venerdì 19 settembre 2014

Mandiamo a casa questi sindacati nullafacenti entrati iin sindacato dopo aver fatto niente per tutta la vita. Scendiamo in piazza contro i sindacati. Scendiamo in piazza contro i segretari permanenti di cgil, cisl e uil.

Ancora tensioni in casa dem per la riforma del Lavoro dopo il via libera della delega al Jobs Act in commissioneSenato. Al centro della discussione sempre l'articolo 18, difeso a spada tratta da una parte della sinistra - dalla minoranza piddina a Nichi Vendola - e dai sindacati, con in testa Susanna Camusso e Maurizio Landini.
BERSANI: «SARÀ BATTAGLIA».L'ultimo attacco in ordine di tempo è arrivato dall'ex segretario Pd Pier Luigi Bersani, che dopo aver definito quelle del governo «intenzioni surreali», ha messo in chiaro che sul lavoro «saranno presentati molti emendamenti, non solo sul reintegro in caso di licenziamento ingiusto. Se l'interpretazione è quella sentita da Sacconi e altri, allora non ci siamo proprio. Andiamo ad aggiungere alle norme che danno precarietà ulteriore precarietà, andiamo a frantumare i diritti, non solo l'art.18 e allora sarà battaglia».
CAMUSSO: «RENZI COME THATCHER». Non è stata più tenera la leader della Cgil Camusso che non ha esitato a paragonare il premier a Margaret Thatcher. «Non stiamo difendendo noi stessi», ha detto  «chi vorrebbe cancellare l'articolo 18 sta cancellando la libertà dei lavoratori». «C'è una continuità lunga nel tempo, quella di immaginare che la destrutturazione delle forme di assunzione contrattuale sia un elemento che permette competitività al mercato del lavoro», ha affondato la leader della Cgil, disegnando una continuità tra l'attuale Jobs Act e le riforme del periodo del governo Berlusconi.
Ha rincarato la dose il segretario della Fiom Maurizio Landini. «Sull'art. 18 Renzi deve dimostrare quanto è 'figo' all'Europa», ha detto. «Forse qualcuno gli ha fatto credere che in cambio può sforare dello 0,1 o 0,3%, e Draghi gli darà qualcosa».
VENDOLA: «JOBS ACT? COSA DI ESTREMA DESTRA». Sulla stessa lunghezza d'onda Nichi Vendola. «Siamo di fronte a una deriva orwelliana. Si prova ad adoperare un vocabolario suadente per nascondere autentiche porcherie», ha detto senza giri di parole il leader di Sel che giovedì ha lasciato i lavori in commissione in segno di protesta. «Il Jobs Act è una cosa di estrema destra, contempla la precarizzazione generalizzata del mercato del lavoro, è il contrario di quello che bisognerebbe fare».
ORFINI: «LA DELEGA VA CAMBIATA».  A cercare di ammorbidire i toni all'interno del Nazareno ci ha provato il presidente Pd Matteo Orfini, vicino a D'Alema. «L'obiettivo del Jobs Act è condivisibile», ha spiegato a Il Manifesto, «dobbiamo restituire qualcosa ai milioni di precari a cui anche il centrosinistra ha rovinato la vita. Poi però l'emendamento del governo finisce nella direzione opposta». Occorre quindi cambiare la delega, fermo restando che «non può essere messo in discussione il reintegro per il licenziamento discriminatorio, è un principio irrinunciabile».
COFFERATI: «BUTTIAMO I NOSTRI VALORI». Quasi incredulo si è detto l'eurodeputato dem Sergio Cofferati che alla Stampa  ha dichiarato: «Si punta alla cancellazione di diritti elementari che la sinistra, prima, e il Pd, poi, hanno sempre difeso. Buttiamo via i nostri valori in cambio di che?».
E l'ex sottosegretario all'Economia Stefano Fassina, a Lettera43.it, bocciando il ddl Poletti, si era schierato senza se e senza ma in difesa dello Statuto. «Per me l'articolo 18 va mantenuto in ogni caso, dopo i tre anni di inserimento».
 

Taddei: «Non agiremo per decreto, discussione al Senato l'8 ottobre»
 

Il responsabile Pd all'Economia Filippo Taddei ha cercato di gettare acqua sul fuoco e il 19 settembre, allaTelefonata di Belpietro su Canale5 ha sottolineato: «Il governo non punta a un decreto con le nuove norme sul mercato del lavoro entro l'8 ottobre, bensì all'approvazione della legge delega da parte del Senato entro quella data, cosa che rappresenterebbe un segnale all'Ue».
«SULL'ART 18 NON È UN DERBY». «Prima di arrivare a un decreto», ha continuato Taddei, «cerchiamo di fare una discussione ordinata. Abbiamo una delega che è una riforma complessiva del mercato del lavoro, mentre si cerca di banalizzare tutto in un derby sì o no all'articolo 18, come se fosse questo il problema. Capisco che nella politica sconclusionata italiana ognuno deve vantare un enorme successo. Ma per me conta un solo successo, quello di una riforma che cambia gli ammortizzatori sociali, la formazione dei lavoratori».
Il piddino ha quindi difeso la delega che contempla «contratto a tutele crescenti rivolto a tutte le nuove assunzioni. Significa estendere le tutele in termini di indennizzo monetario a quelli che oggi perdono il lavoro. Oggi abbiamo lavoratori che vengono licenziati individualmente che ricevono poco o nulla. A questi lavoratori noi oggi vogliamo offrire invece un contesto diverso».
ICHINO: «AVANTI ANCHE SENZA SINDACATI». Con Matteo Renzi, si è schierato il senatore di Scelta civica Pietro Ichino. «Bisogna fare la riforma del lavoro anche senza i sindacati», ha messo in guardia il giuslavorista, «se i sindacati non capiscono l'importanza».
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