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ROMA - Prima la governabilità, poi le preferenze. E' un'apertura condizionata quella che il premier Matteo Renzi concede al Movimento 5 Stelle sulla riforma della legge elettorale al termine di un incontro (non privo di stoccate reciproche e di ping pong sostenuto, ma comunque una prova di dialogo) che si è svolto dopo l'apertura post europee di Beppe Grillo a Renzi e che stavolta è durato molto più delle precedenti toccate e fuga. Non solo. A differenza del passato, oggi si è deciso che a questo primo vertice 'propositivo' farà seguito un secondo appuntamento. La circostanza ha subito scatenato la reazione di Forza Italia, tanto che Paolo Romani ha rilasciato una dichiarazione che suona tanto come un messaggio a Renzi: è nostro il ruolo determinante nel percorso riformatore - ha detto il capogruppo azzurro al Senato - "l'accordo resta sull'Italicum e noi siamo pronti ad approvarlo al Senato".

Grillo, invece, ha poi telefonato ai suoi per dirsi "molto soddisfatto" di come è andata. Ma anche dinanzi al secondo appuntamento con i M5S, Renzi, one man show dall'inizio alla fine, durante il summit ha messo i suoi paletti: "Vi proporrei di arrivarci con le idee chiare", ha detto rivolto ai pentastellati che, per primi, hanno lanciato la proposta di rivedersi a breve.

Una presenza a sorpresa, quella del premier al vertice col M5S, a cui si è aggiunta la novità delle 'quote di genere' dell'intera delegazione Pd: i dem, infatti, si sono presentati con due donne e due uomini (oltre a Renzi, attorno al tavolo si sono seduti Roberto SperanzaAlessandra Moretti e Debora Serracchiani), mentre la delegazione M5S era tutta al maschile (Luigi Di MaioGiuseppe BresciaMaurizio Buccarella, e Danilo Toninelli). E proprio la Moretti - che a summit terminato ha scritto su Twitter che il progetto grillino non la convince -  è stata voluta da Renzi perché eletta alle europee con un gran numero di preferenze (quasi 231mila): un nome, il suo, che il premier ha potuto facilmente spendere durante il confronto per replicare ai 5 Stelle sul nodo eletti/nominati.

"Siamo a questo tavolo con grande responsabilità e serenità - sottolinea il M5S -. L'Italia non si può permettere di tornare indietro, né di rimanere in una crisi istituzionale per 8 anni a causa del Porcellum. Non è sufficiente per noi esprimere le preferenze a favore, ma prevediamo nella nostra proposta anche una preferenza negativa. I partiti sono così obbligati a monte a evitare di candidare persone impresentabili. Il nostro progetto è contro il voto di scambio. Abbiamo disgiunto la scheda del voto al partito dalla scheda della preferenza". I pentastellati propongono dunque una soglia di sbarramento al 5 per cento sulla nuova legge elettorale che - afferma Di Maio - "può essere pronta in 100 giorni".

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Risponde Renzi ai M5S: "Noi pensiamo che il vostro democratellum sia fortemente deficitario sotto il profilo della governabilità". Nel corso dell'incontro, però, la proposta grillina cambierà nome diverse volte. Il premier, a cui la 'sua' legge modello sindaco d'Italia piace perché "capace di garantire un vincitore", insisterà nel chiamarla 'toninellum' (visto che sarà Toninelli a esporla nei dettagli tecnici), salvo poi definirla 'complicatellum' e anche 'grandefratellum' per via della nomination e dell'esclusione dei candidati in lista (video). 

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"Questo della governabilità - prosegue il capo del governo - è un elemento che vorremmo mettere sul tappeto, e quindi vi domandiamo: potete prendere in considerazione l'ipotesi di introdurre un elemento di ballottaggio che consente di dare la vittoria certa? Quanto alle preferenze, noi non ne abbiamo paura". Vero è che l'Italicum contempla liste bloccate, per quanto brevi. E allora è qui che Renzi snocciola i numeri incassati dalla Moretti il 25 maggio scorsoconfrontandoli con quelli presi dai candidati pentastellati (video).

Dopo un rapido botta e risposta sulle cifre (il primo che anima un po' il confronto), Renzi riprende in mano il gioco e lancia la 'tentazione' agli interlocutori: "Se anche non abbiamo paura delle preferenze, tuttavia abbiamo dei dubbi. Il primo: la cancellazione di un nome ha un significato che a nostro giudizio pone problemi in più. Si corre il rischio di far controllare il voto in alcune zone del Paese. Noi siamo pronti a ragionare di preferenze se c'è la certezza della governabilità. Chi vince le elezioni deve essere, il giorno dopo, quello che governa". Invece "voi col vostro sistema date a un partito politico la possibilità di allearsi, il giorno dopo il voto, con chi vuole. Con il sistema nostro, che è molto semplice e che è quello dei sindaci, si garantiscono chiarezza e governabilità, perché chi vince, vince".

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E poi: "Il sistema del rapporto diretto tra il cittadino e il territorio lo si fa riducendo i collegi - prosegue Renzi -. E allora, il vostro democratellum quante persone esprime nel singolo collegio? Nella vostra scheda ci sono ben 42 nomi, nella nostra ce ne sono soltanto 6. Quant'è il massimo di estensione dei vostri collegi?".

A riprendere la parola è Di Maio, che non risparmia una stoccata quando dice: "Il nostro movimento non è mai stato interessato dalla compravendita di tessere", e l'allusione per niente velata è al caos delle iscrizioni dem gonfiate dello scorso anno. Più avanti, in un passaggio rapidissimo, tornerà a tirare fuori anche il carteggio in aula col premier, ma a sorpresa rilancerà: "Noi siamo pronti a rivederci tra 3-4 giorni" per fare il punto della situazione.

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La replica di Renzi, a quel punto, è una controrichiesta spalmata su cinque punti. Il primo: "Il M5S è disposto ad accettare un correttivo che consenta a chi vince di governare? Il 'toninellum' non garantisce ciò. Ci sta bene ragionare con voi nel merito, ma non saremo mai d'accordo se non possiamo dire che chi arriva primo vince". E porta l'esempio dei sindaci eletti dal M5S.

Il secondo: "Per rispetto ai cittadini, noi diciamo mai più inciuci né larghe intese. Lo so, può sembrare strano che lo diciamo noi, ma noi ve lo chiediamo. Noi vogliamo dire prima con chi ci alleiamo, invece col 'toninellum' lo si dice dopo". Ed è qui che la discussione si anima, con i pentastellati che replicano, citando Clemente Mastella e con chiaro riferimento al governo Prodi nato nel 2006, quando "il Pd vinse facendo un'ammucchiata", e imploso a gennaio 2008: "Con gli accordi pre-elettorali, e lo ha dimostrato la storia, si crea una accozzaglia di partiti. Noi parliamo di accordi programmatici" da fare eventualmente dopo. Ma Renzi: "Io non so come sarebbe andata alle europee se aveste detto prima che facevate un accordo con Nigel Farage (leader Ukip,ndr). Dirlo prima è un fatto di etica". Ma Di Maio: "Se è per questo, voi avevate anche detto che Bersani avrebbe fatto il presidente del Consiglio". E Renzi: "Siete stati voi a non farglielo fare".

Poi il premier continua a snocciolare le ultime tre richieste: "Noi siamo dell'idea di rimpicciolire i collegi. Voi?". Ancora: "Siete d'accordo con la nostra proposta costituzionale di affidare alle Consulta il giudizio sulla legge?". E infine: "Siete disponibili a ragionare per il futuro di riforme?". Renzi, infatti, propone al M5S di sedersi anche al tavolo delle riforme costituzionali e Di Maio risponde chiedendo che venga spostato il termine per la presentazione degli emendamenti (dovevano scadere stasera, il termine è stato rinviato a domattina). Renzi su questo non dà spazio: "Ma voi li avete presentati gli emendamenti, no? - è la chiosa -. Quindi li discuteremo in commissione". Di sicuro c'è che entro venerdì il Pd pubblicherà sul proprio sito i cinque punti "irrinunciabili" per proseguire il confronto con i 5 Stelle. E Forza Italia non rimarrà a guardare.

Intanto Ncd ha presentato un sub-emendamento agli emendamenti dei relatori alle riforme che rilancia l'elezione diretta del Senato. Lo ha riferito il capogruppo in Senato Maurizio Sacconi, che però assicura che Ncd non "intende frenare" il cammino delle riforme.