martedì 28 ottobre 2014

Riceviamo e pubblichiamo.

Perché non saprai mai se il tuo insegnante è incapace

Valutare i professori non è facile. Servono dati oggettivi, i risultati degli studenti non bastano
Fred Dufour/Afp/Getty Images

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Per prima cosa non parlerei di merito: cosa significa essere un insegnante meritevole? Meritevole di cosa? Rispetto a cosa? Non c’è un insegnante meritevole, come non c’è un elettricista o un idraulico meritevole. Ci sono invece insegnanti competenti o incompetenti. I primi vanno incoraggiati, sostenuti, aiutati ed anche premiati; gli altri vanno aiutati a cambiare professione. Si sono sbagliati. Cambiare professione quando si scopre che non si è fatti per praticarla non è facile, può anzi essere molto doloroso. Per chi insegna, non basta amare i bambini per cavarsela, per resistere tanti anni davanti a classi diverse, a bambini o a studenti spietati, e nemmeno per farla franca con i colleghi. In una scuola, dopo pochi anni, talora dopo pochi mesi, tutti sanno quali sono le qualità e i difetti di ogni insegnante. 
Il problema è che non esistono criteri oggettivi e universalmente condivisi per individuare l’insegnante incompetente. Il tema è dibattuto da quando, negli anni ’80, si pose in termini moderni la questione della qualità dell’insegnamento, in particolare quello di base e di come migliorarla. I punti su cui il dibattito si è focalizzato sono stati: la definizione di criteri oggettivi di valutazione della competenza degli insegnanti e dei risultati ottenuti; il superamento del principio di anzianità nella rimunerazione per incentivare le motivazioni che declinano con il passare degli anni ; il modo con cui individuare gli incompetenti e aiutarli a trovare una diversa collocazione nella scuola (o fuori da essa).
DON EMMERT/AFP/Getty Images

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I problemi sono complessi, non solo da un punto di vista concettuale. Tutti in Italia si ricordano che il Ministro dell’istruzione pubblica Luigi Berlinguer aveva affrontato il tema dello sviluppo di metodologie di valutazione su larga scala, con una proposta rifiutata massicciamente sia dalla classe politica sia dalle organizzazioni sindacali degli insegnanti. D’altro canto, gli insegnanti sono sempre stati valutati e la loro valutazione non è una novità assoluta; di nuovo nel dibattito internazionale c’è solo il tentativo di impostare una valutazione meno soggettiva che non nel passato quando i valutatori erano gli ispettori scolastici oppure i sindaci o altre autorità responsabili del servizio scolastico, mentre in certi casi i valutatori erano gli elettori stessi, i cittadini. Questa è una lunga storia fatta di soprusi, di drammi, violenza, offese, speculazioni di ogni genere.
Le associazioni degli insegnanti si sono costituite all’inizio del Novecento in gran parte per difendere i loro associati dagli abusi di valutazioni arbitrarie e di richieste assurde rivolte ai candidati all’insegnamento. Il criterio dell’anzianità per premiare gli insegnanti è stata una conquista per smantellare situazioni insopportabili e si capisce pertanto la ragione della strenua opposizione del corpo insegnante e delle associazioni che li rappresentano contro la valutazione generata dall’enfasi posta sulle prove standardizzate degli studenti con il pretesto di migliorare in questo modo gli apprendimenti e le scuole. Ma non è la valutazione in sé per sé che fa problema quanto il modo con il quale è concepita e si svolge.
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La base per un sistema oggettivo di valutazione degli insegnanti è costituita dai punteggi conseguiti dagli studenti nelle prove standardizzate, perché indubbiamente non si impara bene oppure non si progredisce con insegnanti mediocri. Ma è altrettanto evidente che non si possono adottare solo i punteggi: la “performance “degli studenti è influenzata dal passato scolastico, dal contesto socio-economico da cui provengono. Il rendimento di una classe in una determinata materia dipende poi dal corpo docente e dall’ambiente scolastico nella sua interezza. 
Quindi, il criterio del punteggio non solo va visto nella sua dimensione assoluta e relativa, ma deve essere anche integrato con una serie di indicatori complementari e alternativi. Il problema è quali indicatori utilizzare e come ponderarli in un giudizio sintetico finale. Sicuramente, un posto di rilievo deve essere attribuito al giudizio di colleghi esperti o di ispettori scolastici formati a questo scopo, in grado di valutare il lavoro svolto in classe, il livello di competenza. Più controverso, invece, il ruolo da attribuire al dirigente scolastico, la cui competenza principale non dovrebbe consistere nella valutazione della qualità dell’insegnamento e che potrebbe intervenire sugli aspetti più amministrativi e disciplinari del comportamento dei docenti (assenteismo ndr). Ancora più difficile è inserire nell’algoritmo di valutazione il parere dei genitori e quello degli studenti. In che forma deve essere raccolto e su quali aspetti dell’insegnamento? 
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E i problemi non si fermano qui. Anche ammettendo che si sia arrivati ad una condivisione sull’algoritmo, si pone poi il problema della “pubblicazione” del risultato. Il risultato deve essere comunicato solo all’insegnante o deve valere la trasparenza massima nei confronti di tutti gli attori, genitori e studenti compresi, coinvolti nel processo valutativo? È chiaro che, prima di implementare un sistema preso a prestito da realtà e da contesti, istituzionali e culturali, completamente diversi da quello italiano, sarebbe necessario effettuare molteplici test sperimentali. Cosa è stato fatto in Italia?
*Autore di pubblicazioni e libri sulla scuola. Laureato in scienze dell'educazione, membro del CERI (Centro internazionale per la ricerca sull'istruzione) all'OCSE per 21 anni, direttore per otto anni dello SRED (Servizio per la ricerca sull'istruzione) del Dipartimento dell'Istruzione Pubblica della Repubblica e Cantone di Ginevra. Vive a Parigi.

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