venerdì 19 settembre 2014

E' venuto il momento che Camusso e i soci di Cisl e Uil vadano a lavorare o in pensione. Impossibile che persone come loro stiano per secoli alla guida di una casta chiamata sindacato.

Jobs Act, Matteo Renzi licenzia Camusso e manda in soffitta la vecchia sinistra: "Solo ideologia"

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Fino in fondo. Fino al punto di non ritorno. Matteo Renzi non detta un comunicato stampa per rispondere a muso duro a Susanna Camusso e dirle più o meno quasi tutto quello che pensa su di lei e sul sindacato, nello specifico sulla Cgil. Non parla a margine di un convegno, lo fa raramente del resto. E non cinguetta nemmeno su twitter, cosa che invece fa sistematicamente. No, stavolta gli serve un video, che è quasi un discorso alla nazione, benché in tono informale e breve: solo due minuti. A Palazzo Chigi il premier parla con i suoi delle nuove polemiche sulla riforma del lavoro che già martedì plana in aula al Senato. Apprende dei nuovi attacchi del segretario della Cgil che parla di sciopero e lo paragona addirittura a Margaret Thatcher, da sempre simbolo internazionale del pugno duro contro i sindacati nell’immaginario della sinistra tradizionale. E quindi decide: fa piazzare una telecamera di fronte alla finestra di Palazzo Chigi che dà sulla Colonna di Traiano, lì al centro della piazza antistante. Decide e contrattacca. E con la Camusso manda in soffitta la vecchia sinistra, tutto il pacchetto, tutto compreso: la Cgil, la vecchia guardia Pd che minaccia battaglia in Senato e la loro ideologia. E’ il Rubicone dei rapporti tra il nuovo Pd e il suo passato.
“Oggi la Cgil ha deciso di andare all'attacco del governo”, dice il premier, in look ‘camicia bianca’ che gli piace perché accorcia le distanze dal suo pubblico di riferimento. “Il segretario Camusso – continua calmo - ha detto che il governo ha in mente Margaret Thatcher quando si parla del lavoro. Ma quando si parla del lavoro noi non siamo impegnati in uno scontro del passato, ideologico. Noi siamo preoccupati non di Margaret Thatcher, ma di Marta, 28 anni, che non ha la possibilità di avere il diritto alla maternità" perché "in questi anni si sono fatti cittadini di serie A e di serie B". Ma non si ferma qui. “Noi quando pensiamo al mondo del lavoro non pensiamo a Margaret Thatcher”, ma “a quelli a cui non ha pensato nessuno in questi anni, che vivono di co.co.pro. e co.co.co e che sono condannati a un precariato a cui il sindacato ha contribuito preoccupandosi solo dei diritti di qualcuno e non di tutti”.
Quindi, l’affondo: “A quei sindacati che vogliono contestarci" io "chiedo: dove eravate in questi anni quando si è prodotta la più grande ingiustizia, tra chi il lavoro ce l'ha e chi no, tra chi ce l'ha a tempo indeterminato e chi precario" perché "si è pensato a difendere solo le battaglie ideologiche e non i problemi concreti della gente”.
L’accusa è quasi personale. Nel mirino c’è la Camusso, appunto. Ma l’immaginario tracciato è più ampio. Renzi parla a tutta la vecchia sinistra che si prepara a scendere in piazza per difendere l’articolo 18, ai bersaniani che minacciano la presentazione di “emendamenti” alla legge delega sul lavoro in Senato (lo annuncia oggi Pierluigi Bersani), parla a tutti i dissidenti Pd ma traccia una parabola più ampia: volta a disegnare il nuovo partito che ha in mente, il modello che ha sempre indicato e che ora, da Palazzo Chigi e dalla segreteria, mette in pratica. Perché l’affondo contro ‘Camusso & Co.’ viene sferrato all’indomani dell’ok alla legge delega da parte della Commissione Lavoro del Senato e alla vigilia dell’approdo in aula. Per giunta, proprio mentre a Palazzo Madama si organizza la fronda dei dissidenti Dem che sulla carta sarebbe più grossa dei 16 dissidenti emersi con la riforma costituzionale quest’estate. Perché oltre a Corradino Mineo (che ha già annunciato il suo no anche nel caso in cui il governo porrà la fiducia sul Jobs Act), oltre ai civatiani (pure loro vicini al no anche in caso di fiducia), ci sono altri gruppi critici: tra bersaniani, i dalemiani, i cuperliani, i Giovani Turchi. In tutto, sarebbero una quarantina di senatori, ma al loro interno ci sono diverse sensibilità.
Se l’ex segretario Pierluigi Bersani minaccia “battaglia” e annuncia la presentazione di “tanti emendamenti” sul Jobs Act, i Giovani Turchi, che stanno in maggioranza con Renzi, non vogliono saperne di “posizionamenti politici interni al partito”. “Noi vogliamo ampliare le tutele contenute nella delega e soprattutto legarla alla legge di stabilità perché lì dovranno essere trovati i fondi per garantire i precari…”, spiega Francesco Verducci. Renzi ovviamente sa di queste differenziazioni interne tra i dissidenti. I suoi scommettono che il grosso rientrerà: “Non romperanno”, dice un parlamentare vicino al premier. Ma per Renzi la cosa non fa differenza. Dal governo cercheranno di lavorare ad una mediazione che però non tocchi i cardini della legge delega. Per intendersi: è difficile che il contratto a tutele crescenti arrivi a maturare la possibilità di reintegro in caso di licenziamento senza giusta causa. Insomma, la sopravvivenza dell’articolo 18 è a serio rischio. “Alle brutte, chi nel Pd non ci sta, farà la scissione”, allarga le braccia un senatore renziano doc.
Ma non si arriverà a quel punto, pensano a Palazzo Chigi. E poi il piano B c’è già, rafforzato dall’ultimo incontro tra Renzi e Silvio Berlusconi mercoledì scorso a Palazzo Chigi. Lo spiega il sottosegretario Graziano Delrio parlando alla festa dei giovani di Fratelli d’Italia ‘Atreju’ e rispondendo ad una domanda su un possibile ‘soccorso azzurro’ da parte di Forza Italia: “ll Parlamento è fatto apposta perché tutti possano contribuire. Certo non è uno scandalo se qualche deputato vota una nostra proposta, ma sono convinto che la nostra maggioranza sarà compatta".
I renziani del giro stretto spiegano che a questo punto l’ipotesi più probabile potrebbe essere quella di votare il Jobs Act senza fiducia e con l’aggiunta dei voti di Forza Italia. E’ tutto da vedere, in vista delle trattative del weekend e della riunione del gruppo Pd al Senato martedì mattina. Ma a Renzi stasera interessava marcare definitivamente il territorio: quello post-ideologico, al di fuori del quale ci sono rottamati e rottamandi. Come la Camusso: metaforicamente (ma nemmeno tanto) licenziata per incapacità.

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