Tre spunti per rilanciare il Paese
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Da tempo siamo convinti che il rilancio della capacità competitiva dell'Italia si debba fondare su tre azioni: la prima consisterebbe nella difesa e valorizzazione delle sue risorse ambientali e culturali, la seconda nelle riforme per attirare persone e capitali, la terza, nella riduzione degli sprechi.
Dopo aver scritto un centinaio di articoli sui principali quotidiani nazionali su questi temi, abbiamo colto l'opportunità di animare questo spazio con analisi e proposte frutto anche del confronto con ciò che avviene all'estero rivolgendoci anche a chi ha responsabilità di governo a tutti i livelli.
Sul fronte ambientale lo scempio del territorio e l'inquinamento che caratterizza le maggiori aree urbane e non (con fenomeni come quello dei rifiuti in Campania) costituiscono un enorme danno per la salute e allo stesso tempo un freno alle attività commerciali e turistiche, nonché un dissuasivo agli insediamenti di imprese e lavoratori qualificati.
Sul fronte economico, ciò che ostacola la crescita dell'Italia non è solo la scarsa credibilità delle istituzioni, che dipende anche da uno sviluppo legislativo contraddittorio (vedi la recente normativa che vede lo Stato disattendere i suoi impegni a favore del settore delle energie rinnovabili, la tassazione con effetto retroattivo a carico di chi aveva seguito la normativa per il rimpatrio dei capitali, etc) ma anche l'assenza di una legislazione adeguata per attirare grandi risorse che, una maggiore credibilità, da sola, non sarebbe, comunque, sufficiente a mobilitare.
Ci domandiamo, infatti, come si possa investire in un Paese dove il fisco pesa molto più, dove la rigidità del lavoro è di gran lunga superiore, dove non esiste la possibilità di stipulare contratti che esprimano la volontà delle parti (come per gli affitti residenziali e commerciali), dove la giustizia richiede tempi biblici e dove la burocrazia è molto più complicata di quanto non sia in quasi tutti gli altri paesi europei.
Nel Regno Unito (paese tra i primi in Europa per tasso di sviluppo dell'economia), ad esempio, la tassazione sui redditi delle società è pari al 20%, zero su quelli prodotti fuori dai suoi confini dalle persone fisiche non britanniche per i primi 7 anni di residenza, il lavoro è molto più flessibile e la giustizia più veloce di quanto avviene in Italia.
Relativamente alla necessità di ridurre gli sprechi ci preoccupano le ventilate dimissioni del Commissario alla "spending review" Cottarelli, che potrebbero evidenziare la mancanza di volontà anche di questo governo nell'incidere su questo tema (si legga questo articolo).
Nel frattempo, oltre all'adozione del modello britannico negli ambiti sopracitati, un modo pratico per ovviare alla confusione delle tante leggi esistenti ed alle lungaggini della PA potrebbe consistere nel varare semplificazioni con strumenti simili a quello della DIA (dichiarazione di inizio di attività) esistente in Italia nel settore immobiliare da applicarsi alla maggior parte delle attività produttive.
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