lunedì 1 settembre 2014

E adesso diciamo a Riina ammazzateci tutti perché noi siamo e resteremo sempre al fianco di Don Ciotti. Come scudi umani.

Don Ciotti e le minacce di Riina: «È la prova che gli diamo fastidio»

01/09/2014 - di 

Il fondatore di Libera ha replicato all'ordine di morte lanciato dal boss di Cosa Nostra, intercettato nel carcere di Opera: «Non ho paura della mafia. Ma è strano che nessuno mi abbia avvertito»

«Non ho paura della mafia. Le minacce di Totò RiinaÈ la prova che gli diamo fastidio, che dobbiamo continuare». Lo storico prete antimafia don Ciotti non si è lasciato intimidire dall’ordine di morte lanciato dal capo di Cosa Nostra («Ciotti, Ciotti, putissimu puru ammazzarlo»), intercettato nel settembre 2013 a colloquio nel carcere milanese di Opera con il boss pugliese Alberto Lorusso. Dialoghi duranti i quali il “Capo dei Capi” ha definito il fondatore diLibera come un «prete da uccidere». Alla stregua di don Pino Puglisi il sacerdote ucciso nel 1993 per il suo impegno contro i boss nel quartiere palermitano di Brancaccio: «Io non oso nemmeno paragonarmi a lui. Sono un uomo piccolo e fragile, ma mi riconosco nella sua idea di Chiesa», ha spiegato don Ciotti. 

20 anni dalla morte di Borsellino - Commemorazione per ricordare la starge di via D'Amelio
Don Ciotti – Photocredit: Lapresse

DON CIOTTI: «NESSUNO MI HA AVVERTITO DELLE MINACCE DI RIINA» – Intervistato da Salvo Palazzolo sul quotidiano  “La Repubblica“, ha però definito “singolare” che nessuno lo abbia messo in guardia: «Lei (rivolto al giornalista, ndr) mi ha avvertito che all’epoca i pm di Palermo avevano subito informato il Viminale, per far scattare le misure di protezione adeguate. Manessuno mi ha avvertito delle minacce di Riina. Strano, mi sembra anche una mancanza di rispetto per i due poliziotti che mi seguono ogni giorno». 
Dopo la pubblicazione delle intercettazioni tra Riina e Lorusso su “Repubblica”, è arrivata la solidarietà bipartisan nei confronti del prete antimafia. «Il primo a chiamarmi è stato Renzi, ribadendomi la sua vicinanza. E poi tanti amici corleonesi, che è il nome di un popolo, non di un clan», ha rivendicato. Sulle minacce ha spiegato come siano «molto significative», ma di non temerle: 
«Per me l’impegno antimafia è un atto di fedeltà al Vangelo.  Le minacce di Riina non sono rivolte soltanto a Luigi Ciotti, ma a tutte le persone che in vent’anni di Libera si sono impegnate per la giustizia e la dignità del nostro Paese. Cittadini a tempo pieno, non a intermittenza», ha continuato. 
Secondo il fondatore di Libera le «mafie sanno fiutare il pericolo, sentono che l’insidia viene, oltre che da polizia e magistratura, dalla ribellione delle coscienze». Ma non è sufficiente, per Ciotti. Serve che la «politica sostenga di più» la lotta contro Cosa Nostra: «Questa non è soltanto un fatto criminale, ma l’effetto di un vuoto di democrazia, di giustizia sociale, di bene comune. Ci sono provvedimenti urgenti da approvare, senza troppi compromessi». A partire da quelli sulla confisca dei beni, ha avvertito don Ciotti: «Un doppio affronto per la mafia, come confermano le parole di Riina (nelle intercettazioni il capomafia ha fatto intendere di essere preoccupato: “Sai, con tutti questi sequestri dei beni”, ndr)».
LE INTERCETTAZIONI DI RIINA – Intanto, continuano a emergere sulquotidiano diretto da Ezio Mauro i dialoghi intercettati tra Riina e Lorusso. Dopo la “versione” del boss sulla vicenda dell’incontro del 1987 con Andreotti(«Lo incontrai, ma il bacio non ci fu») e le dichiarazioni su Berlusconi («Ci dava 250 milioni ogni sei mesi»: un “pizzo” versato, per il boss, fin dagli anni ’80 per ottenere protezione, ndr), altre intercettazioni coinvolgono anche Wojtyla: «Giovanni Paolo II era cattivo, un carabiniere. Voleva farci pentire tutti».  Ma non solo. Riina ha spiegato di avere ancora un patrimonio ingente, a disposizione dei suoi familiari, mascherato da prestanome. «Se recupero pure un terzo di quello che ho, sono sempre ricco», si legge su “Repubblica”. Vanta anche “manager” eccellenti per la gestione dei suoi beni: «Una persona responsabile ce l’ho e sarebbe Matteo Messina Denaro (latitante e pluriricercato da due decenni, condannato per le stragi del ’93). Però che cosa fa per ora questo Messina Denaro, che non so più niente?», si è lamentato Riina. Per poi spiegare a Lorusso anche la sua particolare idea criminale di “riforma della giustizia” («Contro la dittatura assoluta dei magistrati») e ricordare di aver riposto speranze in Berlusconi: «Aveva il 66%, doveva mandare alla fucilazione i magistrati».
Se nei dialoghi intercettati ha spesso rivendicato la paternità delle stragi Falcone e Borsellino e di altri omicidi, Riina ha invece escluso la responsabilità per il delitto del ’93 del giornalista Beppe Alfano, attribuendola a Bernardo Provenzano (definito “U scimunitu”). Per poi pensare alla successione per Cosa Nostra: «Io spero in questi giovani, ma al presente non ce n’è. Hanno bisogno di pezzi grossi». 

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