L’Italia? La salveranno i bambini
Negli Usa, le nascite aumentano e faranno crescere consumi e Pil. Noi invece abbiamo un problema.
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Bill McBride è un tizio cui prestare molta attenzione. È un economista e tiene un blog che si chiama Calculated Risk cheTime e Wall Street Journal hanno definito come uno dei migliori blog economici in circolazione. La notorietà di McBride è dovuta principalmente al fatto che fu il primo, nel 2007, a predire il crollo del mercato immobiliare americano – quel crollo immobiliare - quando tutti pensavano che non potesse che continuare a crescere. Allo stesso modo, ha predetto anche il momento in cuitale mercato, nel 2009, toccò il fondo e si riprese, quando tutti o quasi pensavano che non avrebbe fatto altro che scendere. Non bastasse, fu sempre lui, nel 2012, che scommise sulla rapida ripresa della California in default, mentre tutti pensavano che avrebbe fatto la fine della Grecia.
Vi basta? Bene. La scorsa settimana, McBride ha riportato un altro dato piuttosto interessante e fatto un’altra importante previsione. Osservando i dati sulla natalità e sulla distribuzione per classi di età degli Usa, ha notato che il 2013 è stato il primo dopo cinque anni in cui sono nati più bambini rispetto all’anno precedente.
Serie storica delle nascite negli Usa (per vedere il grafico ingrandito clicca qui)
Non solo: ha anche notato che la classe di età più numerosa della popolazione americana è tornata a essere quella tra i 20 e i 24 anni, superando la classe 45-49 che aveva guidato questa peculiare classifica negli anni precedenti.
Popolazione Usa per coorti d'eta dalla più numerosa alla meno numerosa
Cosa deduce da questi dati, il vecchio McBride? Tante cose. La prima: che quello attuale è un mercato favorevole all’affitto di case – so che sembra impossibile, ma negli Usa tra i 20 e i 24 anni si esce di casa - quindi alle famiglie che hanno tanti appartamenti. La seconda: che nel 2020, quando i ventenni di oggi avranno tra i 25 e i 29 anni - continuando a essere la classe di popolazione più numerosa – sarà un momento di forte crescita del mercato immobiliare. La terza: che nel 2030, nasceranno ancora più bambini negli Stati Uniti.
Provando a tirare le fila, McBride sostiene che in questa distribuzione della popolazione americana si colgono gli embrioni di una nuova fase di sviluppo, di crescita dei consumi e, giocoforza, dei prezzi. Non è il solo, McBride, a sostenere questa teoria. Joe Weisenthal di Business Insider – altro grande fan di «Calculated Risk» cui dobbiamo il merito di aver portato alla luce questa storia – segnala anche un’interessante analisi di Matt Busigin di Inside Investing che punta l’occhio di bue sulle cause non monetarie dell’inflazione ed in particolare sugli effetti che la demografia di un Paese ha su domanda interna, consumi, dinamica dei prezzi. Il pezzo è pura pornografia per economisti, ma merita di essere riportato un dato interessante. Il momento di massima accelerazione dei consumi, nella vita di un individuo è quello che va dai 20 ai 29 anni di età.
Consumi per età negli Usa (per vedere il grafico ingrandito clicca qui)
Veniamo a noi. È noto che l’Italia ha un problema e che quel problema risponda al nome di domanda interna. Quel che è meno usuale è che qualcuno unisca i punti che separano quel problema dall’altro problema italiano, quello legato alla sua struttura demografica. Prima di unire quei puntini, proviamo a spiegare cosa c’è che non va nella popolazione italiana e in cosa, ahimè, si distingue da quella americana. Bastano pochi dati, in realtà: nel 1971 i bambini italiani sotto i cinque anni erano quasi 5,5 milioni, oggi sono 3,3 milioni. Allo stesso modo, gli anziani con più di 65 erano 6,1 milioni, oggi sono più di 12 milioni. Una tendenza, questa, che nella crisi si è ulteriormente acuita: il tasso di natalità si è infatti ridotto del 7,4% tra il 2008 e il 2012 e del 4,3% nel 2013, nonostante l’apporto degli stranieri, che oggi contribuiscono per il 12% al totale dei bambini nati in Italia (nel 2008 erano il 4%).
Risultato? Siamo il paese più vecchio d’Europa. Una catastrofe demografica che spiega la nostra catastrofe economica meglio di molte altre analisi che si focalizzano su problemi contingenti: una condizione di stagnazione strutturale che non dipende né dalla politica monetaria, né dalla politica fiscale, ma dal fatto che - un po' come il Giappone - non facciamo più figli. Le conseguenze sono almeno quattro:
Pochi figli – e pochi giovani – vuol dire poca forza lavoro, o comunque una forza lavoro molto poco moderna. Nel periodo 2002-2013 l’indice di struttura della popolazione attiva, che misura il rapporto percentuale tra la parte di popolazione in età lavorativa più anziana (40-64 anni) e quella più giovane (15-39 anni) è cresciuto da 93,5 a 123,2. L’indice di ricambio della popolazione attiva che invece misura il rapporto percentuale tra la fascia di popolazione che sta per andare in pensione (55-64 anni) e quella che sta per entrare nel mondo del lavoro (15-24 anni) è passato da 117,1 a 129,1. Una popolazione di addetti così anziana è più o meno pronta, culturalmente e per attitudine al cambiamento, di fronte alla rivoluzione digitale in essere? Io ho fatto la domanda, rispondete voi.
La via più veloce per far ripartire i consumi, probabilmente, è quella di mettere più soldi in busta paga alle persone. Tuttavia, se quei soldi li metti in mano a un sessantenne o a un ventenne le cose cambiano. A fette spesse, il primo quel che doveva comprarsi se l’è già comprato, più o meno; il secondo ha una vita intera di bisogni e desideri da realizzare. Ancora: è vero che il sessantenne può dar fondo ai suoi risparmi per fare del proprio nipote un principe, ma è anche vero che se non ha nipoti perché suo figlio non ha soldi (o servizi adeguati) che lo incentivano a farne, siamo al punto di partenza. In altre parole: una popolazione giovane e un buon numero di figli sono uno stimolo ai consumi. Negli Stati Uniti, dicevamo, la classe di popolazione più numerosa è quella dai 20 ai 24 anni. In Italia è l’ottava e la classifica è comandata dai 45-49enni.
Altro punto, banale quanto cruciale. I contributi che i giovani pagano oggi servono a pagare le pensioni dei loro genitori e dei loro nonni. Allo stesso modo, le pensioni dei loro figli e dei loro nipoti pagheranno le loro. Ora: oltre a essere il paese più anziano d‘Europa, l’Italia è anche terzultima tra i 43 paesi avanzati per tasso di partecipazione al mercato del lavoro. Solo il 49% degli italiani tra i 15 e i 65 anni lavora o è alla ricerca di un posto di lavoro, soprattutto a causa del basso numero di donne che lavorano, soprattutto al sud. Senza figli e senza donne nel mercato del lavoro è del tutto evidente che il nostro sistema previdenziale, e con esso il patto tra le generazioni che idealmente lo sostiene, è destinato a esplodere.
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Tra i paesi industrializzati l’Italia è il penultimo al mondo per la spesa sull’istruzione in rapporto al Pil - peraltro in diminuzione sia per investimenti, sia per spese correnti, sia per investimento in capitale umano -e il primo al mondo per le pensioni di anzianità che pesano per il 14% di tutta la spesa pubblica italiana e circa il 30% di tutta la spesa per la protezione sociale complessiva. Allo stesso modo, languono in fondo a qualsiasi agenda di sviluppo le spese per l’infrastrutturazione digitale, quelle per il credito e il sostegno alle nuove imprese, così come sono finite nel dimenticatoio le politiche di conciliazione famiglia-lavoro, asili nidi ma non solo, e quelle volte a creare nuova occupazione, mentre tutto il denaro che si poteva spendere durante la crisi è servito ad ammortizzare, attraverso la cassa integrazione ordinaria e straordinaria, lo schianto di chi il lavoro l’avrebbe perso. Il panorama, insomma, è quello di un paese interessato solo alla difesa dello status quo e molto poco propenso a immaginare il proprio futuro. Comportamento perfettamente razionale, va detto, per il paese più vecchio e con meno figli al mondo.
Spesa pubblica per le famiglie in percentuale al Pil in Italia e negli altri Paesi europei nel 2012 (per vedere il grafico ingrandito clicca qui)
Quindi, se si vuole davvero cambiare verso all’Italia, 80 Euro sono importanti, ma non bastano nemmeno a ridare ossigeno alla domanda e spinta ai consumi. Per costruire un sentiero duraturo di sviluppo fondato anche sulla domanda interna e non solo sulla quanto mai illusoria idea che l’export possa bastare appare necessario invertire la demografia del paese. Gli esempi, in questo senso, non mancano: in Germania il governo dà un assegno mensile a tutti i bambini fino al diciottesimo anno d'età, il cui importo varia da 184 euro al primo figlio fino a 215 dal quarto in poi. In Francia, le famiglie con figli che hanno redditi bassi, hanno a disposizione un bonus di entità variabile fino a 1000 euro per ogni nascita e un altro che varia dai 200 ai 700 euro alle madri che riprendono a lavorare, per coprire le spese per le baby sitter. Senza escludere dal dibattito, quanto mai aperto, di una rivoluzione nelle politiche dell'immigrazione (Lampedusa permettendo) che punti ai ricongiungimenti familiari e alla stabilizzazione sul suolo italiano di nuove famiglie e di nuovi bambini. Se il coraggio dev’essere la parola d’ordine dell’Italia nei prossimi anni, come ha detto domenica Renzi agli scout, forse questo è il modo più coraggioso per passare dalle parole ai fatti.
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