Povera, fragile, abbandonata: per l'Italia "del doman non v'è certezza"
L'economia cresce troppo lentamente, la povertà aumenta e chi può se ne va: i dati di Istat e Confindustria descrivono un Paese che sembra lontano dalla ripresa, più lenta rispetto anche alle previsioni
Selene Cilluffo26 Giugno 2014
Che la crisi avesse logorato il nostro Paese lo sapevamo. Sapevamo anche che per uscirne sarebbero state necessarie "lacrime e sangue" come aveva spiegato l'allora premier Mario Monti prima di approvare la sua 'manovra'. Ma dopo sei anni dall'inizio del baratro l'orizzonte della ripresa sembra ancora lontano. Siamo più poveri, l'economia è ancora fragile e ammalata e chi può preferisce andare all'estero, alla ricerca di una speranza.
SEMPRE PIU' POVERA - Le condizioni economiche delle famiglie sono peggiorate dall'inizio della crisi e anche nell'anno passato non sono migliorate, anzi: aumentano gli indicatori di povertà assoluta e di deprivazione. La quota delle persone che vivono in famiglie assolutamente povere è passata dal 5,7% del 2012 al 8% del 2013, in tutte le partizioni territoriali, in particolare nel Mezzogiorno, dove si è arrivati a quota 11,3%. Questa la fotografia del "Rapporto sul Benessere Equo e Sostenibile (Bes 2014)" dell'Istat e del Cnel.
Un problema trasversale: anche se gli italiani continuano a possedere una ricchezza reale netta tra le più alte in Europa, largamente dovuta all'elevata diffusione della proprietà dell'abitazione di residenza, l'intensità e la persistenza della crisi economica hanno ridotto il valore di questa ricchezza, ampliando la disuguaglianza economica e l'area della povertà e della deprivazione materiale.
UN'ECONOMIA MALATA E FRAGILE - Se le diseguaglianze economiche e la povertà aumentano, l'economia non riesce a migliorare. Secondo i dati del centro studi di Confindustria (Csc) il mercato del lavoro in Italia resta debole. Dall'inizio della crisi nel 2008 sono stati persi due milioni di posti di lavoro e sono 7,7 milioni le persone che non lo hanno. Così la salute della nostra economia rimane fragile, siamo ancora malati quindi il futuro che ci aspetta non è dei migliori: nel nuovo scenario previsto dal CSC nel 2014 il Pil aumenterà solo dello 0,2%, contro il +0,7% stimato nel dicembre 2013. Con una metafora efficace gli economisti spiegano meglio la loro posizione:
SEMPRE PIU' POVERA - Le condizioni economiche delle famiglie sono peggiorate dall'inizio della crisi e anche nell'anno passato non sono migliorate, anzi: aumentano gli indicatori di povertà assoluta e di deprivazione. La quota delle persone che vivono in famiglie assolutamente povere è passata dal 5,7% del 2012 al 8% del 2013, in tutte le partizioni territoriali, in particolare nel Mezzogiorno, dove si è arrivati a quota 11,3%. Questa la fotografia del "Rapporto sul Benessere Equo e Sostenibile (Bes 2014)" dell'Istat e del Cnel.
Un problema trasversale: anche se gli italiani continuano a possedere una ricchezza reale netta tra le più alte in Europa, largamente dovuta all'elevata diffusione della proprietà dell'abitazione di residenza, l'intensità e la persistenza della crisi economica hanno ridotto il valore di questa ricchezza, ampliando la disuguaglianza economica e l'area della povertà e della deprivazione materiale.
UN'ECONOMIA MALATA E FRAGILE - Se le diseguaglianze economiche e la povertà aumentano, l'economia non riesce a migliorare. Secondo i dati del centro studi di Confindustria (Csc) il mercato del lavoro in Italia resta debole. Dall'inizio della crisi nel 2008 sono stati persi due milioni di posti di lavoro e sono 7,7 milioni le persone che non lo hanno. Così la salute della nostra economia rimane fragile, siamo ancora malati quindi il futuro che ci aspetta non è dei migliori: nel nuovo scenario previsto dal CSC nel 2014 il Pil aumenterà solo dello 0,2%, contro il +0,7% stimato nel dicembre 2013. Con una metafora efficace gli economisti spiegano meglio la loro posizione:
La malattia della lenta crescita non è stata debellata e il paziente è debole, fatica a riprendersi e a reagire alle cure. Sono in atto emorragie di capitale umano e perdita di opportunità di business. Per la guarigione è necessario ripartire dagli investimenti. Misure opportune sono state varate e altre sono in corso di studio. Ma il tempo è una variabile decisiva
"E PARTIVA L'EMIGRANTE" - Le emorraggie di capitale umano sono evidenti visto che di fronte a queste prospettive di impoverimento, le speranze per il futuro sono poche. Ecco quindi negli ultimi cinque anni gli italiani che hanno abbandonato il Paese sono raddoppiati. Dall'altra parte, gli italiani che negli anni precedenti hanno deciso di andare a vivere fuori non hanno più tanta voglia di tornare. Infine chi cerca rifugio e fortuna dal proprio paese d'origine non sceglie più il nostro.
Le immigrazioni nel giro di un anno sono diminuite di quasi 50mila unità, mentre le emigrazioni sono praticamente raddoppiate: circa 126 mila nel 2013 (2,1 per mille), contro i 106 mila dell'anno precedente (1,8 per mille). Il saldo migratorio con l'estero è di 182 mila unità, per un tasso del 3 per mille (4,1 nel 2012). Dati che emergono dal report "indicatori demografici" dell'Istat. Calano gli ingressi dei cittadini stranieri, 279 mila nel 2013 contro i 321 mila del 2012.
C'è anche un flusso interno di migrazione, da sud al centro-nord: sono 116 mila gli individui che hanno trasferito la residenza da una regione del Mezzogiorno a una del Centro-nord, mentre soltanto in 65mila hanno fatto il contrario.
Povertà, economia fragile e grandi flussi migratori: così il futuro del nostro Paese non sembra più neppure calcolabile attraverso le stime, che finora si sono dimostrate troppo ottimistiche. Insomma in Italia, direbbe Lorenzo De' Medici, "del doman non v'è certezza".
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