Altro che reddito garantito, ecco come si rilancia l’economia
Il MoVimento 5 Stelle ha recentemente presentato la proposta di legge per garantire a tutti 780 euro al mese. Ma se i soldi ci sono, andrebbero spesi in maniera diversa
C’è voluto un anno e mezzo. Ma alla fine il MoVimento 5 Stelle ha presentato un disegno di legge su uno dei principali temi del suo programma elettorale: il reddito di cittadinanza. In realtà più che di reddito minimo di cittadinanza, la proposta “5 stelle” riguarda il reddito minimo garantito.
Il reddito minimo garantito a “5 stelle”. Si tratta, in pratica, di un nuovo sistema di welfare già attuato in alcuni paesi europei, che permette ai lavoratori e ai disoccupati (cioè a persone in cerca di un impiego) di avere un reddito minimo di 780 euro al mese, non tassato né pignorabile. Quindi, i disoccupati avranno l’assegno per intero, mentre i lavoratori avranno un integrazione che permetterà loro di raggiungere i 780 euro di reddito complessivo. La possibilità di usufruire dell’assegno è legata in ogni modo all’iscrizione al centro dell’impiego, alla disponibilità di accettare un qualsiasi impiego che migliori la propria condizione reddituale e alla disponibilità di destinare otto ore settimanali a progetti di utilità sociale. Insomma, benvenuti a Pandora.
Ecco come trovare i soldi (secondo loro). In un mondo ideale la proposta di M5S per un reddito minimo garantito sarebbe una gran cosa. Ma in Italia è solo utopia. Perché in primo luogo bisogna recuperare risorse. Secondo le stime del MoVimento, l’introduzione del reddito minimo ha un costo che sfiora i 17 miliardi di euro. I soldi si recupererebbero con aumento della tassazione ai più ricchi, con un aumento della tassazione nei confronti delle aziende petrolifere e del gas (come se poi una maggiore tassazione non corrisponderà a prezzi più alti in bolletta), tagli alla politica, alla pubblica amministrazione e ai contributi all’editoria. E tagli alle spese militari per 3,5 miliardi che equivarrebbe a bloccare l’acquisto degli F35 e di parte delle forniture delle nuove navi destinate alla Marina. Peccato che l’Italia abbia un margine piuttosto ridotto (e già abbondantemente sfruttato) per diminuire la propria spesa militare vista la partecipazione alla Nato che obbliga i propri componenti a rispettare certi standard e certi armamenti. Uscire dalla Nato si può, ma i costi per la Difesa aumenterebbero, a meno di voler far finta che le minacce internazionali non esistano, salvo poi risvegliarsi quando le minacce si faranno concrete. E rimpiangere i due missili libici sparati decenni fa su Lampedusa.
Tranquilli, ci pensa Pantalone. Poi ci sono seri dubbi che in un paese che fa fatica ad affrancarsi da un sistema assistenzialista, il reddito minimo funzioni a dovere. Come i falsi invalidi, fioriranno i falsi disoccupati e con loro il lavoro nero. E, in ogni modo, non saranno gli attuali centri per l’impiego (soprattutto quelli in zone disagiate) a risolvere il problema della disoccupazione. In molti casi, oggi, è necessaria l’emigrazione anche all’interno dei confini nazionali. E i 780 euro saranno un incentivo a non cercarsi un lavoro a casa, in un’altra città o all’estero. Con il risultato che la disoccupazione non diminuirà e mancherà un serio stimolo all’economia.
Una storia già vista. Insomma, in un mondo ideale dove regnano il pane, la pace e l’amore, la proposta “5 stelle” è magnifica. In Italia si trasformerà in un incubo. Prima di tutto perché si lascia all’inefficiente macchina statale il compito di creare lavoro o di fare da tramite tra imprese e lavoratori. L’individuo non deve far altro che aspettare la cosiddetta manna dal cielo, senza un percorso formativo e senza un incentivo ad inviare CV direttamente a datori e aziende. Una storia già vista.
Se i soldi ci sono, usiamoli diversamente. In ultimo, se mai si dovessero recuperare questi fantomatici 17 miliardi, gran parte dovrebbero, invece, essere investiti per ridurre drasticamente il costo del lavoro (il cosiddetto cuneo fiscale), destinando il taglio del cuneo per il 30% al lavoratore (che equivale a spanne al 15-20% in più di reddito netto) e la restante parte al datore di lavoro che potrà così fare investimenti, assumere altri lavoratori ed espandere la produzione e il proprio fatturato. Un’altra parte, minoritaria, di questi 17 miliardi potrebbero essere utilizzati, con fondi recuperati dall’abolizione della cassa integrazione, per un serio piano di reddito minimo garantito che preveda un assegno che obblighi il disoccupato a corsi di formazione e che sia decrescente nel tempo in modo da essere un incentivo a trovare un nuovo impiego in maniera autonoma. Così si rilancia l’economia, non con ricette che appaiono nuove ma che sono solo state copiate da un passato nemmeno troppo lontano.
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