Lavoro, la battaglia sull'articolo 18, Cgil a Renzi: 'Basta insulti'
Camusso: 'Mandare tutti in serie B non è estendere i diritti'
La Cgil torna sulla polemica sul Jobs Act, coniando un nuovo hashtag, #fattinonideologia con cui replica alle accuse del premier, Matteo Renzi, di ieri, secondo il quale il sindacato difende le ideologie e non le persone. "Non vogliamo che chi lavora possa essere licenziato senza una ragione #fattinonideologia". Così il sindacato via Twitter sulla riforma del Lavoro e in particolare sulla discussione riguardante l'articolo 18. "Mandare tutti in serie B non è estendere i diritti e le tutele", si legge in un tweet della Cgil. Poi ancora: ''Basta insulti al sindacato: guardiamoci negli occhi e discutiamone".
"Penso che il presidente del Consiglio, nonostante le parole pesanti dette anche dai sindacalisti, faccia bene, il mio è un modesto e umile consiglio, a mantenere il profilo del premier del Governo italiano". Lo afferma il segretario nazionale della Cisl, Raffaele Bonanni, a margine del convegno 'Insieme verso il futuro', a Viterbo. Durante il convegno, Bonanni si era già soffermato sull'intervento di ieri di Renzi: "non mi è piaciuto questo video contro tutti, i sindacati non sono tutti uguali".
La presidente della Camera, Laura Boldrini ha detto che "sull'articolo 18 non do pagelle. Mi auguro che da questo scontro anche aspro si arrivi ad una tutela effettiva dei lavoratori, sia di quelli più garantiti, sia dei precari. Soprattutto di quelle donne che per troppo tempo hanno dovuto scegliere tra maternità e lavoro".
"Io credo non ci saranno fratture, quando discuteremo in Direzione del disegno di legge che da' diritti a chi non ne ha. Mi sembrerebbe strano opporsi", ha detto il ministro della Pubblica amministrazione Marianna Madia ha risposto a chi le chiedeva se teme fratture all'interno del Pd sul tema del lavoro, in particolare dell'articolo 18. "Io penso che dobbiamo parlare di quello che è scritto nel disegno di legge Poletti dove c'è la riforma degli ammortizzatori sociali, dove il governo metterà risorse. Non l'ha fatto negli ultimi vent'anni nessuno governo neanche quando non c'era la crisi". "C'è il salario minimo - ha aggiunto il ministro - La maternità per chi oggi non ce l'ha, c'è il contratto a tutele crescenti per chi oggi passa da una partita Iva ad un Co.co.co. Togliamo quindi lo spezzatino dei contratti e mettiamo il contratto a tutele crescenti. Quindi noi stiamo dando diritti a chi non ne ha".
LA GIORNATA DI VENERDI', SCONTRO PREMIER-CAMUSSO - Il fronte lavoro diventa incandescente, con uno scontro frontale tra la leader della Cgil, Susanna Camusso - che evoca "il modello Thatcher" come vera fonte di ispirazione di Matteo Renzi - e il premier che contrattacca senza mezzi termini: i tanti co.co.pro. e co.co.co sono "condannati a un precariato a cui il sindacato ha contribuito". Non si placano intanto le fibrillazioni all'interno del Pd, a partire dall'ex segretario dei dem Pier Luigi Bersani che annuncia "molti emendamenti" al Jobs act e mette in guardia: se l'obiettivo è "frantumare i diritti" allora "sarà battaglia".
Ancora più chiaro è il presidente della commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano, sempre dei democratici, secondo cui "l'attuale tutela dell'articolo 18 deve restare "anche per i nuovi assunti". Le accuse all'esecutivo arrivano una dopo l'altra e in serata il premier interviene, via YouTube, lanciando precise accuse: "A quei sindacati che vogliono contestarci" io "chiedo: dove eravate in questi anni quando si è prodotta la più grande ingiustizia, tra chi il lavoro ce l'ha e chi no" perché "si è pensato a difendere solo le battaglie ideologiche e non i problemi concreti della gente". E precisa: "non vogliamo il mercato del lavoro di Margareth Thatcher". Lo scopo, al contrario, aggiunge, è creare un sistema del lavoro "giusto".
Il video di Matteo Renzi su YouTube
Ma il premier rischia di dover fare i conti, oltre che con il fronte sindacale, anche con un 'fuoco amico' all'interno del partito. Malessere, però, che non manca nemmeno fra le file sindacali, dove la Fiom spariglia le carte in tavola, anticipando la manifestazione, già fissata per il 25, al 18 ottobre. Una nuova data con cui anche Cgil, Cisl e Uil dovranno fare i conti, nel caso si concretizzasse la loro manifestazione unitaria (una riunione tra i tre leader dovrebbe tenersi all'inizio della prossima settimana). Di certo, come era stato già promesso dalle organizzazioni dei lavoratori, sarà un autunno caldo.
Anche le sigle del pubblico impiego, ben 14 in tutto dalla scuola alla sanità, hanno infatti deciso di scendere in piazza, con un appuntamento fissato per l'8 novembre contro il blocco della contrattazione. Il puzzle è quindi complesso, con un calendario folto di iniziative di protesta, su cui pende la minaccia dello sciopero generale, tanto che Camusso lo considera "una delle forme di mobilitazione possibile", visto che c'è "chi vorrebbe cancellare l'art.18 sta cancellando la libertà dei lavoratori". Per la Fiom però non c'è più tempo e bisogna agire, perché il rischio é il "ritorno all'800".
Il loro numero uno, Maurizio Landini, rompe così ogni indugio e sembra anche svanire il feeling con il premier: "sull'art. 18 Renzi deve dimostrare quanto è 'figo' all'Europa", mentre bolla il contratto a tutele progressive a "una presa per il c...". Nella maggioranza, però, le divisioni restano nette e a cercare di smorzare i toni ci pensa Graziano Delrio: "Le discussioni - dice - aiutano a migliorarsi, l'importante è che non ci siano ultimatum o posizioni ideologiche".
Al fianco di Renzi, anche Angelino Alfano: "aiutiamo il premier a superare i conservatorismi del Pd", mentre nel partito Fassina si schiera con i contrari: questo testo "per me è inaccettabile". La scintilla da cui è partita la serie di reazioni a catena è il Jobs act, o meglio la la delega lavoro, attesa in settimana nell'Aula del Senato. Incassato il primo sì della commissione Lavoro di palazzo Madama l'iter parlamentare continua e il percorso non sembra in discesa.
Tempi e sostanza sono d'altra parte due questioni che vanno di pari passo. Sul punto il responsabile economia del Pd, Filippo Taddei, chiarisce come il governo non miri a un decreto bensì all'approvazione della legge delega da parte del Senato entro l'8 ottobre. Un altro giorno da appuntare, soprattutto per i sindacati confederali che dovrebbero decidere una mobilitazione tutti insieme, con manifestazione ed eventualmente anche un pacchetto di ore di sciopero. Per ora fanno fede le giornate già indicate dalle singole sigle, la Cgil si è espressa per la prima decade di ottobre (forse l'11) e la Cisl per il 18, che si potrebbe dire curiosamente, coinciderebbe con l'iniziativa della Fiom.
D'altra parte lo scontro tra Governo e Cgil vede pronunciarsi anche gli altri sindacati, con Raffaele Bonanni, a capo della Cisl, che lamenta: "come al solito Renzi, per opportunismo politico, mette tutti i sindacati sullo stesso piano", mentre il segretario generale della Uil, Luigi Angeletti, invita Renzi a "scendere dalla cattedra".
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