Al-Qaeda e Isis, come cambia il terrorismo di matrice islamica
Nelle ultime settimane non si è fatto altro che parlare dello Stato Islamico (Isis), di come sia più intollerante, pericoloso e feroce di al-Qaeda, di come sia la nuova frontiera dell’estremismo islamico globale, senza frontiere, caratterizzato da un attivismo multimediale mai visto prima e secondo alcuni, di quanto lo Stato Islamico e il suo presunto “Califfato” non siano realmente “islamici”. Credo che a questo punto sia fondamentale fare delle precisazioni per poter comprendere un po’ meglio la questione.
Al-Qaeda e Isis, due organizzazioni cosi diverse, così uguali. La rapidissima avanzata dell’Isis che in poco più di un anno ha portato i terroristi con le bandiere nere a controlla circa il 40% dell’Iraq e il 30% della Siria, la sua estrema brutalità testimoniata dalle numerose esecuzioni e dagli ormai tristemente noti sgozzamenti, la sua capacità di attirare volontari da ogni parte del mondo (tra cui molti dall’Europa) facendo leva su una potentissima rete mediatica e su un ampio e abile utilizzo dei social network, ha fatto seriamente impallidire al-Qaeda. Oggi l’organizzazione di Ayman al-Zawahiri sembra quasi un “circolo di jihadisti anziani, statici e obsoleti” che ha fallito nel proprio progetto di jihad globale e ha perso numerosi alleati nella galassia jihadista, repentinamente passati nelle file dell’Isis.
Al Qaeda inaugurò la stagione delle decapitazioni. Secondo un articolo del Washington Post del 22 agosto, al-Qaeda avrebbe condannato le decapitazioni dei giornalisti occidentali messe in atto dall’Isis. Il predicatore Abu Qatada, considerato per lungo tempo il “braccio” di Bin Laden in Europa e attualmente detenuto in Giordania, ha dichiarato che i giornalisti sono “messaggeri della verità” e le loro decapitazioni sono contrarie all’Islam. In realtà sono affermazioni che possono far breccia soltanto su chi ha la memoria corta visto e considerato che fu proprio la stessa al-Qaeda a inaugurare la stagione delle decapitazioni (v. Nicholas Berg) e delle esecuzioni sommarie (v. il caso Quattrocchi); come dimenticare il leader di al-Qaeda in Iraq, Abu Musab al-Zarqawi? Anche allora veniva tutto ripreso con filmati, seppur primitivi, ma dal forte impatto mediatico.
Differenze strategiche. Le differenze tra al-Qaeda e Isis sono prevalentemente di stampo strategico-politico e organizzativo. L’Isis punta all’instaurazione di un Califfato in un ambito territoriale ben specifico, mentre al-Qaeda si era preposta il principale obiettivo di combattere l’Occidente e i suoi alleati nei paesi musulmani, da loro considerati “miscredenti”. L’Isis non differenzia tra convertiti e musulmani di nascita, tra arabi e non-arabi, è molto meno selettiva nel reclutamento, a differenza di al-Qaeda. L’Isis si muove più come un esercito ed ha a disposizione un territorio che al-Qaeda non ha mai avuto. Entrambe le organizzazioni sono però di stampo terrorista in quanto fanno uso deliberato di violenza nei confronti di civili per fini politici e religiosi. In aggiunta bisogna evidenziare come entrambe le organizzazioni facciano riferimento alla stessa ideologia islamista radicale che predica il “takfir” e la “jihad” nei confronti di tutti coloro che sono considerati miscredenti (kafir), sufi e sciiti in primis.
Un’organizzazione “anti-islamica”. È dunque corretto affermare, come nel caso di Barrack Obama e John Kerry, che l’Isis è “anti-islamico”? È noto che numerose autorità e organizzazioni islamiche hanno apertamente condannato l’Isis sostenendo che le azioni del gruppo jihadista vanno contro la morale islamica che vieta barbarie e atrocità di quel tipo. Il maestro sufi Gabriele Mandel illustrava che uno dei significati di Islam è “pace” e sosteneva che i terroristi sono tali per mancanza di Islam, non per eccesso di Islam.
Un problema ideologico intrinseco. Bisogna però riconoscere che nell’Islam vi è un problema ideologico intrinseco. Un Islam che non è e non è mai stato un blocco monolitico, che non ha un’autorità clericale centrale universalmente riconosciuta (con eccezioni in ambito sciita) ; a tal fine è interessante considerare quanto detto dalla politologa svizzera-yemenita Elham Manea nel suo articolo “Io, musulmana, dico: l’ISIS è dentro di noi”. La Manea ricorda che “l’ISIS, seppur condannato dalla maggioranza dei musulmani, è il prodotto di un discorso religioso islamico che ha dominato la nostra sfera pubblica negli ultimi decenni – un discorso diffuso e ricorrente! L’ISIS «non è arrivato da un altro pianeta», ha affermato al Ajami. «Non è un prodotto dell’Occidente infedele o di un Oriente dei tempi che furono», ha ribadito”. E ancora: “….l’ISIS ha studiato nelle nostre scuole, ha pregato nelle nostre moschee, ha ascoltato i nostri mezzi di comunicazione … e i pulpiti dei nostri religiosi, ha letto i nostri libri e le nostre fonti, e ha seguito le fatwe (responsi religiosi) che abbiamo prodotto”. La politologa riflette poi sul rapporto che tale ideologia ha con gli altri credi: “le azioni di ISIS sono ideologicamente veicolate ormai da molto tempo: nelle moschee che maledicono i “cristiani-crociati”, gli “ebrei” e gli “infedeli” in ogni sermone del venerdì. Con religiosi che ci salutano quotidianamente dai loro programmi televisivi e che predicano un messaggio di odio e intolleranza contro l’«altro», indipendentemente da chi sia questo «altro». Nelle scuole che ci insegnano che la pena per chi abbandona l’islam per un’altra religione è la morte; che i cristiani e gli ebrei sono “popoli protetti”, che dovrebbero pagare una tassa per essere lasciati in pace mentre in caso contrario la guerra li attende. Il destino degli appartenenti alle “altre religioni” invece è un non detto, ma noi sappiamo leggerlo tra le righe. Durante queste lezioni non ci hanno mai insegnato che un cittadino ha il diritto di scegliere la propria religione oppure che un cittadino è uguale davanti alla legge, indipendentemente dalla religione o dal credo”.
Non sarebbe dunque ora di aprire un dibattito all’interno del mondo islamico e mettere in atto una riforma che chiarisca una volta per tutte quegli aspetti che vengono strumentalizzati dai predicatori di odio per legittimare le loro barbarie e giustificare l’ingiustificabile?
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