L’Eurozona si ferma, Pil tedesco a -0,2%
Anche la Francia al palo: “Più flessibilità”. Renzi: “Crisi non solo per l’Italia”
Francois Hollande e Angela Merkel in una foto d’archivio
14/08/2014
Si ferma la ripresa dell’Eurozona, con le tre economie più grandi, oggi Francia e Germania dopo l’Italia tornata in recessione, che tirano il freno a mano. I numeri sul Pil del secondo trimestre mettono a rischio l’impalcatura sulla quale l’Eurozona era uscita dalla crisi, rischiando di delegare alla Bce ancora una volta il ruolo di “pompiere” e accentuando lo scontro sulle regole del patto di stabilità. La Germania, spesso considerata il motore economico d’Europa, ha fatto peggio del previsto con un -0,2% di Pil: primo dato negativo dal 2012, brusca frenata dal +0,8% di gennaio-marzo, e seria ipoteca sulla stima di una crescita vicina al 2% quest’anno. Gelata anche per la Francia, in crescita zero da inizio anno. Sorprende in positivo il Portogallo, con un +0,6% che suggerisce, come già la Spagna, che le riforme possono fare la differenza. Ma non basta a risollevare l’intera Eurozona, che in un preoccupante trend in frenata scende dal +0,3% di fine 2013, al +0,2% d’inizio 2014, infine allo zero del trimestre primaverile.
L’Italia, in recessione (due trimestri consecutivi in negativo), è fra i Paesi più in difficoltà. Ma il trend europeo è tale da far dire al premier Matteo Renzi che «non c’è una situazione di crisi dell’Italia rispetto all’Eurozona», e che «ora la situazione è cambiata, l’intera Eurozona vive una fase di stagnazione». Pesa la brusca frenata della Germania dopo un primo trimestre estremamente positivo: un fattore stagionale legato all’inverno insolitamente caldo, tanto che gli economisti concordano su una ripresa nella seconda metà dell’anno. Ma è difficile che questa ripresa sarà così decisa da trainare l’Eurozona: «Con le tensioni geopolitiche che non si raffreddano, è poco probabile che la crescita acceleri nella seconda metà d’anno», avverte Peter Vanden Houte, un economista di Ing. Il rischio principale è la guerra delle sanzioni con Mosca. Un altro il rallentamento di molti paesi emergenti destinatari dell’export di Berlino, cui molti chiedono di spingere gli investimenti pubblici. Ma soprattutto, si preannuncia un braccio di ferro a Bruxelles sulle regole di bilancio: se ne fa portavoce il ministro delle Finanze francese Michel Sapin, preannunciando che la crescita 2014 della Francia sarà dimezzata a uno 0,5% che fa saltare la discesa del deficit sotto il 4% di Pil cui Parigi si era impegnata: dunque la Ue, dice Sapin, deve «adattare il ritmo di riduzione del disavanzo pubblico all’attuale situazione economica».
Al contrario, la Bce di Mario Draghi nel bollettino mensile che chiede ancora una volta il rispetto del Patto di stabilità europeo e del suo 3% di limite al deficit ma attraverso tagli di spesa, e non più tasse. E avverte, insieme all’Unione europea: l’assenza di riforme strutturali dell’economia - lavoro, liberalizzazioni, giustizia, meno burocrazia, competitività - rappresenta un rischio per la ripresa tanto quanto lo scenario geopolitico incandescente fra Ucraina, Gaza, Siria, Iraq. Il pressing di Draghi si è intensificato. A Francoforte si pensa (in modo non dissimile dai `contratti´ vagheggiati dalla cancelliera tedesca Angela Merkel lo scorso dicembre) a un Patto europeo che, ricalcando il Patto di stabilità, impegni i governi alle riforme strutturali. Intanto, però, la crescita zero potrebbe richiedere misure d’emergenza: perché con i prezzi che aumentano dello 0,4% l’Eurozona viaggia pericolosamente vicina al rischio-deflazione. Per la Bce i rischi sono «limitati». Ma con ogni probabilità a settembre l’Eurotower taglierà la sua stima di crescita dell’1% per i Diciotto nel 2014.
Il consiglio dell’Eurotower è pronto ad agire se lo scenario cambiasse. «È ora che la Bce prenda il controllo della situazione», incalza Richard Barwell, economista di Royal Bank of Scotland. I mercati, con il rendimento del bund decennale al minimo record, sotto l’1%, raccontano un’Eurozona a rischio di sindrome giapponese. Draghi ha l’opzione del “quantitative easing”, l’acquisto massiccio di titoli di Stato. Ma per il momento, è l’opinione della gran parte degli economisti ed esperti, è probabile che attenda di vedere gli effetti delle misure lanciate a giugno, accelerando sugli acquisti di prestiti cartolarizzati e sul maxi-prestito alle banche studiato per rilanciare il credito alle piccole e medie imprese.
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