attuare un programma di infrastrutturazione multi-settoriale e prioritaria nel paese. Questa risposta rappresenterebbe una grande riforma della politica economica del paese capace di innescarvi un trend virtuoso di occupazione, competitività e sviluppo.
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