Privilegi agli stranieri, quante bufale
Ecco la verità e alcuni miti da sfatare
I quaranta euro al giorno per i migranti, le assegnazioni delle case popolari, il credito agevolato. Analizziamo una ad una le ragioni di conflitto tra italiani e stranieri. Spesso strumentalizzate
«Gli italiani non hanno lavoro e ai rifugiati diamo quaranta euro al giorno. Per non fare nulla». È questa una delle argomentazioni più frequenti nello scontro che vede opposti i ceti più bassi italiani agli immigrati. Ma è fondata? Vediamo.
Intanto, per i centri di accoglienza i fondi messi a disposizione vengono direttamente dall’Europa e girati al ministero dell’Interno e ai Comuni. Dopo la fase dell’emergenza per via delle guerre civili in Nord Africa del 2011, quando sono stati spesi più di un miliardo e 300 milioni di euro ospitando 60 mila persone per mesi in alberghi, baite e strutture inadeguate, il Viminale ha cambiato strategia.
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Gli scontri a Roma sono appena l'inizio. Da Torino a Milano fino a Napoli, nelle grandi città il malcontento cresce e gli episodi di violenza aumentano. E la difficile convivenza tra italiani e immigrati fa esplodere le tensioni sociali accumulate da anni. Cavalcate dalla destra populista
Oggi c’è una quota di 35 euro al giorno di rimborso spese per ogni ospite che non viene data all’immigrato ma alle cooperative, alla Caritas e alle associazioni i cui piani sono approvati da una commissione formata da rappresentati di enti locali, ministero dell’Interno e agenzia Onu per i rifugiati. Con questi 35 euro a immigrato, le associazioni devono coprire i costi per vitto, alloggio, pulizia e manutenzione dello stabile, mediazione culturale, assistenza legale, visite mediche e, in alcuni casi, per l’iter burocratico per diventare rifugiati. Per gli immigrati in quanto tali invece c’è il “pocket money”, cioè un buono per le spese quotidiane da due euro e cinquanta al giorno.
Tutt’altra questione riguarda altri tipi di “privilegi” veri o presunti degli immigrati, che vengono lamentati in questi giorni. Ad esempio, gli stranieri residenti e con permesso di soggiorno hanno spesso redditi più bassi e nuclei familiari più numerosi, che quindi consentono loro di avvantaggiarsi nelle graduatorie per l’assegnazione delle case popolari. Altro problema ancora è quello derivato dalla liberalizzazione degli orari dei negozi, che ha consentito a comunità molto organizzate al loro interno (soprattutto asiatiche) di tenere i loro negozi sempre aperti, sottraendo clientela alle botteghe di italiani.
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Infine c’è la questione del credito: spesso nelle comunità straniere (cinesi in testa) esistono sistemi di finanziamento interni e informali che permettono ai piccoli imprenditori di questi gruppi etnici di non doversi rivolgere alle banche, mentre in questa fase di stretta creditizia gli italiani vengono respinti quando chiedono qualche migliaio di euro agli sportelli. Non è un “privilegio” stabilito da nessuno, tanto meno da una legge: è una diversa usanza dovuta a culture più fortemente claniche. Ma diventa un’oggettiva condizione di disparità che crea tensione tra italiani e stranieri.
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