domenica 26 ottobre 2014

Riceviamo e pubblichiamo.

“Con questa politica la camorra non morirà mai”

Giandomenico Lepore, ex procuratore capo di Napoli: la riforma della giustizia è urgente da 2 secoli
(Carlo Hermann/Afp/Getty Images)

(Carlo Hermann/Afp/Getty Images)

   
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«Fino a quando ci sarà gente in Parlamento che lancia libri, fa a cazzotti o dietro compenso cambia partito, la criminalità organizzata continuerà a prosperare indisturbata». Giovandomenico Lepore è quello che si può definire un napoletano verace, un uomo che ha trascorso 50 anni in magistratura di cui una decina a capo della Procura di Napoli. Davanti agli occhi sono passate le inchieste più scottanti di camorra, ma anche Calciopoli, la P4 e molte altre ancora. Dopo un po’ di resistenze ha deciso di scrivere un libro. «Me lo chiedevano in tanti. “Fai un libro, racconta la tua carriera”. Ma le librerie stanno fallendo e di fare un po’ quello che fanno in tanti non ne avevo voglia» spiega. Ma un giorno succede qualcosa: «Ho conosciuto Nico Pirozzi e mi ha convinto». Nasce così Chiamatela pure Giustizia (Se vi pare), libro di 176 pagine dove Lepore ripercorre gli anni da magistrato, gli arresti eccellenti, la politica, i retroscena delle inchieste, le difficoltà di una giustizia ancora da riformare. Non risparmia critiche a Roberto Saviano, l'autore di Gomorra. «Saviano è una persona intelligente» si legge nel libro «che l’editoria ha saputo sfruttare con ancor maggiore acume. Gli va riconosciuto il merito di aver portato alla ribalta nazionale un fenomeno di cui non tutti, in Italia, avevano compreso la gravità. Un po’ meno generoso sarei nel giudicare la rappresentazione della città e dei suoi abitanti che ha offerto al Paese. Si tratta di una fotografia generalista e semplicistica». In tutto in libro c'è spesso molta ironia. «Altrimenti ci mettevamo tutti a piangere» chiosa.
Uno dei temi più affrontati dal libro è la riforma della giustizia, argomento di stretta attualità perché il governo di Matteo Renzi sta provando a metterci mano, con grosse difficoltà.
È un tema attuale così come lo era 200 anni fa (ride ndr). È come l’emergenza rifiuti: c’è l’emergenza, ma dura da vent’anni. Guardi, nelle requisitorie che si facevano tanti anni fa all’inizio dell’anno giudiziario ricordo che ci si lamentava delle stesse cose di cui ci si lamenta di oggi. I problemi sono sempre gli stessi, la mancanza di personale, la lentezza e la burocrazia. Allora mi sono domandato, come mai dopo tanti anni non si riesce a fare una riforma della giustizia? 
Libro Giovandomenico Lepore
Come se ne esce?
Di tentativi ne sono stati fatti, ma sono stati bruciati da interventi della Corte Costituzionale. Le rispondo come ho fatto nel libro. Una giustizia lumaca, che balbetta, fa comodo a tanti: al cittadino inadempiente che trova l’humus ideale tra le maglie larghe di un sistema giudiziario che fa acqua da tutte le parti; all’avvocato che grazie al vasto campionario presente nel codice penale italiano, da un verso, e ai tempi lunghi dei processo, dall’altro, vede lievitare il proprio onorario; al politico che finisce a processo, per il quale una giustizia lenta e farraginosa può rappresentare una vera e propria manna dal cielo...
Più colpa della magistratura o della politica quindi?
I magistrati vogliono solo un processo snello e rapido che faccia giustizia. Se io una condanna la emetto dopo 5 o 6 anni, o se c’è un residuo di pena che faccio scontare a qualcuno che si è già reinserito persino dopo 10 anni, vuol dire che qualcosa non funziona.
Magari non funziona neppure l’uso eccessivo della carcerazione preventiva. A volte se ne abusa. 
Spesso viene usata sbagliando, è vero. Perché molto spesso si sa che successivamente un’espiazione della pena non avviene. D’altra parte i controlli ci sono, i vari gradi e abusi vengono scoperti, molte volte bisogna interpretare il codice, la possibilità di inquinamento delle prove, della reiterazione dei fatti... Sono formule che nella prima fase delle indagini è ben difficile controllare.
E qui ci porta a un altro tema, la responsabilità civile dei magistrati.
Un altro assurdo. Noi non è che siamo esenti dalla responsabilità civile, noi siamo i primi ad assicurarci... È chiaro che non possiamo consentire che chiunque abbia torto possa immediatamente chiedere il risarcimento danni. Per questo c’è il filtro del ministero, se il ministero valuta che c’è stato colpa grave o dolo allora scatterà il risarcimento. Si dice “ma il ministero non lo fa mai...”.
Appunto
Noi non rispondiamo di colpa semplice.
Questo ci porta a un altro principio molto discusso in Italia: l’obbligatorietà dell’azione penale.
È un principio giusto, inserito nella Costituzione, che non lo diventa più perché poi diventano così tanti nella scala di priorità i reati perseguibili che bisogna fare delle scelte. A Napoli il furto in casa è una bazzecola, ma in Toscana è sulle prime pagine.
Qual è il suo ricordo più bello da capo della procura di Napoli?
Il ricordo più bello è quello di essere riuscito a mettere in galera quattro latitanti di camorra che erano protetti da reti di protezione quasi militari, Iovine ha parlato addirittura di tre cordoni di sicurezza. E l’ultimo che avevo chiesto è stato Michele Zagaria. Ci sono state molte altre soddisfazioni, come fermare la faida di Scampia. Quando io presi la situazione alle Vele era insostenibile, ora è migliorata a differenza di quello che appare nella serie televisiva Gomorra. Non è più quella zona. Per questo mi sono battuto nei confronti della casa produttrice perché almeno si dica che questi fatti narrati sono antecendenti agli ultimi dieci anni.
La sua è stata una procura compatta. Ora c’è quella di Milano che rischia di esplodere, da mesi è attraversata da veleni di ogni tipo che mai si erano visti.
All’origine la mia procura non era affatto compatta. La trovai spaccata in due. In questo senso sono sempre stato abbastanza avvantaggiato, perché conoscevo Napoli e i magistrati. Con un po’ di buona volontà abbiamo ricompattato il tutto.
E Milano?
Conosco bene Bruti Liberati, è un grande amico. Sta passando anche lui quello che ho passato io, lui con un procuratore aggiunto, io nei confronti di due sostituti a cui dovetti togliere una parte di inchieste sull’immondizia.  La questione rimase però circoscritta all’interno.
Nell’opinione comune le procure del Sud sono state sempre quelle più criticate, mentre il palazzo di Giustizia di Milano, quello di Tangentopoli, non si pensava fosse in queste condizioni. Non c’è il rischio che sia poi la giustizia a risentirne in credibilità?
Sono vicende che fanno perdere sempre credibilità magistratura, se si possono risolvere in altro modo dal finire sui giornali sarebbe meglio. Quello che mi auguro sempre è che alla fine ci sia un chiarimento tra le parti. In effetti Milano è stata sempre molto compatta. Ma ha numero molto alto di magistrati. Sono quasi 100 le teste pensanti lì dentro. Non sono semplici soldatini. È inevitabile quindi che ci possano essere dei contrasti e delle diversità di vedute.
Non c’è un problema di correnti nella magistratura?
Nel libro lo metto chiaramente in evidenza. Questo è un problema che deve essere superato. Non è una questione di destra o di sinistra. Non ci sono collegamenti con partiti o non partiti, che ora non esistono neanche più data la migrazione di personaggi da destra a sinistra senza troppi problemi.... Nella magistratura ci sono correnti che si ispirano a delle situazioni particolari dentro la magistratura. E purtroppo quando nel momento in cui si deve scegliere il titolare di un ufficio si guarda anche alla corrente dell’una o dell’altra parte. Può capitare che vengano eletti per motivi correntizi soggetti che non hanno le capacità per dirigere un particolare ufficio.
Poi però c’è chi tra i magistrati decide di scendere in politica, come Antonio Ingroia o il suo ex sindaco Luigi De Magistris.
Sono fatti che devono essere repressi e puniti. La strumentalizzazione dell’attività per fini personali è sbagliata. Molte volte il magistrato viene preso dalla voglia di acquistare notorietà, attraverso i media, apparire molto in televisione. A volte arrivano a vincere persino le elezioni... 
Non crede che pure nel processo sulla trattativa Stato Mafia, il fatto di aver convocato come teste il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ci sia una certa voglia di notorietà da parte dei magistrati?
Non voglio entrare nel merito di un’inchiesta che non ho seguito personalmente. Se parlo da cittadino è un processo che non mi convince.  Sono fatti molto datati..
Nel 2009 lei disse che 3 politici su 10 sono collegati con la camorra.
A me non piacciono le statistiche, né le percentuali o i numeri. Fu il giornalista all’epoca a mettermi in bocca queste considerazioni che alla fine non si discostavano molto dalla realtà. Bastava guardare le infiltrazioni camorristiche nei comuni del napoletano e del casertano.
Ma adesso è ancora così?
Fino a quando ci sarà la criminalità organizzata ci sarà sempre un filo diretto con le azioni politiche. Fino a quando non riusciremo a tagliare questo filo, resisteranno questi bacini di voti per chi si vuole candidare nella vita pubblica. Basta vedere quello che succede in Parlamento, non danno un buon esempio, lanciando carte e cazzotti, mercimonio di senatori, episodi, dietro compenso, da un partito a un altro.

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