Grillini indagati? Anche il Movimento 5 Stelle ha le sue pecore nere
Tutti ladri, tutti a casa. È questo il mantra che ripete da giorni il M5S dopo lo scoppio dello scandalo Mose: dal blog Beppe Grillo ha parlato di “larghe intese in manette”, sottolineando ancora una volta la distanza del movimento dai partiti tradizionali. Eppure, anche esponenti del M5S sono finiti nei guai: indagati per gli scandali Rimborsopoli in Piemonte, Emilia e Sicilia, indagati per bancarotta e anche arrestati per rapina e sequestro di persona. Tutti casi singoli, sia chiaro, su cui la magistratura sta ancora indagando e per i quali bisognerà attendere la parola definitiva solo in caso di processo e solo dopo il terzo grado di giudizio. Era però lo stesso Grillo a proclamarsi “garante” dei candidati, sottoposti a un rigido codice di comportamento che alla prima voce indica la fedina penale pulita.
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Sia chiaro: essere indagati non vuol dire essere colpevoli. Questo vale per il M5S come per tutti gli altri esponenti politici coinvolti in scandali recenti e non. Quando si è indagati si è sotto l’occhio della magistratura che appunto indaga su reati presunti, fino a decidere se sia il caso o meno di arrivare in giudizio, aprendo un processo: solo al termine del procedimento si può dire di chiunque se sia colpevole o meno.
Il dato degli esponenti pentastellati indagati per varie vicende non può però essere messo a tacere, perché lo stesso movimento si proclama fuori dai soliti schemi che hanno caratterizzato ieri, come oggi purtroppo, la vita politica italiana. Lo slogan “tutti uguali, tutti ladri, tutti a casa”, è rischioso. Chi ruba o commette reati gravissimi contro la cosa pubblica è il singolo, non il partito o il gruppo che rappresenta. La criminalizzazione generalizzata è un errore che si può ritorcere contro lo stesso M5S. Seguendo la loro logica, basta un indagato a rendere tutti ladri, anche quando la stragrande maggioranza degli eletti fa il proprio dovere in totale onestà.
Gli indagati del M5S
I primi a cadere sotto i colpi della magistratura nel 2013 sono i consiglieri regionali del Piemonte, travolto dallo scandalo Rimborsopoli che ha portato alla caduta di Roberto Cota e alle nuove elezioni, vinte da Sergio Chiamparino. Tra i 56 finiti sul registro dei magistrati per i rimborsi gonfiati, ci sono anche Davide Bono, M5S, eFabrizio Biolè, finito poi nel gruppo misto in polemica con il movimento. Per i due sono arrivate lerichieste di archiviazione della Procura di Torino, tanto che lo stesso Bono dichiarò a La Stampa che “questo dovrà farci ben riflettere e imparare a distinguere nettamente tra indagini e rinvio a giudizio”.
Stessa cosa accade in Emilia, quando lo scandalo sulle spese regionali colpisce tutto l’arco politico, M5S compreso. Tutti i capigruppo finiscono sotto la lente degli inquirenti: per i penstallati c’è Andrea Defranceschi che in un post sul sito di Beppe Grillo decide di fare chiarezza. “Il fatto che tutti i Capigruppo siano stati dichiarati ‘indagati’ dovrebbe essere, sostanzialmente, un atto dovuto, una formalità. Significa che il lavoro della Guardia di Finanza sta per terminare, e i giudici decideranno chi rinviare a giudizio e chi no. Chi, quindi, sarà sottoposto ad un processo – che potrà concludersi con condanna o assoluzione – e chi invece, dopo l’indagine, risulti aver operato in perfetta regolarità”. Parole sante, che valgono per lui come per tutti gli altri.
E siamo ai giorni nostri. Tra marzo e aprile arrivano almeno tre tegole sul movimento. La prima dalla Sicilia con Giancarlo Cancelleri, consiglieri all’Ars e candidato alla presidenza contro Rosario Crocetta: la Corte dei Conti ha chiesto “chiarimenti in ordine al rimborso di fondi per la campagna elettorale di Rosario Cammarata(mandatario del deputato Cancelleri) per un importo di 8.730 euro in quanto gestione estranea all’attività del gruppo parlamentare, nonché in ordine all’emissione di un assegno non datato alla Point service per un importo di 136 euro”. Chiarimenti vengono chiesti anche per il viaggio a Bruxelles che i consiglieri M5S hanno fatto lo scorso giugno, spendendo 6.927 euro: “Bisogna precisare la motivazione del viaggio in relazione ai compiti svolti, all’interno del gruppo parlamentare, dai singoli partecipanti alla missione” e anche riguardo l’acquisto di libri e riviste, che “trattandosi di merce per la quale non è previsto il rilascio dello scontrino fiscale da parte del venditore, occorre allegare copia dei contratti di abbonamento alle testate giornalistiche, ovvero copia dei contratti di somminitrazione stipulati con i fornitori”. Non indagini ufficiali, ma chiarimenti, come sottolinea il consigliere anche con un post su Facebook.
Il 10 aprile viene invece ufficializzata l’iscrizione nel registro degli indagati di Daniele Ferrarin, consigliere comunale M5S di Vicenza, per bancarotta fraudolenta. Indagato e quindi presunto innocente, il consigliere ha il diritto di continuare la sua attività politica, anche secondo le regole del movimento che chiedono la rimozione da ogni incarico dopo una condanna, anche se in primo grado. La sua collega di partito, Liliana Zaltron però non ci sta e, insieme al meetup originario, ha chiesto le sue dimissioni. “La trasparenza è un obbligo fondamentale, per questo deve dimettersi: per una questione di opportunità e perché non ci ha detto niente”, le sue parole.
Infine il 24 aprile 2014 il gruppo di Bassano del Grappa viene raggiunto dalla notizia dell’arresto di Stefano Costa, candidato alle comunali: per lui l’accusa è di rapina aggravata, sequestro di persona ed estorsione. Il fatto risale allo scorso novembre quando Costa, insieme a un complice, avrebbe rapito un imprenditore padovano a scopo di estorsione, presentandosi come un affiliato della ‘ndrangheta. Oggi Costa è ancora in carcere e il movimento ha prontamente cancellato la sua candidatura.
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