domenica 28 dicembre 2014

Riceviamo e pubblichiamo.

Il nuovo “modello Consip” non migliora nulla

Per tempi e modi la riforma solleva molti dubbi. Meglio usare le Province come stazioni appaltanti

Immagine tratta da Flickr, di Les Chatfield

   
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L’Italia ha sperimentato nel corso di più di un decennio vari tentativi di centralizzazioni degli appalti pubblici, in particolare (e quasi esclusivamente) nel settore dell’acquisto dei beni e servizi. L’idea di fondo è quella che le economie di scala raggiungibili con gare “grandi” e  la maggiore competenza presente in tali centrali ridurrà sprechi e produrrà risparmi di spesa aiutando l’economia a crescere. Con poca immaginazione si è sempre trascurato l’impatto sulle PMI di tale approccio.
La nuova strategia del Governo Renzi poggia su quattro pilastri:
1. L’istituzione del Tavolo tecnico dei c.d. “soggetti aggregatori” (non superiori a 35 stazioni appaltanti, di larga massima la Consip del Tesoro, “Consip regionali” e “Consip metropolitane”), che dovrebbe colmare un gap istituzionale che ad oggi genera mancanza di coordinamento e resistenze al paragone delle performance tra grandi acquirenti pubblici nazionali. Tali soggetti, su categorie di beni e servizi identificate ad inizio anno come facilmente standardizzabili, dovranno essere gli unici a effettuare gare per Stato, aree metropolitane e Regioni. Non è chiaro perché non venga ideata una struttura ed una governance simile anche per i lavori pubblici.
2. La creazione, entro fine di quest’anno, di una stazione centrale stile Consip in ogni Regione.
3. L’esclusione per i Comuni non capoluogo di provincia di acquistare lavori, beni e servizi in autonomia. Rimarrebbe la possibilità di unirsi in aggregazioni comunali o altrimenti di ricorrere alle province o ad un soggetto aggregatore.
4. Lo stanziamento di risorse (minime) per il Tavolo degli aggregatori, presumibilmente per sostenere le stazioni appaltanti che non fanno parte del Tavolo nel disegnare gare per quelle categorie di beni e di servizi che non rientrano nelle categorie individuate ogni anno e dove vige maggiore discrezionalità.
È una strategia destinata al successo? Al di là del fatto che i decreti attuativi sono già in ritardo (a testimonianza di una mancanza di un senso di urgenza del tema nelle stanze del Governo), rimangono forti perplessità se veramente si vuole ottenere un sistema di appalti capace di assicurare performance di qualità. Ci vogliono anche investimenti notevoli per ottenere: a) i dati per monitorare le performance (assenti a tutt’oggi); b) una governance dei controlli sulla qualità delle commesse e il rispetto dell’obbligo di acquistare presso i soggetti aggregatori (le lettere di Cantone e Cottarelli mai spedite a chi non si era adeguato agli obblighi nel passato la dice lunga sulla volontà politica di mettere la “casa” in ordine); c) una vera professionalizzazione delle stazioni appaltanti.
Il coordinamento lascia poi insoluta la questione della governance dell’esecuzione delle gare, sia a livello territoriale che di tipologia di appalti. Per quanto riguarda la dimensione territoriale, la richiesta ai Comuni non capoluogo di provincia di costituirsi in unioni di Comuni, per quanto difficile da realizzare, rappresenta un obiettivo di dimensione minima delle stazioni appaltanti che va apprezzato ma che rimane da sempre un pio desiderio. Sarebbe ora di forzare la mano ed immaginare che le vituperate cento e passa Province, dove albergano notevoli competenze sugli appalti e che rimangono a livello sociale l’entità organizzativa del territorio più vicina alle culture ed alla storia locale, siano responsabilizzate come unica stazione appaltante, per tutto quello che non è acquisti sanitari da lasciare alle Regioni. Sarebbe un’aggregazione che non darebbe fastidio alle PMI e che permetterebbe un controllo più agevole della qualità delle commesse.
Per quanto riguarda la tipologia di appalti, è noto come la standardizzazione di beni e servizi è possibile solo per una quota parte di questi. Sulla rimanente parte è grande discrezionalità non solo da parte di piccole stazioni appaltanti ma anche di grandi acquirenti come i Ministeri. Tutto ciò è vero anche per la grande galassia dei lavori pubblici. È ovvio che tali acquisti vanno non solo tracciati (punto a), controllati (punto b) e gestiti da professionisti (punto c) ma anche programmati in anticipo così da ridurre il rischio che tali appalti non siano in ultima analisi aggiudicati approssimativamente e con procedure non competitive.
Se il Governo veramente volesse combattere sprechi da corruzione e incompetenza dovrebbe far partire una vera macchina da guerra. La lentezza nei tempi di attuazione del decreto e la mancanza di ambizione organizzativa paiono dire tutt’altro.

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