sabato 1 novembre 2014

Sono dieci anni che dico e scrivo queste cose.


ECONOMIA 

Sindacato, riforma Renzi: 5 cose da cambiare

Dove vuole mettere mano il premier.

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25 Agosto 2014


Per Matteo Renzi i sindacati sono in cima alla lista della realtà da rottamare. Tanto che a maggio sentenziò che se Cgil, Cisl e Uil «vogliono cambiare l’Italia insieme a noi, ci stiamo, ma in un momento in cui tutti fanno sacrifici, anche la politica e i sindacati devono fare la loro parte iniziando dalla riduzione del monte ore dei permessi e mettendo on line tutte le loro spese».
SEGNALI DA BONANNI. Da allora soltanto la confederazione di via Po ha dato segnali in questa direzione. Non a caso il leader Raffaele Bonanni ha chiesto al premier di tenere in conto le differenze tra le varie sigle e non appiattirsi sulla Cgil. Infatti il tema della riforma interna del sindacato è più sentito a livello accademico che nel mondo confederale stesso.
Ecco i cinque rebus di Renzi sui sindacati.
  • Una manifestazione della Cgil (©ImagoEconomica).

1. Sedi: sono troppe, serve una sforbiciata

Nel suo L’altra Casta Stefano Livadiotti ha scritto che il sindacato è l’ottava azienda italiana. Tanto che dà lavoro, «con il suo sistema tentacolare», a circa 20 mila persone.
In controtendenza Bonanni. Il quale ha sottoposto la sua Cisl a una forte opera di dimagrimento: alcune strutture regionali (Abruzzo e Molise, Puglia e Basilicata) sono state accorpate, quelle provinciali sono passate da 116 a 69, le segreterie hanno visto il personale ridursi del 30%, 10 mila quadri sono stati ricollocati in altre funzioni.
Di diversa opinione la Cgil, che rivendica il 'peso' della sua organizzazione.
UIL: PATRIMONIO DA 35 MLN. In quest'ottica - anche se non viene valorizzato come fanno altri enti privati - va tenuto in mente un grandissimo patrimonio immobiliare in capo a queste realtà. E che va oltre le sedi tout court, se l'ex segretario dei chimici di Corso d'Italia, Giuliano Cazzola, ha ricordato che l'ex leader Bruno Trentin «s'innamorò di una villa sul Trasimeno».
La Cgil dichiara almeno 3 mila sedi, la Cisl 5 mila, mentre la Uil sarebbe in possesso di immobili per un valore di 35 milioni di euro.

2. Finanziamenti: meno soldi dallo Stato e bilanci pubblici

Per tenere in piedi realtà tanto complesse, servono soldi. E non basta soltanto il miliardo recuperato attraverso il tesseramento.
Tra le critiche poste spesso al sindacato c’è quello di drenare ogni anno centinaia di migliaia di fondi pubblici dallo Stato.
C’è chi ha stimato trasferimenti pari a 1 miliardo di euro. Di questo, soltanto 600 milioni arriva dal sistema dei patronati e dei Caf, strutture da tempo nel mirino delle associazioni professionali per le agevolazioni fiscali e tariffarie garantite.
IL 37% DAL TESSERAMENTO. Altri soldi sono garantiti dai gettoni di presenze o dai servizi - le cosiddette quote di assistenza contrattuale - legati alla partecipazione di funzionari sindacali agli enti bilaterali. Il Fatto Quotidianoha denunciato che la Filcams Cgil, l'organizzazione del terziario, nel 2010 ha comunicato che «i ricavi per contributi sindacali, le tessere, ammontavano a 1,7 milioni di euro mentre quelli per le 'quote di assistenza contrattuale' erano molto più alti, 2,15 milioni e 685 mila euro provenivano da 'gettoni di presenza'. Solo il 37% delle entrate, quindi, proveniva dalle tessere degli iscritti».
Di più è difficile sapere, perché come accade per tutte le holding, le confederazioni non sono tenute a presentare un bilancio consolidato, mentre non sono pubblici quelli delle singole categorie.

3. Ritenute: più chiarezza su chi paga per le tessere

Renzi ha definito il sindacato una realtà fuori dal tempo perché «non riesce, magari non per colpa solo sua, a rappresentare i ragazzi e le ragazze»: «C'è da capirlo, visto che il 75% dei tesserati sono pensionati».
Sarà anche vero, ma i tesserati attuali (quasi 11 milioni) sono sufficienti al sistema confederale per incamerare ogni anno circa 1 miliardo attraverso la trattenuta automatica in busta paga per gli iscritti: circa 120 euro all’anno per i dipendenti, 60 per i pensionati. Circa 600 milioni vengono versate dalle imprese, quasi 400 dall’Inps. Ma siccome l'abbandono del sindacato passa per una richiesta scritta, molti lavoratori non lo sanno e continuano a pagare la quota associativa a loro insaputa.
Se non bastasse vengono persino inseriti nelle platea dei potenziali clienti dei patronati, che così giustificano gli alti trasferimenti statali.

4. Rappresentanza: serve la garanzia di un organismo terzo

Il Testo Unico scaturito dall’accordo tra confederali e Confindustria ha il merito di «certificare» la rappresentanza attraverso il lavoro di un organismo terzo. Il quale peserà le sigle sommando iscritti e voti ottenuti per le elezioni delle Rsu.
L'accordo poi rende vincolanti i contratti nazionali, quando ottengono il consenso del 50% più uno della rappresentanza sindacale assieme con il 50% più uno del voto dei lavoratori. Garantisce piena agibilità sindacale alle realtà che raggiungono il livello del 5% di rappresentanza.
SERVE LA TREGUA SINDACALE. È sufficiente? Da tempi non sospetti il giuslavorista e senatore di Scelta Civica, Pietro Ichino, chiede «l'introduzione di una clausola di tregua sindacale, che sia effettivamente vincolante nei confronti di tutti i lavoratori, anche ai non firmatari di contratto»: «In tutti i maggiori Paesi dell’Occidente industrializzato, tranne la Francia, la clausola di tregua prevede la rinuncia a proclamare lo sciopero contro il contratto, vincola tutti i lavoratori cui si applica il contratto stesso».

5. Permessi: la riforma Pa li ha dimezzati del 50% 

L'ultimo piano per la Pubblica amministrazione del governo Renzi ha tagliato del 50% il numero di permessi e distacchi sindacali.
È stato calcolato in passato che l'esercizio di questo diritto è costato alla casse pubbliche circa 113 milioni all'anno, l'equivalente di 3.655 lavoratori statali pagati senza essere presentati nemmeno un giorno in ufficio.
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