sabato 16 agosto 2014

Articolo da leggere per comprendere cosa accade in Iraq.

Isis, i finanziatori del califfato

Milioni di dollari dalla monarchia del Golfo. E gli affari con Assad. Gli alleati insospettabili dello Stato islamico.

FONDI AL TERRORE
Ha più dollari del fondo sovrano della Nigeria. Per le intelligence occidentali lo Stato islamico dell'Iraq e del Levante è l'organizzazione islamista più ricca al mondo con un patrimonio stimato più di 2 miliardi di dollari. E sono in molti a chiedersi da dove sono arrivati quei soldi.
CONTRASTI TRA NEMICI. Nel Medio Oriente del tutti contro tutti, i guerriglieri del Califfato hanno approfittato dei contrasti tra nemici regionali. E soprattutto dell'arte raffinata del finanziamento internazionale al terrorismo, che passa per asettici conti correnti bancari e non guarda in faccia né alleanze né diplomazie.
RICICLAGGIO NEL GOLFO. Oggi, i jihadisti hanno in mano petrolio, opere d'arte e caveau di banche conquistate nel conflitto. Ma per arrivare fino a questo punto, hanno sfruttato le capacità di riciclaggio della finanza del Golfo. E persino le necessità di approvvigionamento del loro acerrimo nemico Bashar al Assad. Quasi indisturbati.
  • Le città occupate dall'Isis in Siria e Iraq.

Le campagne di raccolta fondi, tra sceicchi e social network

A febbraio 2014, l'ex primo ministro iracheno sciita Nouri al Maliki aveva accusato Kuwait, Qatar e Arabia Saudita di aver indirettamente attaccato Siria e Iraq. «Hanno iniziato loro la guerra», ha detto con un'insinuazione che poteva essere ricondotta alla lotta fratricida che divide il Medio Oriente: l'Islam sciita di Iran e Siria e dell'iracheno al Maliki da una parte contro il sunnismo dei Paesi del Golfo dall'altra.
TRANSITO DAL KUWAIT. Eppure tutte le informazioni raccolte finora dal controspionaggio americano sembrano portare nella stessa direzione. Se alcune brigate sunnite sono state foraggiate dai governi della Lega Araba altre, comprese al Nusra, affiliata ad al Qaeda e l'Isis hanno beneficiato di donazioni private provenienti soprattutto dai Paesi del Golfo e transitate dal Kuwait.
Secondo le testimonianze dei corrispondenti americani e secondo un report del think tank Brookings institute, curato dall'ex editor di Foreign Policy Elizabeth Dickinson, nel Golfo sono fiorite moltissime associazioni di raccolta fondi per i combattenti siriani. Attivissime in Rete, queste organizzazioni sono state capaci di mobilitare gli utenti sui social, utilizzando video e foto dei massacri del regime di Damasco per aumentare l'efficacia delle raccolte fondi e persino ricompensando i sostenitori come nelle più innovative campagne di crowdfunding.
PREMI AI FINANZIATORI. La campagna «Finanziamo la jihad con i nostri soldi», per esempio, premiava con lo status di sostenitore d'argento chi donava 175 dollari per comprare 50 proiettili di mitragliatrice e d'oro per chi ne offriva 350 e finanziava l'acquisto di otto colpi di mortaio.
Un'altra pubblicizzava la raccolta di 2.500 dollari per ribelle: un pacchetto tutto compreso che includeva finanziamento del viaggio, l'addestramento e l'equipaggiamento di armi.
Alcune avevano persino numeri di telefono e operatori pronti a ricevere le chiamate dei sostenitori.
ORGANIZZAZIONI NEL MIRINO. Nel report sono indicati almeno una ventina di gruppi compresa la organizzazione non governativa Revival of the islamic heritage society, già finanziatrice del terrorismo afghano e pachistano e sanzionata da Usa, Onu e Russia; il Concilio dei sostenitori della rivoluzione siriana; la Commissione del popolo per il sostegno alla rivoluzione siriana. Senza contare un lungo elenco di sceicchi come Nayef al-Ajmi e Ghanem al-Mutairi che hanno animato le campagne per i qaedisti. O, ancora, Sheikh Shafi al-Ajmi, l'imam fund raiser che si è visto cancellare uno show su al Jazeera.
Dopo il massacro di Houla, ha raccontato un ex militare dell'esercito del Kuwait al NewYork Times, «siamo riusciti a raccogliere 14 milioni di dollari in soli cinque giorni».
Il fine, secondo l'ex soldato, giustifica i mezzi: «Abbiamo collaborato con gli americani contro Saddam Hussein, perché contro Assad non possiamo cooperare con al Qaeda?»
  
  • Una delle campagne di raccolta fondi per le milizie integraliste siriane.

Milioni di dollari attraverso il Kuwait

I finanziamenti, sostenuti dalla retorica anti Assad,  ha spiegato Emile Hokayem, analista per il Medio Oriente dell'Istituto per gli Studi strategici, hanno iniziato ad avere una dinamica indipendente dalla diplomazia ufficiale. Da una parte i gruppi armati, dall'altra i circoli di finanziatori, uniti da ideologia, parole d'ordine e centinaia di follower e donatori sui social network. Così decine di milioni di dollari hanno di fatto costituito milizie islamiche indipendenti.
A OGNI BRIGATA FINO A 3,4 MLN DI DOLLARI L'ANNO. Secondo la stampa Usa, ogni brigata ha incassato in media dagli 840 mila ai 3,4 milioni di dollari l'anno. Lo studio del Brookings institute pubblicato a dicembre 2013 ha calcolato che solo dal Kuwait sono passati centinaia di milioni di dollari.
Il sistema bancario del Kuwait, infatti, non ha norme antiriciclaggio e permette anche l'hawala, il trasferimento di denaro da individuo a individuo, ma non tracciabile. Da qui sono passati i maggiori finanziamenti verso i gruppi integralisti sia iracheni sia siriani.
Secondo le ricostruzioni del controterrorismo americano e le testimonianze raccolte sul posto dal corrispondente del Ny Times Ben Hubbard, la maggior parte dei soldi transitava dalle banche del Kuwait e poi veniva consegnato fisicamente attraverso la frontiera con la Turchia.
I SAUDITI CONTRO GLI USA. La diplomazia americana ha cercato di arrestare il flusso di capitali in arrivo dal Golfo.
Ma quando il segretario di Stato, John Kerry, ha chiesto esplicitamente al principe saudita Bandar bin Sultan di intervenire per bloccare i trasferimenti da Arabia e Qatar, la risposta è stata netta. Bin Sultan ha incolpato Washington di non essere più credibile, dopo aver minacciato una guerra in caso di uso dei gas chimici e aver poi fatto marcia indietro.
Intanto per ben due anni, il piccolo Kuwait, alleato degli Usa, ha fatto da hub per i grandi finanziatori del terrorismo islamico pronto anche a fare dell'Iraq un califfato. Le prime norme per contrastare il fenomeno sono arrivate a giugno del 2013. Nonostante le proteste degli islamisti, per la prima volta la monarchia del Golfo ha stabilito il reato di finanziamento al terrorismo, l'istituzione di un'apposita task force e il controllo della presenza nelle black list di beneficiari di versamenti superiori ai 10.500 dollari.
LE RESPONSABILITÀ DEGLI STATES. A fine 2013, David S. Cohen, sottosegretario al Tesoro con delega al Terrorismo e all'intelligence finanziaria ha riconosciuto che il Kuwait ha creato un serio problema alla regione a causa delle sue leggi permissive in materia bancaria.
E tuttavia, ha osservato qualche analista, anche gli Usa hanno la loro parte di responsabilità, avendo rinunciato alla task force di intelligence messa in piedi a metà degli anni 2000 per tracciare i finanziamenti ad al Qaeda.
  • La minoranza yazida perseguitata dall'Isis in Iraq.

Il petrolio e i rapporti con il nemico Assad

L'Isis, insomma, ha potuto approfittare dell'appoggio di sceicchi integralisti come dell'ondata di indignazione provocata nel Golfo dalle stragi del regime di Assad, delle tensioni crescenti tra Lega Araba e Stati Uniti e della complicità del Kuwait, Paese che più aveva in odio l'Iraq di Saddam Hussein.
Poi è venuta la stagione delle razzie, dei sequestri e della conquista dei pozzi petroliferi. Nel 2011 la Siria produceva 400 mila barili di petrolio al giorno, due anni dopo erano scesi a 80 mila. Il regime di Assad ha dovuto fare i conti con una penuria fino ad allora sconosciuta.
LE ACCUSE DEGLI ATTIVISTI. Secondo gli attivisti siriani l'Isis e al Nusra sarebbero riusciti in questo modo a stringere un tacito patto con la dittatura. Avrebbero, infatti, fornito ad Assad il petrolio di cui aveva bisogno, in cambio di rifornimenti di elettricità e di una sorta di protezione. Il regime siriano infatti avrebbe più volte chiuso gli occhi sulle basi delle organizzazioni terroristiche, risparmiando bombe e attacchi aerei.
Mentre i ribelli siriani appoggiati dall'Occidente non sono riusciti ad arricchirsi con il greggio, a fine gennaio 2014, l'Isis ha occupato la provincia di Raqqa, la più ricca di petrolio, e ha iniziato a venderlo a intermediari: secondo il portavoce del Consiglio supremo militare siriano Omar Abu Laila, anche al governo di Assad. Per i funzionari americani, nella zona di Raqqa le basi contrassegnate dalla bandiera nera dell'Isis non sono mai state colpite.
Anche se mancano prove evidenti, le accuse di appeasement tra Assad e Isis sono state confermate anche dalle inchieste del New York Times.
REGIME MACHIAVELLICO. «Il regime siriano è machiavellico. Farebbe di tutto per rimanere al potere», ha dichiarato un funzionario dell'anti-terrorismo americano. «Se avesse potuto stringere un accordo tattico per raggiungere un obiettivo strategico più ampio l'avrebbe fatto». A maggiore ragione se un rafforzamento dei più integralisti avesse rappresentato un indebolimento dei ribelli sostenuti dall'Occidente.
Il risultato è che più il governo di Assad ha avuto bisogno di petrolio più l'Isis si è reso indipendente. Con l'avanzata in Iraq e la conquista dei pozzi di Ajil, i gerriglieri dello Stato islamico hanno iniziato a vendere il greggio anche a intermediari giordani, libanesi e turchi e hanno affiancato a questo traffico anche l'usuale business dei sequestri, le rapine e la vendita di opere d'arte.
Nel tutti contro tutti che infiamma il Medio Oriente l'Isis è riuscito a farsi strada rapidamente, e al suo fianco, nell'avanzata verso la costruzione del califfato, ha avuto alleati quasi insospettabili.  

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