domenica 26 ottobre 2014

Diamo un segnale importante contro le mafie.

“I beni confiscati alla mafia restano in mano alle famiglie”

Il procuratore Spataro: “A Torino è così dal 2011, li intestano ai congiunti”
ANSA
La lettera resa pubblica durante «Contromafie», la manifestazione organizzata da Libera che oggi chiude i lavori

26/10/2014
ROMA
«C’è qualcosa che non va se una Procura distrettuale antimafia importante denuncia che molti dei beni sequestrati o confiscati alla mafia negli ultimi anni rimangono nella disponibilità dei mafiosi o dei propri familiari». L’allarme viene lanciato dal procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, nel suo intervento agli Stati generali «Contro mafie» promossi da Libera.  

Roberti fa riferimento alla procura distrettuale di Torino che, all’inizio della settimana, aveva inviato una preoccupata comunicazione a via Giulia, sede della Direzione nazionale antimafia. Nella lettera, il procuratore Armando Spataro e l’aggiunto Alberto Perduca premettono che dal 1° settembre la Procura ha avviato uno screening chiedendo al questore, ai comandanti provinciali del carabinieri e della Finanza, al direttore del centro Dia di Torino, di fornire risposte dettagliate sullo stato dell’arte dei sequestri e delle confische dei beni a partire dal 2011. 

I primi risultati di questo lavoro di raccolta dati sono sconfortanti: «Nel loro insieme le informazioni segnalano come i predetti immobili rimangano in possesso dei preposti/prevenuti (e/o dei loro congiunti) e ciò anche allorché costoro siano portatori di pericolosità qualificate di tipo mafioso e i provvedimenti di confisca siano definitivi». 

Il lavoro di censimento della Procura di Torino, va precisato, è ancora in corso. Il procuratore aggiunto Alberto Perduca spiega che una prima analisi dei dati raccolti offre un quadro critico: «Gran parte dei beni sequestrati e poi confiscati a partire dal 2011, in particolare mi riferisco a quelli dell’operazione Minotauro o dei procedimenti connessi, sono ancora nella disponibilità dei soggetti riconducibili all’organizzazione della ’Ndrangheta». 

8 giugno del 2011. Retata dei carabinieri: 142 arresti tra Torino, Milano, Modena e Reggio Calabria. Smembrate nove «locali» di ’ndrangheta, il livello organizzativo intermedio dell’organizzazione mafiosa calabrese che riunisce varie ’ndrine. È impressionante la penetrazione delle cosche della Locride in Piemonte, la loro capacità di relazionarsi anche con il mondo delle istituzioni locali. La procura chiede e ottiene il sequestro di beni per oltre 100 milioni di euro. 

Ora quei beni, da appartamenti a ville, terreni, autorimesse, esercizi commerciali, almeno in gran parte, sono ancora nella disponibilità dei mafiosi o dei soggetti a loro riconducibili. E dunque la «scoperta» della Procura di Torino impone un’iniziativa immediata. 

Il viceministro dell’Interno, Filippo Bubbico, annuncia che partirà uno screening nazionale sulla confisca dei beni. Il direttore dell’Agenzia nazionale che si occupa dei beni confiscati, il prefetto Umberto Postiglione, spiega: «Noi segnaliamo ai prefetti i provvedimenti di sgombero. Attualmente sono circa 12.000 i beni sequestrati e confiscati e l’Agenzia avrebbe bisogno di una diversa dotazione di personale. Sia dal punto di vista quantitativo, oggi sono 45 dipendenti, che qualitativo. Noi avvertiamo la mancanza di alcune fondamentali professionalità». 

Riconosce, il prefetto Postiglione, che effettivamente in alcuni casi gli immobili sequestrati o confiscati continuano ad essere riconducibili a soggetti legati o riconducibili alle organizzazioni mafiose: «A volte dispongono di regolari contratti di locazione firmati dagli amministratori giudiziari». 

Nella lettera inviata alla Procura nazionale antimafia, il procuratore di Torino Spataro e l’aggiunto Perduca sollecitano iniziative per trovare risposte al problema di una confisca di beni che non viene applicata fino in fondo.  
In molti comuni della Calabria accade che le amministrazioni comunali non sono in grado di gestire i beni sequestrati. Questo rappresenta una doppia sconfitta per lo Stato. Perché il mafioso che non abbandona la casa o l’azienda diventa il vincitore di una sfida lanciata dallo Stato che si è trasformata in un boomerang. 

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