sabato 6 settembre 2014

Invece del salotto buono Renzi preferisce una fabbrica. Come non concordare.

Renzi e la diffidenza (ricambiata) 

di banchieri e manager

L’habitué di Cernobbio: «Non parla neanche col governatore Visco, figuriamoci con noi». E l’ex ministro Tremonti: «Matteo mi copia»

di ALDO CAZZULLO

Il forum economico Ambrosetti a CernobbioIl forum economico Ambrosetti a Cernobbio
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«Non parla neanche con il governatore Visco, figuratevi se considera noi» dice un habitué di Cernobbio. Renzi non va nei «salotti buoni», oggi verrà qui in Lombardia ma in visita a un rubinettificio, «da chi investe soldi veri». Al Workshop Ambrosetti ci sono però i suoi nominati - Starace, Marcegaglia, Grieco, Caio - e i suoi trombati. «I’m a very important man!» dice, certo scherzando, l’ex capo dell’Eni Scaroni a un giornalista straniero, porgendogli il suo biglietto da visita. «La situazione? Disastrosa. Siamo in mani altrui. Se il New York Times scrive che Renzi è un pirla, va a casa». Renzi è un pirla? «No - si fa serio Scaroni -. Ma ha fatto il ganassa. E ora deve passare ai fatti. Il banco di prova sarà la riforma del lavoro. Se la fa davvero, la sua credibilità cresce. Altrimenti...». Insomma, il premier è atteso al varco. Per sua fortuna, c’è qui anche Renato Brunetta, suo grande estimatore: «Renzi è il peggior presidente del Consiglio della storia unitaria, a parte Monti, che è fuori concorso». Il Professore, a Cernobbio tradizionalmente molto omaggiato, arriva malinconico a tarda sera vestito di grigio, sotto una pioggerella autunnale, nel disinteresse dei presenti: oggi lo attende una mattinata di ex - Barroso, Almunia, Trichet, Prodi, ulteriormente moderati da Enrico Letta - il cui tema è, non a caso, «realizzare le riforme». 

Nel 1999 qui venne Aznar, Silvio Berlusconi disse che bisognava fare la riforma del lavoro sul modello spagnolo. Sono le stesse frasi che ricorrono oggi, quindici anni dopo. Berlusconi tornò a Cernobbio nel 2005, per un passaggio memorabile: arrivò in elicottero, unico senza cravatta a parte i sommozzatori in muta che vigilavano dal lago, rivendicò di aver fatto incontrare Putin e gli ayatollah, corteggiò Paola Saluzzi, e previde che l’Italia era attesa da un periodo di formidabile sviluppo. In sala c’era Romano Prodi, che ribatté: le riforme della giustizia e del lavoro le faremo noi. Si attende da allora. Brunetta: «Meglio che non le faccia Renzi. Quel che tocca, peggiora. Palazzo Chigi non esiste più: lui ha fatto fuori tutti. Il risultato è che i provvedimenti sono scritti malissimo, pieni di strafalcioni. Gli uffici legislativi del Quirinale sono disperati: devono riscrivere ogni parola». 

Non che il premier stia così antipatico a tutti. Non a Francesco Merloni, ad esempio. «Non lo conoscevo. Mi chiamano dalla sua segreteria con tre giorni di preavviso e mi dicono: il presidente del Consiglio farà visita alla vostra fabbrica in Vietnam. Mi scapicollo in Vietnam. Il mattino riunione in ambasciata, ci sono anche Colaninno e una ventina di colleghi. Dico che noi imprenditori siamo accusati di delocalizzare, invece internazionalizziamo le nostre imprese: sono due cose molto diverse. 
Renzi all’apparenza è distratto, annoiato. Poi nello stabilimento prende la parola e dice: “Voi imprenditori siete accusati di delocalizzare, invece internazionalizzate le vostre imprese: sono due cose molto diverse...”. Una spugna. Lo stesso discorso l’ha rifatto altre quattro volte in Cina». E l’amministratore delegato di Google Italia, Fabio Vaccaroni: «Renzi ha riacceso interesse attorno al nostro Paese, non è vero che non contiamo nulla: Eric Schmidt, il mio presidente, vuol sempre venire qui da noi. Ora però il premier dovrebbe fare qualche riforma che all’estero riusciamo a spiegare. Se agli americani parlo di flessibilità del lavoro, mi capiscono. Se parlo di bicameralismo perfetto e superamento del Senato, mi guardano con gli occhi sbarrati». Arriva Prodi. Brunetta: «Romano aveva Ciampi all’Economia, Napolitano agli Interni, Dini agli Esteri, Andreatta alla Difesa. Renzi ha la Giannini e la Madia». Che le ha fatto la Madia? «Non sa niente. Niente!». 
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Quarant’anni di Cernobbio I protagonisti sul lago di Como
Arriva il grande vecchio Shimon Peres, che discute con John McCain la sua visionaria e geniale idea di un’Onu delle religioni per fermare le guerre. Più modestamente, gli ospiti italiani discutono la profezia di Berlusconi: «Sosteniamo Renzi, altrimenti arrivano la troika e i prelievi dai conti correnti». «Magari arrivasse la troika...» mormora un banchiere. Spiega però l’ex ministro dell’Economia Grilli di aver rifiutato a suo tempo il commissariamento perché «non sarebbe servito a nulla. Si prendevano la nostra sovranità in cambio di 80-90 miliardi. Ma cosa ce ne facciamo di 80-90 miliardi?». Tremonti da Renzi si considera lusingato: «Mi copia. Ha proposto di mandare in tv i film in inglese in prima serata e di detassare i piccoli lavori condominiali. 

Rivendica il primato della politica sulla burocrazia. Dovrei chiedere il copyright». Poi l’ex ministro si fa serio: «Il problema non è la burocrazia; è la matematica. Non è un caso che tutti i premier, compresi Monti e Letta, siano caduti sulla finanziaria: mica erano tutti sciocchi. I numeri non li cambiava neppure Stalin. Dove li trova Renzi 20 miliardi di tagli, in un bilancio che - interessi a parte - è già in attivo?». Lei fece i tagli lineari. «E feci bene: sono gli unici che hanno funzionato. Lo dice pure Cottarelli». Passa Umberto Veronesi: «Mai visto Renzi in vita mia. Mi pare giovanilmente spregiudicato. Ma un po’ di spregiudicatezza giovanile in questa Italia ci vuole». 

Gnudi, ministro con Monti, ora commissario all’Ilva: «Renzi deve costruirsi una squadra. Non è che può passare le notti a lavorare da solo con Delrio». Arriva Enrico Letta. Brunetta: «In Europa si poteva piazzare lui. Invece Renzi ha messo la Mogherini, giovane priva di esperienza, in un posto che non conta nulla e conterà meno di prima. Lady Ashton aveva dietro l’eredità dell’Impero britannico. La Mogherini dietro che cosa ha? L’Italietta di Faccetta Nera ?». 
Nella discussione sulle riforme si apre talora uno spiraglio di speranza. Claudio Costamagna, l’ex banchiere più vicino a Prodi, ora presidente Impregilo, dice che «le nostre potenzialità sono enormi. E non solo per le cose che si dicono sempre: arte, bellezza, cultura, made in Italy . Per i nostri talenti. Abbiamo ragazzi che a Londra e in Germania si sognano. Basterebbe poco per ripartire: una giustizia con regole e tempi certi, un mercato del lavoro moderno. Il premier si muova». «Il problema - conclude Grilli - è che le riforme gli italiani non le vogliono. Il Paese non vuole cambiare: tra garanzie e opportunità, sceglie sempre le garanzie». Brunetta: «Ma che vi importa se Renzi non è venuto?». 

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