sabato 20 settembre 2014

Forse dovremmo riflettere su questi dati. Occorre riflettere sulla didattica che proponiamo agli alunni. Imparare anche dall'estero. Certamente la lezione frontale e i compiti a casa non sono l'unica didattica. Anzi, questa didattica fa ridere tutti i paesi meglio classificati nelle classifiche OCSE.

Il tallone d’Achille della scuola: gli abbandoni

Quasi tre milioni di ragazzi italiani negli ultimi 15 anni hanno rinunciato al diploma

Flickr/HoboElvis

     
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Quasi tre milioni di ragazzi italiani negli ultimi 15 anni. Il 31,9% di coloro che dopo la terza media si sono iscritti alla scuola superiore non arriva al diploma e non termina quindi gli studi. Uno dei mali della nostra istruzione ha un nome preciso e si chiama dispersione scolastica, di cui il governo Renzi dovrà necessariamente tener conto nella sua riforma della “scuola buona”. E non solo.
L’emergenza c’è tutta. Il 23 aprile 2014 Giovanni Vinciguerra, direttore di Tuttoscuola, ha presentato i dati in occasione dell’audizione sul tema della dispersione scolastica in Commissione Cultura, scienza e istruzione della Camera e a luglio la rivista ha pubblicato un dossier allarmante
Solo negli ultimi cinque anni gli studenti dispersi sono stati 167mila, con picchi di dispersione del 35% nelle isole e del 41,7% nella provincia di Caltanissetta. Il 37% della dispersione è concentrata negli istituti professionali, la metà molla già dopo il primo biennio. Più di un quarto (il 27,9%) di quelli che hanno iniziato un percorso di studi secondari nella scuola statale nell’anno scolastico 2009-2010 non lo ha completato. Che significa, in soldoni: 500 milioni di euro di docenza sprecata per gli studenti dispersi.
Una classe di liceo

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Senza contare, poi, che dispersione fa rima con disoccupazione. Se il 28 per cento di chi raggiunge il diploma resta ancora senza occupazione, tra quelli che possiedono solo la licenza media la percentuale sale al 45 per cento. Questi ragazzi finiscono nel bacino dei Neet, i ragazzi tra i 15 e i 29 anni che non studiano, non hanno un lavoro e neppure si formano per trovarlo. Secondo l’Istat, sono 2,2 milioni, pari al 23,9% di questa fascia d’età. E ogni anno, secondo Confindustria, hanno un costo sociale di 32,6 miliardi di euro. Se questi giovani inattivi entrassero nel sistema produttivo nazionale, si guadagnerebbero più di 2 punti di Pil.
dispersione confronto europeo
«Sono cifre “da guerra mondiale”», si legge nel rapporto di Tuttoscuola. «È una shoah sociale, un’emorragia che ogni anno indebolisce il corpo sociale del Paese e ne riduce la capacità di competere come sistema nazionale».
In Italia la quota di Neet è di molto superiore a quella della media europea (15,4 per cento). E va dall’11,6% della provincia di Bolzano al 37,7% della Sicilia. In Germania si ferma al 9,7 per cento, in Francia al 14,5 per cento, nel Regno Unito al 15,5 per cento. 
La fotografia peggiora se si considerano i ragazzi a rischio dispersione. Secondo la Fondazione Exodus di don Antonio Mazzi, il 63,1% dei ragazzi di età compresa fra i 16 e i 18 anni è a rischio abbandono scolastico. La percentuale rimane alta anche nella fascia d’età fra i 14 e i 16 anni, dove i ragazzi che rischiano di abbandonare i banchi di scuola sono il 49,8%, mentre per gli under 14 si scende al 17,8 per cento. Spesso, spiegano dalla fondazione, la dispersione scolastica si associa anche a comportamenti antisociali, come l’uso di stupefacenti (30%), violazione delle norme sociali (40%), litigiosità e bullismo (65%).
Ma i dispersi che fine fanno? Una parte di loro tenta la sorte in qualche istituto non statale, circa 25-30mila all’anno. Altri 35-40mila migrano dalla scuola verso corsi di formazione professionale. Ma la maggioranza, circa 110-120mila, non ha continuato alcun percorso formativo e risultano effettivamente dispersi.
Tra le regioni è l’Umbria con un tasso di dispersione del 18,2% ad avere la situazione migliore, seguita da Marche e Molise con il 21,1 per cento. La situazione peggiore è quella della Sardegna (36,2%), seguita dalla Sicilia (35,2%) e dalla Campania, con un tasso di dispersione del 31,6 per cento. Le regioni del Nord Ovest, in una situazione piuttosto omogenea, sono tutte sopra la media nazionale, con la Lombardia che sfiora il 30 per cento. 
Una delle ragioni dell’abbandono sono le bocciature. Da un anno all’altro, una media di 40mila studenti abbandona la scuola statale, quasi sempre a seguito di una bocciatura. Ma a volte i motivi possono essere legati, come accade (o accadeva) nel Nord Ovest d’Italia, alla facilità di accesso al lavoro (quello manuale e saltuario) per conseguire una minima autonomia economica. Nelle zone di maggiore emergenza sociale, invece, il lavoro che attrae i minori non è soltanto quello facile che non chiede competenze o specializzazioni, ma è anche quello in nero o illegale. «Occorre dunque rendere più attrattiva l’offerta di istruzione e rendere prevalenti le ragioni per continuare a studiare rispetto a quelle che spingono molti giovani a smettere», si legge nel rapporto di Tuttoscuola. «Va combattuta, in particolare, la convinzione, più diffusa nei territori dove la crisi economica e quella socio-culturale si sommano, che la scuola non serva, che sia una perdita di tempo e che non apra prospettive di vita o di occupazione». 

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La maggiore concentrazione di alunni che abbandonano, spiegano dal Miur (Ministero istruzione, università e ricerca), si registra negli istituti professionali, negli istituti tecnici e nell’area dell’istruzione artistica. Dati che però potrebbero essere meno consistenti se si considera che una parte (più o meno consistente nelle varie realtà territoriali) dei ragazzi potrebbe essere transitata nel sistema regionale di istruzione e formazione professionale senza averne dato comunicazione alla scuola. A febbraio, il governo Letta con il ministro Maria Chiara Carrozza ha annunciato di aver stanziato 15 milioni di euro per le attività integrative e pomeridiane contro l’abbandono scolastico.
Nel 2010 la Commissione Europea ha presentato una nuova strategia - Europa 2020: una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva - che consentirà all’Unione europea di raggiungere una crescita intelligente (attraverso lo sviluppo delle conoscenze e dell’innovazione), sostenibile (basata su un’economia più verde, più efficiente nella gestione delle risorse e più competitiva) e inclusiva (volta a promuovere l’occupazione, la coesione sociale e territoriale). La Commissione europea ha proposto una serie di obiettivi precisi da raggiungere entro il 2020: il tasso di abbandono scolastico deve diminuire a meno del 10% e il tasso dei giovani laureati salire sopra il 40 per cento. Sul tasso di laureati, gli ultimi dati hanno consegnato all’Italia la maglia nera d’Europa con una percentuale del 22,4 per cento. Sul fronte della dispersione scolastica, va detto che negli ultimi anni è diminuita. Ma siamo ancora molto lontani dagli obiettivi europei. 
dispersione

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