Immunità, Finocchiaro attacca Boschi e governo. Renzi infastidito: "Non è la priorità, se è un problema la togliamo"
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L’obiettivo è evitare che la marea montante sull’“immunità” possa travolgere una riforma storica. Ed evitare che sull’argomento si crei una frattura tra il governo e il gruppo democratico al Senato, proprio adesso che il “traguardo è un passo”. Per questo Matteo Renzi non solo si tiene alla larga dall’argomento. Ma ai suoi confida di essere aperto a ogni soluzione: “La priorità è portare a casa la riforma del Senato nei tempi stabiliti, non impiccarsi alla questione dell’immunità. Se diventa un problema, si toglie”.
Infastidito per una polemica che monta alla vigilia dell’incontro con i Cinque Stelle. Per nulla contento di avere paginate dei giornali non per la riforma in sé ma per una norma letta come un “privilegio” dei politici, il premier prova a lasciar sbollire il confronto. Per arrivare a una soluzione il minuto prima che vengano presentati i sub emendamenti, mercoledì mattina. Anche perché il Pd pare una polveriera. È durissima l’intervista a Repubblica con cui Anna Finocchiaro, di fatto, accusa il ministro Boschi: “L’esecutivo ha vistato due volte i nostri emendamenti, compreso quello sull’immunità. Conosceva il testo, sapeva tutto. Ha fatto una scelta”. Praticamente un frontale con la Boschi che il giorno prima aveva addossato la responsabilità della norma ai gruppi parlamentari. Sempre a Repubblica aveva detto: “La mia idea personale è molto chiara, ed è scritta nel testo del governo:niente immunità per i senatori”.
Ministro contro gruppi. Poi relatore (Finocchiaro) contro ministro (Boschi). Raccontano fonti interne al gruppo che, come sempre, il relatore della legge ha fatto da ponte tra senatori e governo. E, rispetto al testo base, c’è stato un rimaneggiamento comune molto profondo che ha riguardato molti aspetti, immunità compresa: “La Finocchiaro – proseguono fonti informate del Senato – ha rotto il giochetto di chi diceva che il governo non sapeva, per scaricare le responsabilità della norma sui vecchi del Pd. Ora ognuno si assume le sue responsabilità”. Ecco perché l’intervista è deflagrante. Perché rispetto al giorno prima in cui la norma non aveva padri, indica padri e madri.
Non solo. La presidente della commissione Affari costituzionali spiega anche di aver presentato una norma diversa che valesse per la Camera e per il Senato: “Io – dice la Finocchiaro - avevo proposto che a decidere sulle autorizzazioni all’arresto e alle intercettazioni dovesse essere una sezione della Consulta e non il Parlamento”. Ma il governo ha detto no: “Ritiene – prosegue la senatrice democrat - che non si debba appesantire il lavoro della Corte costituzionale”.
Non solo. La presidente della commissione Affari costituzionali spiega anche di aver presentato una norma diversa che valesse per la Camera e per il Senato: “Io – dice la Finocchiaro - avevo proposto che a decidere sulle autorizzazioni all’arresto e alle intercettazioni dovesse essere una sezione della Consulta e non il Parlamento”. Ma il governo ha detto no: “Ritiene – prosegue la senatrice democrat - che non si debba appesantire il lavoro della Corte costituzionale”.
È in questo clima che il premier sceglie di non intervenire. E di mandare messaggi con l’obiettivo di abbassare i toni: “La priorità è la riforma, non l’immunità” è la linea che consegna ai suoi. Anche perché il problema c’è. E non è irrilevante. Giuristi ed esperti spiegano che il nuovo Senato non è, come nella prima versione, una specie di conferenza Stato-Regioni allargata, per cui, ovviamente, non è ipotizzabile l’immunità. È una Camera che comunque ha un rango costituzionale. Togliere l’immunità, mantenendola alla Camera, produrrebbe degli squilibri costituzionali. Al momento le vie possibili sembrano due. O quella indicata dalla Finocchiaro, di investire cioè la Corte Costituzionale. Ma non piace a Renzi. O quella proposta da Calderoli, di limitare l’immunità alle attività che i nuovi membri del Senato svolgono “da senatori” e non nelle loro vesti amministrative. Strade legittime, ma poco “renziane”. Chi conosce bene il premier scommette su una mossa a sorpresa, all’ultimo secondo utile: togliere lo scudo, punto e basta. E se va tolto pure alla Camera, via anche alla Camera.
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