Tutti gli sprechi dei Comuni
Mentre i sindaci devono risparmiare, la loro associazione distribuisce stipendi d’oro. Spesso ad amici di parlamentari che arrivano a oltre 200mila euro di retribuzione. E spende cinque milioni per la formazione
Si chiama Accademia per le Autonomie, pomposamente, come se fosse l’Accademia dei Lincei o delle Belle Arti, è stata presentata come «un’offerta formativa che coinvolgerà migliaia di persone in ogni parte del Paese, avvalendosi delle migliori competenze disponibili nel mondo delle università e delle amministrazioni». Rischia di trasformarsi in uno spreco di denaro pubblico, cinque milioni di euro l’anno, a vantaggio di una gestione fortemente centralizzata, il contrario delle autonomie che sono nello spirito dei padri fondatori dell’Anci, l’Associazione nazionale dei comuni italiani, da don Luigi Sturzo all’inizio del Novecento in giù.
Con una pioggia di fondi pubblici su associazioni di enti che sulla carta sarebbero destinati a sparire, vedi le mitiche province, in teoria cancellate dalla riforma firmata daGraziano Delrio. Per esempio l’Upi, l’Unione delle province italiane, così ramificata da riuscire a bloccare per anni ogni tentativo di riforma dell’ente intermedio tra regione e comune: sarebbe destinata all’estinzione, invece continuerà a incassare un finanziamento statale per formare i suoi amministratori.
L’Anci, l’associazione nazionale dei comuni italiani oggi presieduta da un big della politica nazionale, il sindaco di Torino Piero Fassino, va a congresso a Milano in un clima di scontro con il governo e con il premier Matteo Renzi. L’incontro a Palazzo Chigi sulla legge di Stabilità, il 29 ottobre, è finito nella totale incomunicabilità. Con qualche apertura nel vertice successivo del 4 novembre.
Fassino e i sindaci protestano contro i tagli che nei calcoli dei comuni oscillano tra i 3,5 e i 3,7 miliardi di euro, compreso un miliardo in meno per le nuove città metropolitane e le province di secondo grado. Il premier, che è passato direttamente dalla fascia tricolore a Palazzo Chigi, va giù duro: «Per me le città metropolitane devono portare risparmi di spesa, non diventare il pretesto per chiedere altre risorse. Le province non esistono più: in attesa della riforma che le eliminerà dalla Costituzione già da ora sono annullate. I comuni si impegnino a tagliare spese superflue».
Lo stesso giorno, il 29 ottobre, ha finalmente cominciato le sue attività didattiche l’Accademia per l’Autonomia, il nuovo ente di formazione territoriale destinato a segretari comunali e provinciali, al personale degli enti locali e agli amministratori locali previsto da una convenzione tra lo Stato centrale con il ministero dell’Interno, l’Anci e l’Upi. La convenzione risale a quasi un anno fa, è stata firmata al Viminale il 12 dicembre 2013, quando c’era il governo Letta, l’anno solare è quasi finito ma non c’è problema, il corso comprenderà l’arco 2014-2015, finirà a maggio e darà modo agli enti organizzatori di incamerare i fondi previsti. La struttura è interamente centralizzata: i milioni di euro sono attribuiti dal Viminale all’Anci e all’Upi nazionale.
Tutto regolare e approvato dalla Corte dei conti. E non è in discussione la didattica: il comitato scientifico comprende i migliori docenti del settore e ogni costo sarà pubblicato sul sito alla voce trasparenza. Ma le spese per le lezioni coprono poco più del 30 per cento dei 4 milioni già stanziati: 1,4 milioni. Il resto se ne va in alberghi, ospitalità e logistica (1,9 milioni di euro) e amministrazione, quasi un milione. Ovvero un altro finanziamento alle strutture centrali di Anci e Upi, che a differenza delle città governate dai loro iscritti non sembrano soffrire l’austerity.
L’Anci ha contato negli ultimi anni sulla presidenza di politici di lungo corso come Sergio Chiamparino o Fassino, con Graziano Delrio che la lasciò per diventare ministro. È diventata una lobby potente man mano che il potere centrale si faceva evanescente e cresceva il ruolo pubblico dei primi cittadini. E anche Renzi quando era a Firenze sarebbe arrivato alla guida dei sindaci italiani se non fosse stato bloccato dalle divisioni interne al Pd. Ma il vero potere è sempre rimasto in mano alla macchina burocratica e amministrativa: quasi una metafora del resto del Paese che il sindaco d’Italia Renzi fatica a governare.
Per oltre un decennio il dominus dell’associazione come segretario generale dell’Anci è stato Antonio Rughetti, oggi deputato renziano e sottosegretario del ministro Marianna Madia alla Pubblica Amministrazione. Era in Ancitel con Enzo Bianco, all’epoca giovane e moderno sindaco di Catania, che lo volle con sé al Viminale. Enzo Bianco, di origine repubblicana, è stato eletto presidente dell’Anci nel 1995, ma per due decenni il motore dell’associazione è stato il fratello Arturo, a lungo responsabile degli Enti locali del Psi in era craxiana e presidente dell’Anci Sicilia. Ora Bianco (Enzo) è tornato a fare il sindaco di Catania e i siciliani sono tornati a guidare l’Associazione dei comuni. Parenti e amici. La nuova segretaria generale è Veronica Nicotra, figlia dell’ex deputato Dc Enzo. Il suo compenso annuo supera i 283mila euro, ampiamente sopra il tetto dei 240mila euro previsti dal governo Renzi per i manager pubblici. Da poco è stata assunta in Anci come responsabile marketing istituzionale associativo, promozione e organizzazione eventi, manifestazioni e convegni Patrizia Minnelli, l’ex segretaria e portavoce fedelissima di Enzo Bianco, con uno stipendio di 116mila euro. Il vice della Nicotra è Alessandro Gargani: figlio dell’ex deputato Dc e poi Forza Italia Giuseppe, supera i 210mila euro. L’ex senatore del Pd Lucio D’Ubaldo, a lungo uomo macchina dell’Anci, continua a prendere dall’associazione 197mila euro. E tanti dirigenti centrali superano i 100mila euro.
Vallo a dire a Renzi, con cui i Comuni piangono miseria. Anche nel caso dell’Accademia per le Autonomie la burocrazia si è sostituita ai vertici politici. Fassino pensa alle grandi strategie, i dirigenti centrali a far girare la macchina, fuori da ogni progetto politico. Eppure mai come nell’ultimo anno il settore degli enti locali è sottoposto a tentativi di cambiamento radicale. Ma le resistenze sono enormi e ogni innovazione rischia di trasformarsi nel suo opposto. La riforma Delrio con il cambio di modalità di elezione per le Province si è trasformata in una festa per il ceto politico locale che ha potuto votarsi da solo e nominarsi ai vertici delle province e delle città metropolitane senza più passare dagli imprevedibili elettori. L’Upi potrebbe diventare l’ennesimo caso di associazione che sopravvive alla scomparsa dei suoi associati, come i combattenti e reduci di guerra. E i segretari comunali di cui era stata annunciata l’eliminazione con la riforma del ministro Madia sono invece vivi e vegeti e continueranno a lottare. Anzi, è in arrivo per loro l’apposito corso di formazione a spese dello Stato centrale. Accademia per le Autonomie, fin troppo autonome.
Con una pioggia di fondi pubblici su associazioni di enti che sulla carta sarebbero destinati a sparire, vedi le mitiche province, in teoria cancellate dalla riforma firmata daGraziano Delrio. Per esempio l’Upi, l’Unione delle province italiane, così ramificata da riuscire a bloccare per anni ogni tentativo di riforma dell’ente intermedio tra regione e comune: sarebbe destinata all’estinzione, invece continuerà a incassare un finanziamento statale per formare i suoi amministratori.
L’Anci, l’associazione nazionale dei comuni italiani oggi presieduta da un big della politica nazionale, il sindaco di Torino Piero Fassino, va a congresso a Milano in un clima di scontro con il governo e con il premier Matteo Renzi. L’incontro a Palazzo Chigi sulla legge di Stabilità, il 29 ottobre, è finito nella totale incomunicabilità. Con qualche apertura nel vertice successivo del 4 novembre.
Fassino e i sindaci protestano contro i tagli che nei calcoli dei comuni oscillano tra i 3,5 e i 3,7 miliardi di euro, compreso un miliardo in meno per le nuove città metropolitane e le province di secondo grado. Il premier, che è passato direttamente dalla fascia tricolore a Palazzo Chigi, va giù duro: «Per me le città metropolitane devono portare risparmi di spesa, non diventare il pretesto per chiedere altre risorse. Le province non esistono più: in attesa della riforma che le eliminerà dalla Costituzione già da ora sono annullate. I comuni si impegnino a tagliare spese superflue».
Lo stesso giorno, il 29 ottobre, ha finalmente cominciato le sue attività didattiche l’Accademia per l’Autonomia, il nuovo ente di formazione territoriale destinato a segretari comunali e provinciali, al personale degli enti locali e agli amministratori locali previsto da una convenzione tra lo Stato centrale con il ministero dell’Interno, l’Anci e l’Upi. La convenzione risale a quasi un anno fa, è stata firmata al Viminale il 12 dicembre 2013, quando c’era il governo Letta, l’anno solare è quasi finito ma non c’è problema, il corso comprenderà l’arco 2014-2015, finirà a maggio e darà modo agli enti organizzatori di incamerare i fondi previsti. La struttura è interamente centralizzata: i milioni di euro sono attribuiti dal Viminale all’Anci e all’Upi nazionale.
Tutto regolare e approvato dalla Corte dei conti. E non è in discussione la didattica: il comitato scientifico comprende i migliori docenti del settore e ogni costo sarà pubblicato sul sito alla voce trasparenza. Ma le spese per le lezioni coprono poco più del 30 per cento dei 4 milioni già stanziati: 1,4 milioni. Il resto se ne va in alberghi, ospitalità e logistica (1,9 milioni di euro) e amministrazione, quasi un milione. Ovvero un altro finanziamento alle strutture centrali di Anci e Upi, che a differenza delle città governate dai loro iscritti non sembrano soffrire l’austerity.
L’Anci ha contato negli ultimi anni sulla presidenza di politici di lungo corso come Sergio Chiamparino o Fassino, con Graziano Delrio che la lasciò per diventare ministro. È diventata una lobby potente man mano che il potere centrale si faceva evanescente e cresceva il ruolo pubblico dei primi cittadini. E anche Renzi quando era a Firenze sarebbe arrivato alla guida dei sindaci italiani se non fosse stato bloccato dalle divisioni interne al Pd. Ma il vero potere è sempre rimasto in mano alla macchina burocratica e amministrativa: quasi una metafora del resto del Paese che il sindaco d’Italia Renzi fatica a governare.
Per oltre un decennio il dominus dell’associazione come segretario generale dell’Anci è stato Antonio Rughetti, oggi deputato renziano e sottosegretario del ministro Marianna Madia alla Pubblica Amministrazione. Era in Ancitel con Enzo Bianco, all’epoca giovane e moderno sindaco di Catania, che lo volle con sé al Viminale. Enzo Bianco, di origine repubblicana, è stato eletto presidente dell’Anci nel 1995, ma per due decenni il motore dell’associazione è stato il fratello Arturo, a lungo responsabile degli Enti locali del Psi in era craxiana e presidente dell’Anci Sicilia. Ora Bianco (Enzo) è tornato a fare il sindaco di Catania e i siciliani sono tornati a guidare l’Associazione dei comuni. Parenti e amici. La nuova segretaria generale è Veronica Nicotra, figlia dell’ex deputato Dc Enzo. Il suo compenso annuo supera i 283mila euro, ampiamente sopra il tetto dei 240mila euro previsti dal governo Renzi per i manager pubblici. Da poco è stata assunta in Anci come responsabile marketing istituzionale associativo, promozione e organizzazione eventi, manifestazioni e convegni Patrizia Minnelli, l’ex segretaria e portavoce fedelissima di Enzo Bianco, con uno stipendio di 116mila euro. Il vice della Nicotra è Alessandro Gargani: figlio dell’ex deputato Dc e poi Forza Italia Giuseppe, supera i 210mila euro. L’ex senatore del Pd Lucio D’Ubaldo, a lungo uomo macchina dell’Anci, continua a prendere dall’associazione 197mila euro. E tanti dirigenti centrali superano i 100mila euro.
Vallo a dire a Renzi, con cui i Comuni piangono miseria. Anche nel caso dell’Accademia per le Autonomie la burocrazia si è sostituita ai vertici politici. Fassino pensa alle grandi strategie, i dirigenti centrali a far girare la macchina, fuori da ogni progetto politico. Eppure mai come nell’ultimo anno il settore degli enti locali è sottoposto a tentativi di cambiamento radicale. Ma le resistenze sono enormi e ogni innovazione rischia di trasformarsi nel suo opposto. La riforma Delrio con il cambio di modalità di elezione per le Province si è trasformata in una festa per il ceto politico locale che ha potuto votarsi da solo e nominarsi ai vertici delle province e delle città metropolitane senza più passare dagli imprevedibili elettori. L’Upi potrebbe diventare l’ennesimo caso di associazione che sopravvive alla scomparsa dei suoi associati, come i combattenti e reduci di guerra. E i segretari comunali di cui era stata annunciata l’eliminazione con la riforma del ministro Madia sono invece vivi e vegeti e continueranno a lottare. Anzi, è in arrivo per loro l’apposito corso di formazione a spese dello Stato centrale. Accademia per le Autonomie, fin troppo autonome.
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