La truffa della Camusso: il suo esercito non esiste
Immigrati, scontenti, disoccupati. Altro che prova di forza del sindacato, in piazza c'era un partito finto
Immigrati, scontenti, disoccupati. Altro che prova di forza del sindacato, in piazza c'era un partito finto
«Un po' troppe bandiere della stessa tonalità», scherzava ieri un sindacalista. Come dire, la piazza di Roma è imponente e d'effetto, ma il colpo d'occhio è un po' da Corea del Nord.
Bandiere prestampate e distribuite militarmente. Quello della Cgil passerà alla storia come un corteo vintage , nelle forme e persino nelle cifre: quel «milione di partecipanti», al quale nessuno crede (piazza San Giovanni tiene circa 160 mila persone), ma che vuole fare il verso a tempi più fortunati per il sindacato della sinistra. Un corteo pianificato da un'organizzazione che non riesce più a trasformare i suoi sforzi in consensi, secondo l'analisi di Giuliano Cazzola, ex Cgil, oggi Ncd: «È una confederazione da cinque milioni di iscritti ma poi politicamente alle primarie del Pd fa prendere a Cuperlo che la sostiene appena il 20%. Fossi in Grillo ci farei un pensierino».
Difficoltà evidenti già da qualche giorno, quando il segretario Susanna Camusso fece appello «agli iscritti» affinché partecipassero ad una manifestazione vitale per il loro sindacato. Se lo chiede questo il ragionamento che si faceva nei giorni scorsi dalle parti di Cisl e Uil significa che non riesce nemmeno a mobilitare i suoi. Una confederazione che in piazza porta non la sua vera forza, gli iscritti, ma un mix eterogeneo di immigrati, scontenti, disoccupati. Lo svela un sondaggio effettuato ieri in piazza da Tecné: il 65% dei partecipanti alla manifestazione è costituito da non iscritti alla Cgil, e solo il 37% è un lavoratore con contratto a tempo indeterminato. Il 58% dei partecipanti inoltre ha meno di 44 anni, ha un diploma (48%) o una laurea (16%).
Più facile portare un manifestante a Roma in un sabato di sole che convincere un elettore. Soprattutto se la richiesta è quella di fare opposizione a Matteo Renzi, che nel mondo della sinistra resta il recordman dei sondaggi. Non devono essersene accorti i tanti esponenti della sinistra, soprattutto Pd, che hanno partecipato al corteo nella speranza di essere proclamati generali del popolo Cgil. Dietro lo striscione dei poligrafici dell' Unità ieri c'erano Gianni Cuperlo e Pippo Civati. Poi Stefano Fassina, gli ex segretari della Cgil Sergio Cofferati e Guglielmo Epifani, Rosy Bindi e Antonio Bassolino. Difficile sedurre così grosse fette di elettorato. Il partito Cgil sembra fatto da graduati compiaciuti e poca truppa vera.
Non importa più di tanto a Maurizio Landini, leader Fiom che ha imposto le sue posizioni nella Cgil, sicuro che il corteo dimostri come il governo abbia perso «il consenso di quelli che lavorano». Se è un partito è già a corto di contenuti, visto che l'unica proposta è la solita patrimoniale «sulle grandi ricchezze che va fatta». Così si libererebbero «risorse per posti di lavoro qualificati». Difficile realizzare questo sogno. Nell'immediato resta la mobilitazione per creare un'area che si opponga a Renzi.
«La Cgil continuerà la sua protesta contro il Jobs Act anche con lo sciopero generale».
Il segreto (di Pulcinella) è che la grande marcia un po' maoista del 25 ottobre serva a lanciare né una scissione né un partito che tenga dentro Sel, ma una componente del Pd un po' più strutturata e combattiva. «Ora spero che le varie anime della minoranza Dem trovino una posizione comune anche in Parlamento» perché «non posso sempre essere io ad essere preso come un matto», è sbottato ieri Civati. Per niente facile trasformare un corteo in consensi, ma anche mettere d'accordo le correnti Pd che si oppongono a Renzi.
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