Quella fiducia in calo che mette a rischio l’Europa
Vista l’incapacità di affrontare la crisi la fiducia nell’Ue cala. Così tutto il progetto rischia
Gli europei credono (ancora) nell’Europa? Questa domanda, con la crisi, ha messo a nudo le incompletezze e le incertezze delle Istituzioni e della governance, e richiede una risposta che non riguardi solo l’idea o il sogno di Europa unita, ma anche le scelte e le azioni messe in atto.
Sfruttando i dati dell’Eurobarometro, Bruno Cautrès mette in luce la distinzione tra “sostegno diffuso” e “sostegno specifico” introdotta negli anni Sessanta dal politologo David Easton. Il sostegno diffuso è quello che il cittadino elettore assegna a uno Stato o a una organizzazione sovranazionale nel suo complesso, con riferimento ai sui tratti più importanti e alle sue finalità generali, potremmo dire alla sua ragion d’essere. Il sostegno specifico, viceversa è quello che l’elettore assegna a una particolare funzione svolta dallo Stato o dalla Organizzazione.
Le due dimensioni del sostegno sono interdipendenti. La fiducia nelle capacità di condurre le singole funzioni specifiche deriva dal sostegno diffuso. Un esempio a noi vicino può essere la scelta della Repubblica parlamentare unitaria del 1948 (sostegno diffuso), e poi le fasi alterne di politica economica e le proposte riforme istituzionali che da quel momento si sono susseguite (sostegno specifico).
Cautrès prende in esame tre indicatori di sostegno diffuso ( fiducia nell’Unione Europea, utilità dell’allargamento ad altri Membri, utilità della moneta unica) e sei di sostegno specifico per l’Europa. L’utilità della moneta unica, chiamando in causa uno strumento come l’Euro, fa da raccordo ai sei indicatori specifici (immagine dell’Europa, fiducia nella Commissione Europea, prospettive dell’Unione Europea, capacità di lotta al terrorismo, capacità di tutela dell’ambiente, capacità di risolvere il problema della disoccupazione.)
Confrontando i dati 2009 con quelli 2011, tutti gli indicatori di sostegno sono in riduzione, sia quelli generali che quelli specifici, con l’eccezione di uno, di cui discuterò in seguito. Tuttavia, le due cadute più acute si realizzano nella percentuale di coloro che pensano che l’Unione stia andando nella direzione giusta, che si riduce di 13 punti (da 36 a 23), e in chi crede che l’Unione stia facendo il necessario per combattere la disoccupazione, dove la percentuale si riduce di ben 22 punti (da 61 a 39, la contrazione più forte).
Questo non sorprende: la fiducia nei confronti dell’Europa si sta crepando proprio lì dove la crisi ha colpito (il lavoro) e dove manca una sufficiente capacità di risposta e di visione sul dopo. Il rischio - da scongiurare - è che il dissenso sulle scelte anti crisi e sul comportamento adottato durante la prima grande prova che l’Unione si trova ad affrontare da che è nata, diventi dissenso generale e ripensamento del senso stesso dell’Europa.
Ci sono altri due dati che è utile rimarcare. Uno riguarda l’Euro, il cui apprezzamento tra il 2009 e il 2011 è passato dal 66 al 54%, con una riduzione nettamente inferiore alla caduta della fiducia complessiva nell’Unione e negli interventi anti disoccupazione, e che lascia la fiducia nell’Euro comunque al di sopra della maggioranza assoluta. Questa evidenza è osservata anche in altri lavori che utilizzano dati più recenti complementari all’Eurobarometro (di Sara Hobolt o di Patrick Artus). Non è facile fornire una spiegazione unica e univoca. La fiducia nell’Euro è borderline tra gli indicatori di sostegno specifico e quelli di sostegno generale: può essere che chi ha maturato giudizi negativi specifici della moneta unica arrivi a generalizzarli alle Istituzioni che quella moneta dovrebbero far funzionare.
L’altro aspetto interessante riguarda due dimensioni dell’Unione che, nelle urgenze della crisi, sembrano passate in secondo piano. Da un lato, si riduce di poco (l’arretramento minore tra quelli analizzati) la percentuale di coloro che credono che sia positivo continuare ad includere altri Paesi nell’Unione, uno degli indicatori di sostegno diffuso. Dall’altro lato, addirittura aumenta, dall’80 all’82%, la percentuale di coloro che vedono nell’Unione la possibilità di contrastare il terrorismo internazionale, con una incisività e un dispiego di forze e di organizzazione di cui i singoli Paesi non sarebbero da soli capaci. Questa funzione rientra, nella ripartizione proposta da Cautrès, tra gli indicatori di sostegno specifico all’Europa ma, se si considera lo scenario internazionale che si è delineato in Medio Oriente e la fase di instabilità politica globale a cui andiamo incontro, potrebbe essere “promossa” a funzione generale, cioè divenire una delle ragioni di base per la creazione e il rafforzamento di una Europa sovranazionale.
Le conclusioni tracciate da Cautrès sono aperte, poiché mettendo assieme le sue elaborazioni su Eurobarometro 2009 e 2011 e quelle degli altri autori citati, ne viene fuori un quadro molto frastagliato, difficile da sintetizzare.
Quel che è certo è che finora i dati dell’Eurobarometro sono stati trattati un po’ superficialmente. È auspicabile, invece, che da ora in poi i dati diventino oggetto di serie analisi economiche ed economico-politiche. Fare uso ampio - scientifico e poi divulgativo - di questi dati servirebbe sia ad accompagnare la maturazione dell’opinione pubblica europea, sia a dare alle Istituzioni nazionali e europee i feedback più adatti per crescere e adottare le decisioni migliori. È un punto più importante di quanto a prima vista potrebbe apparire, e bisogna lavorarci in tempi rapidi, prima che la sfiducia si allarghi o, per dirla con Easton, si generalizzi dalle difficoltà specifiche al senso generale dell’Unione. L’Europa è grande e multidimensionale, e valorizzarne tutte le dimensioni - economiche e politiche, interne e internazionali - darebbe slancio alla risoluzione dei problemi, al superamento delle difficoltà.
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