lunedì 15 settembre 2014

Riceviamo e pubblichiamo.


Il decisionismo di Renzi piace 

agli italiani. Insufficienza per i ministri

Lo stile di conduzione dell’esecutivo è giudicato positivo da 56% degli intervistati Prevalenza di giudizi negativi per la squadra di governo, su Padoan pareri divisi a metà

di Nando Pagnoncelli

Riguardo allo stile di conduzione del governo molto incentrata sul premier, spesso definito «un uomo solo al comando», la maggioranza degli italiani (56%) ritiene che sia positivo perché rende le scelte più forti e rapide, mentre il 33% è di parere opposto: fare troppo da solo rende più difficile per Renzi portare avanti le cose. E la maggioranza degli elettori di Forza Italia e del Movimento 5 Stelle è di questo parere.
In sintesi: il governo e il premier godono del consenso della maggioranza degli italiani, la squadra per quanto giovane e un po’ inesperta viene preferita rispetto a quelle del passato e lo stile «accentratore» di Renzi conferisce autorevolezza e rapidità alle decisioni. Tutto bene, quindi? Non esattamente, a conferma che l’opinione pubblica non sempre procede per linee rette. Infatti, se analizziamo i dati sulla fiducia riscossa dai principali ministri, registriamo per tutti una prevalenza, in qualche caso netta, di giudizi negativi. Fa eccezione il ministro Padoan per il quale le opinioni positive e negative si equivalgono. È pur vero che i dati sono influenzati dal livello di conoscenza dei singoli ministri che in taluni casi risulta davvero bassa: per esempio, quasi un italiano su due non conosce o non si esprime sui ministri Poletti e Orlando, nonostante di lavoro e di giustizia si discuta abbondantemente sui media. Persino due ministri come Padoan e Boschi, di cui si parla molto per l’attività del loro dicastero (e non solo), risultano sconosciuti a un terzo degli elettori.

Come si spiega questa ennesima contraddizione nell’opinione pubblica che apprezza il governo nel suo insieme e risulta critico nei confronti dei singoli ministri? I motivi sono svariati e, alcuni di questi, non sono del tutto nuovi. Innanzitutto, ed è scontato, i giudizi sui ministri sono fortemente influenzati dal partito al quale appartengono: gli elettori di quel partito in larga parte esprimono valutazioni positive «a prescindere». In secondo luogo dipende dall’ambito di cui si occupano e dalla differenza tra le aspettative e i risultati ottenuti. Ne è un esempio il ministro Poletti, che si occupa del tema che più sta a cuore agli italiani: il lavoro. L’elevato livello di disoccupazione non lo rende molto popolare.

Inoltre risulta importante l’immagine pregressa dei ministri, alcuni dei quali hanno una più o meno lunga storia politica alle spalle che influenza le opinioni molto più dei risultati ottenuti dal loro dicastero. Ne sono un esempio i ministri Alfano e Lupi, entrambi più apprezzati tra gli elettori del Pd rispetto a quelli del partito di provenienza, Forza Italia, da cui si sono staccati fondando un nuovo partito che ha sostenuto i governi Letta e Renzi.

Infine, la sempre più forte personalizzazione della politica punta i riflettori sul leader che nel bene e nel male rappresenta la squadra, indipendentemente dal merito o dal demerito dei singoli. Da anni abbiamo numerosi riscontri nei Comuni e nelle Regioni: quasi sempre i giudizi sul primo cittadino e sull’amministrazione sono nettamente più positivi rispetto a quelli sui singoli provvedimenti o ambiti d’azione. E spesso i sindaci e i presidenti di Regione più apprezzati hanno assessori ignoti o criticati dalla maggioranza dei cittadini. Parafrasando un’espressione in voga qualche tempo fa, potremmo dire che i leader personalizzano il consenso e socializzano le critiche. 

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